Le vele scarlatte. Dal documentario alla fiaba
Raphael è un reduce di guerra, torna al suo paese per riabbracciare la donna che ama ma lei non c’è più e prima di morire gli ha lasciato una figlia che tanto le somiglia, Juliette. I compaesani che dovrebbero accoglierlo, prima lo commiserano per la sua perdita e poi lo guardano con vergogna, accusandolo di non aver soccorso uno di loro mentre rischiava di morire. Raphael viene emarginato e insieme ad Adeline – una donna forte che si occuperà di lui e della piccola Juliette – costruirà una piccola famiglia allargata ai margini del villaggio. Lì Raphael, Juliette, le donne e gli uomini che vi faranno parte, troveranno lo spazio per essere una nuova comunità. In questo humus, Juliette crescerà bella, forte, intelligente, una donna in lotta per essere libera.
Pietro Marcello è uno dei migliori talenti del nostro cinema e quest’ultimo film ne è un’ulteriore conferma. In Le vele scarlatte la linearità del racconto esalta la sua abilità nel raccontare personaggi marginali, che si confrontano con il Novecento e cercano di resistere alla forza di una modernità che potrebbe scalfirli e cancellarli. Alla complessità di Martin Eden, qui si sostituisce una fiaba su un mondo ormai perduto, fatto di artigiani e lavoratori della terra, di ballate e canti folkloristici. Un mondo in cui trovano spazio anche la dimensione magica delle credenze popolari e una piena armonia tra l’uomo e i tempi delle stagioni. La traiettoria dei film di Marcello incontra, anche in questo film, quella della letteratura primo-novecentesca (il film è una libera trasposizione dell’omonimo romanzo del 1923 di Aleksandr Grin) e non è un caso.
Le vele scarlatte mostra uno spazio diviso in due: il villaggio che segue il corso della Storia e la periferia che nella sua marginalità si conserva pura. Raphael e Adeline sono i capostipiti di una “comunità di vinti” che non perde mai la mitezza. Juliette – a metà tra una principessa e un’eroina femminista – cresce nutrendosi della concretezza del padre e punta il suo sguardo “fiero come un lupo” all’orizzonte, per scoprire se ha ragione la simpatica strega del paese: “un giorno potrai vedere, nel cielo, delle vele scarlatte”, il simbolo che i sogni si possono avverare. Sarà proprio da quel cielo che, come un alieno caduto sulla Terra, atterrerà un aeroplano con un goffo avventuriero: un principe azzurro moderno, curioso, coraggioso e noncurante, come lei, dell’opinione degli altri.
In questo nuovo film, Marcello ricorre ancora al montaggio di splendidi documenti d’archivio (è lui stesso a dirlo: è un archivista e la sua vera passione è quella) con il girato per il film, e crea una miscela di immagini che mettono in comunicazione la realtà e la finzione. Le Vele scarlatte, Martin Eden, Bella e Perduta, sono tutti e tre debitori della vocazione del regista al documentario: sia per la contaminazione di materiali diversi, sia per il focus sulla marginalità dei personaggi che racconta, un tratto che si travasa dai primissimi doc fino alle opere più note e recenti.
L’amore per il cinema delle origini, di Rossellini e – soprattutto – di Ermanno Olmi, viene dissimulato in un cinema personale, pienamente riconoscibile e difficilmente imitabile. Le vele scarlatte poi, nella sua dimensione favolistica, si emancipa da un retroterra culturale specifico (un processo speculare a quello di Martin Eden) e diventa a tutti gli effetti un racconto universale.
La forma della favola è altrettanto efficace nel declinare con dolcezza lo sguardo disilluso di Marcello sul secolo breve. L’individualismo sfrenato che distrugge Martin Eden dopo il suo riscatto, in Le vele scarlatte è una malattia che affligge, in forma diversa, gli abitanti del villaggio: le figure maschili, soprattutto, sono tiranniche e cercano disperatamente di possedere ciò che non hanno. A un villaggio meschino, si contrappone una comunità umile; a uomini tossici si contrappongono donne forti. La favola che racconta Marcello oppone due stili di vita in cui la vera modernità sta dalla parte della comunità di “reietti”, di coloro che solo apparentemente restano indietro nel corso della storia, ma che tracciano una nuova via possibile di futuro.
Nelle interviste rilasciate in occasione dell’ultima Quinzaine des réalisateurs a Cannes (dove il film ha avuto la sua première), Pietro Marcello sottolinea spesso come per lui contino i metodi più che i modelli. In effetti il suo cinema richiede un metodo collaudato, una ricetta segreta in cui ogni ingrediente è dosato e perfettamente amalgamato per creare (rigorosamente) in pellicola le immagini più adatte al racconto. Questa artigianalità nel processo, che contraddistingue tutti i film di Marcello, è ancora più coerente nel suo ultimo film, dove si mette al servizio di una storia che racconta proprio un mondo di artigiani e lavoratori manuali.
Un impressionante punto di forza del film è poi la scelta del casting. Al di là della bravura degli attori, ognuno di loro – compreso Louis Garrel, qui in un ruolo minore – è fisiognomicamente perfetto per il proprio personaggio. Raphael Thierry, su tutti, conferisce a Raphael le fattezze di un gigante dagli occhi azzurri, e presta al personaggio un corpo robusto che unisce la forza del falegname e la delicatezza con cui fa da padre (e madre) a Juliette: una performance splendida. Notevole è anche la scelta di Juliette Jouan nel ruolo dell’omonima protagonista, che alla prima esperienza sullo schermo si muove con la grazia e la consapevolezza del suo personaggio, come se fosse stato scritto apposta per lei. La scena in cui canta Les voiles écarlates nel letto del fiume come una sirena al tramonto, è girata e interpretata magnificamente.
Le vele scarlatte è la favola che mancava al lavoro di Pietro Marcello e in un certo senso ne segna l’approdo definitivo alla finzione. La chiave d’accesso resta sempre però, paradossalmente, la radice documentaristica del suo cinema, che contamina i piani in modo sperimentale e personale. L’audacia delle sue scelte e la passione con cui le porta avanti lo rendono, ad oggi, uno degli autori più interessanti del cinema contemporaneo.