Fulvio Carmagnola / L’economia dell’immaginario

30 Gennaio 2020

Fulvio Carmagnola è un filosofo che s’interroga da tempo sul ruolo ricoperto dall’economia dell’immaginario nella società. Un’economia che presenta una natura paradossale, in quanto tiene insieme due elementi opposti ed è proprio ciò a renderla affascinante, ma è anche inspiegabile da parte di un pensiero come quello della modernità, che funziona sulla base della logica razionale. Carmagnola, inoltre, è da sempre attratto dagli oggetti, da quelli cioè che rappresentano il principale interlocutore dell’essere umano e occupano vistosamente il mondo in cui questi vive e opera. Si è occupato perciò frequentemente di merci, merci di culto, gadget, auto, moto, ecc. Da qualche anno, però, la sua riflessione si è concentrata in maniera ancora più incisiva sugli oggetti. Nel 2015, ha prodotto un libro di piccole dimensioni ma estremamente denso: Dispositivo. Da Foucault al gadget (Mimesis). In tale libro, Carmagnola condivideva la posizione di Giorgio Agamben (Che cos’è un dispositivo?, Nottetempo) secondo la quale nel mondo esistono due grandi gruppi o classi: gli esseri viventi e i dispositivi. I soggetti sono il risultato della relazione dialettica che si instaura tra gli esseri viventi e i dispositivi. Pertanto, ogni dispositivo implica una soggettivazione, cioè un processo che è in grado di dare vita a un soggetto. Secondo Agamben, però, nell’attuale fase sociale questa capacità dei dispositivi di produrre dei soggetti è andata in crisi e dunque è possibile parlare di «desoggettivazione», cioè della creazione di soggetti “spettrali”. 

 

Per Carmagnola, comunque, è stato Michel Foucault a introdurre il concetto di dispositivo e a definirne le principali caratteristiche. Per tale autore, si tratta sostanzialmente di una «tecnologia del potere», vale a dire una modalità attraverso la quale il potere si manifesta e cerca di regolare i comportamenti degli individui. Il che comporta, come ha scritto Carmagnola, che il dispositivo non possa essere considerato uno strumento neutrale e che sia necessario invece ritenere che il soggetto venga «plasmato, prodotto, “soggettivato” o a sua volta “iscritto” dal dispositivo» (p. 65). Va considerato però che per lo stesso Carmagnola Foucault ha attribuito al potere del dispositivo anche una forza di tipo produttivo, la quale non impedisce di fare, ma piuttosto spinge a fare. È in grado pertanto di stimolare la creatività propria degli esseri umani. 

 

Con il volume Il mito profanato. Dall’epifania del divino alla favola mediatica (Mimesis), in cui nel 2017 si occupava del tema del mito, Carmagnola sembrava a prima vista essersi allontanato degli oggetti, mentre in realtà era proprio per mettere a fuoco meglio la natura ibrida dell’economia dell’immaginario che concentrava la sua attenzione sul mito. Non a caso in tale volume era particolarmente vicino al concetto di «macchina mitologica» messo a punto negli anni Settanta dall’antropologo Furio Jesi. Infatti, scriveva che «la macchina non inganna, perché funziona in un regime che non è più quello della verità o dell’opposizione vero/falso» (p. 92).

Con il nuovo libro Essere e gadget. La macchina del sentire (Mimesis), Carmagnola fa ulteriormente progredire la sua riflessione sugli oggetti. Il tema della macchina ritorna e anzi è esplicitamente citato nel sottotitolo. E Carmagnola in tale libro si chiede che cosa comporti il fatto che gli oggetti oggi, grazie alla loro sofisticata natura tecnologica, siano in grado di operare e interagire con gli esseri umani. La sua risposta è che sia necessario considerare la capacità attuale degli oggetti di sentire allo stesso modo degli esseri umani. Cioè la loro capacità di provare delle sensazioni. Dunque il sentire, una facoltà propria da sempre degli organi di senso del corpo umano, può essere esteso oggi anche a qualcosa che è esterno al soggetto: l’oggetto. 

 

 

La cultura moderna ci ha abituati all’idea che la macchina è uno strumento a disposizione degli esseri umani. Forse il punto più avanzato di questa concezione è quello di Marshall McLuhan, per il quale il medium è una macchina che si fa protesi, cioè si integra con il corpo umano, ma lasciando al soggetto tutta la sua capacità di esercitare un potere. Ora invece, suggerisce Carmagnola, l’essere umano sta delegando progressivamente il suo potere alla macchina. Perché è evidente che, come ha affermato Jacques Lacan, citato dallo stesso Carmagnola, «una macchina dei nostri giorni non ha nulla a che vedere con un utensile».

 

È dunque inevitabile per Carmagnola fare i conti con quelle pagine dei Grundgrisse, il laboratorio teorico di Karl Marx, nelle quali era già presente l’idea di una macchina estremamente potente. Una macchina in grado d’integrare il singolo operaio al suo interno e di operare come un “sistema automatico”, impersonale e sovraindividuale. E nel quale dunque l’operaio non controlla più il suo strumento. La macchina è autonoma, sebbene l’operaio, pur essendo espropriato del suo potere, per il fatto che entra a far parte del funzionamento della macchina, nel contempo si arricchisca facendo partecipare la sua mente alla costruzione del sapere sociale generale, del «general intellect». Allo stesso tempo, la macchina si presenta come un agente potente, ma anche come uno strumento di trasformazione sociale, in grado di mettere in crisi il valore di scambio e di dare vita a una nuova «soggettività distribuita», a un «intelletto pubblico». Dunque, come ha scritto Carmagnola, «Nella dialettica marxiana, espropriazione ed emancipazione sono inestricabilmente connesse» (p. 103). D’altronde, anche la merce per Marx è duplice, in quanto agisce come se fosse dotata di una vita propria. Dunque, sente e fa sentire. 

 

Pertanto, come proponeva anche Mario Perniola in contrasto con la visione soggettiva della tradizione fenomenologica, il sentire non è più attribuibile a un “soggetto che sente”, perché si presenta come un fatto sociale. A fianco di un general intellect, come propone Carmagnola, si può ipotizzare dunque anche la presenza di un «general feeling». Il quale viene generato da una vera e propria «macchina del sentire», la quale opera insieme alla macchina produttiva marxiana. È tale macchina del sentire che consente all’economia dell’immaginario di funzionare. E consente anche alle merci che più la caratterizzano, le merci-gadget, nelle quali la dimensione dell’utilità diventa secondaria, di assumere lo statuto di beni ad alta qualificazione “estetico-artistica” e di suscitare il desiderio degli esseri umani, grazie al quale possono generare il «plus-valore» teorizzato da Marx, ma anche il «plus-godere» di cui parlava Lacan. Proprio perciò, secondo Carmagnola, il gadget è in grado di ottenere l’unificazione delle due estetiche che Kant aveva mantenute separate: una teoria della sensibilità – il sentire – e una teoria del bello privo di scopo. 

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