Lezioni americane: flessibilità

20 Febbraio 2016

1.

Rileggendo le Lezioni americane non ho potuto fare a meno di soffermarmi su quella che è senza dubbio la nozione più enigmatica in un discorso che sembra mirare a una massima trasparenza. L’obiettivo dell’autore è chiaramente delineato: indicare sei valori, o virtù, di cui si auspica la permanenza, se non il primato, durante il millennio che sarebbe iniziato di lì a poco. Leggerezza, rapidità, esattezza, visibilità, molteplicità vanno a formare un quadro coerente: le connessioni reciproche non risaltano tutte con la medesima immediatezza, e Calvino non rinuncerà a chiarire che, per esempio, la leggerezza va associata “con la precisione e la determinazione, non con la vaghezza e l’abbandono al caso” (p. 17); ma, dopo aver acquisito il senso di queste virtù, sembra difficile trovare un’incoerenza, o anche solo una dissonanza, tra di esse.

 

E tuttavia, quasi subito, il discorso si complica: l’elogio unilaterale rallenta, sino al punto da arrestarsi nel riconoscimento del contrario. Scrive Calvino: “Ogni valore che scelgo come tema delle mie conferenze, l’ho detto in principio, non pretende d’escludere il valore contrario: come nel mio elogio della leggerezza era implicito il mio rispetto per il peso, così questa apologia della rapidità non pretende di negare i piaceri dell’indugio” (p. 45).

 

Come intendere quest’affermazione? In che senso valori contrari possono coesistere? Questo interrogativo sarebbe stimolante anche se Calvino si stesse riferendo soltanto alla propria “poetica”, al proprio lavoro di scrittore; ma le Lezioni americane hanno l’ambizione di rivolgersi al futuro millennio. E poiché attingono a tutta la storia della letteratura, come negare che qui emerge l’ambizione a interrogarsi sulla letteratura in generale?

 

La tesi di un legame tra gli opposti incontra per lo più due diversi destini: o viene accettata in maniera irriflessa, per la sua forza di suggestione e per l’evidenza con cui si manifesta in certi fenomeni, particolarmente quelli estetici, oppure viene respinta, considerata come fonte di inammissibili confusioni. Per le logiche rigide – e la logica, fino agli sviluppi più recenti, è stata quasi sempre una logica della rigidità –, un enunciato che afferma il legame tra gli opposti è insensato: a meno che non si trovi la possibilità di riformularlo eliminando la sua apparente contraddittorietà. È questo l’atteggiamento di Gabriele Lolli, in Discorso sulla matematica. Una rilettura delle “Lezioni americane” di Italo Calvino (2011). Si tratta di un saggio brillante, che propone interessanti analogie tra letteratura e matematica, in quanto generate da un medesimo insieme di disposizioni intellettuali. Di fronte a questo tipo di riflessioni non riesco peraltro a dimenticare quanto scrive Coleridge sull’analogia, e cioè che difficilmente essa cammina su tutte e quattro le gambe. Sta di fatto che Lolli finisce con lo smentire la sua ipotesi, quando rileva che, mentre scrittori come Gadda intrecciano i livelli, fanno proliferare i dettagli, sfruttano tutto il potenziale semantico delle parole, “In matematica l’esito è opposto, anche se l’epistemologia è simile: i livelli linguistici non si sovrappongono, sono tenuti ben distinti e i garbugli vengono sciolti. Le parole che vorrebbero dare mille sfumature sono abbandonate, per poter trascurare i dettagli, perché i dettagli nascondono le relazioni dei sistemi. Nei dettagli vi è il diavolo, non il buon Dio, come pensava Valéry” (p. 207). E come probabilmente riteneva Calvino.

 

Si può ancora sostenere che “le modalità del processo creativo”, in matematica e nella letteratura, coincidono? (p. 11). Forse si dovrà intendere con maggior prudenza l’affermazione di Calvino per cui “l’atteggiamento scientifico e quello poetico coincidono: entrambi sono atteggiamenti insieme di ricerca e di progettazione, di scoperta e d’invenzione” (Una pietra sopra, in Saggi, p. 108). Un’affermazione “così generale”, osserva Lolli, non offre una base adeguata, ma nelle Lezioni americane si indicherebbero “analogie più profonde” (p. 10). Ecco che siamo riportati al punto che ci interessa maggiormente.

 

 

2.

“Ogni valore che scelgo … non pretende d’escludere il valore contrario”. Questa posizione appare non poco azzardata dal punto di vista logico, a meno che non si proceda subito a disinnescarne la pericolosità. Nella realtà fisica e in quella sociale, i contrari possono contrapporsi (come due persone che si sfidano a braccio di ferro) ma anche coesistere in spazi separati. Nella letteratura ci sono gli scrittori della pesantezza e quelli della leggerezza: evidentemente, queste due opzioni sono entrambe legittime. Ma è soltanto questo che intende dire Calvino? in tal caso la sua posizione sarebbe impeccabile dal punto di vista logico, ma anche del tutto banale. E resterebbe tale se si riferisse alla possibilità, per uno scrittore, di alternare due forme di scritture opposte, o di collocarle in una successione.

 

La sensazione è che Calvino stia indicando non una coesistenza, bensì un legame paradossale, sulla cui ampiezza di diffusione bisogna interrogarsi. Questo legame caratterizza l’intera letteratura? La letteratura è un linguaggio anti-separativo? In questa formulazione si ripresenta una domanda che soprattutto negli ultimi due secoli è stata posta molte volte, e che smentisce la bizzarra affermazione di Lolli, secondo cui “La filosofia non si chiede, ma nessuno in verità se lo chiede, che cosa sia la letteratura, mentre che cosa sia la matematica è un cruccio che tormenta l’umanità da più di duemila anni” (p. 13). Restringiamo per il momento la domanda: questo legame caratterizza la scrittura di Calvino, meglio di quanto non riescano a coglierla le proprietà della leggerezza, della rapidità, ecc.?

 

Secondo Belpoliti, “Il problema della conciliazione degli opposti è propria la chiave dell’opera di Calvino” (L’occhio di Calvino, ediz 1996, p. 6). In effetti, questo problema viene declinato in molte forme: la mappa e il labirinto, la fiamma e il cristallo, Mercurio e Saturno, il granchio e la farfalla, la città e il tappeto (a Eudossia, nelle Città invisibili), e altre variazioni in Palomar, dove la costruzione ternaria viene attraversata da un’articolazione binaria (silenzio/parola, caos/cosmo, ecc.; ibid., 44). Equilibrio tra due polarità? Complementarità, più che opposizione? “ciò che minaccia il possibile equilibrio tra le diverse polarità è “un’entità che Calvino esprime coi termini gaddiani di “groppo”, “grumo”, “ingorgo” (ibid., p. 44). Questi termini indicano un annodamento, dunque un legame: “l’arte di fare i nodi, culmine insieme dell’astrazione mentale e della manualità, potrebbe essere vista come la caratteristica umana per eccellenza, quanto e forse più del linguaggio” (Ditelo con i nodi, 1983, in Belpoliti, 60).

 

Sembra plausibile affermare che nella letteratura si manifesta l’arte dei nodi. Nella mia terminologia, la letteratura è un linguaggio anti-separativo, dunque “congiuntivo”.

 

Tuttavia: fare nodi non è un’arte pericolosa? Non si rischia di creare nodi troppo stretti, cioè paralisi per il pensiero? Non è forse nei nodi che va individuata l’origine delle antinomie (ad esempio quella scoperta da Russell), che il logico deve saper sciogliere? Riprendendo il titolo di un libro di Odifreddi: C’era una volta un paradosso, ma ora non c’è più: non è forse questo lo slogan in cui la logica può riassumere il suo obiettivo? La logica – o la logica della rigidità? Per questo stile logico è fondamentale non intrecciare o sovrapporre i livelli, servirsi di termini univoci, collegare i termini soltanto con nessi separativi. La “et” della logica rigida è quella che troviamo in “Paolo e Luisa hanno preso lo stesso treno”, e non in enunciati che parlano di Tristano e Isotta: in quest’ultimo caso vengono nominate identità sconfinanti l’una nell’altra.

 

Esiste una logica della flessibilità? La letteratura ne è la dimostrazione. Annodare gli opposti senza creare paralisi, questa è l’arte suprema dei nodi.

 

3.

Un ultimo chiarimento. Secondo Lolli “Apprezzare e realizzare valori contrapposti può sembrare lecito in letteratura, perché questa sopporterebbe la contraddizione; tuttavia succede anche in matematica, dove la contraddizione non è sopportata, ma è evitata” (p. 219). Anche questa sconcertante affermazione va respinta: la letteratura non sopporta la contraddizione più di quanto non la tolleri la matematica. Su questo punto esse concordano pienamente. Ciò in cui differiscono è il tipo di relazioni, e lo stile di pensiero, di cui si servono. La letteratura si serve anche della rigidità, ma in funzione di un primato della flessibilità. E la flessibilità consiste, tra l’altro, nell’annodare forze opposte, in modo tale che esse si correggano a vicenda e producano un effetto non immaginabile nella loro separazione.

 

Festina lente (affrettati lentamente): è un paradosso amato da Calvino, e citato nelle Lezioni americane (p. 47). È una massima che appartiene anzitutto al pensiero strategico, e all’arte militare: era il consiglio di Augusto ai suoi generali. Ma è anche un principio che illumina l’arte degli scrittori, che si distinguono non perché scelgono unilateralmente la leggerezza o la pesantezza, la velocità o la lentezza, ma perché ciascuno di essi trova un modo nuovo per annodare gli opposti. Credo che il filo invisibile delle Lezioni americane sia la flessibilità, la virtù grazie a cui ciascuna delle altre riconosce se stessa non come univoca, ma come duplice.

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