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Scenari / Libri, lettori, editori e librai alla stretta del Coronavirus

6 Aprile 2020

Per l'editoria italiana la crisi è esplosa prima del lockdown: “Nell'ultima settimana, quella dell'esplosione dell'emergenza, si registra un –23% sul mercato nazionale dei libri e addirittura un –55% su quello milanese” (Raffaella De Santis, E l'editoria italiana teme il contagio, in “la Repubblica”, 6 marzo 2020). 

Questo calo è stato poi accelerato dalla chiusura delle librerie in tutto il paese, decretata il 9 marzo. Un'ulteriore difficoltà l'hanno segnalata alcuni “lettori forti” come Michela Marzano, che il 14 marzo ha twittato: “Scusate, ma capita solo a me (che leggo sempre, da sempre, tantissimo, sin da bambina i libri sono stati la mia ancora di salvezza) di non riuscire a leggere in questi giorni?” Una disaffezione dovuta anche alla bulimia di informazioni sull'attualità, all'ansia del presente che ci ha travolto nella fase più acuta della crisi. Diventa arduo trovare la distanza necessaria per farsi risucchiare dall'altrove del libro. 

Dopo il lockdown, le aziende editoriali avrebbero potuto passare abbastanza facilmente al lavoro da casa e puntare sulle vendite online e sugli ebook. Ma le librerie restano il canale di vendita principale. Nei primi quattro mesi del 2019 (dati AIE, (Associazione Italiana Editori) i libri sono stati venduti per il 43,5% nelle librerie di catena e per il 24% nelle librerie indipendenti; le vendite negli store online valevano il 25,9% sul totale, mentre la quota della grande distribuzione organizzata (i supermercati) era sceso al 6,6%.

Le librerie non sono solo un canale di vendita. Perché un libro circoli, è necessario che se ne parli, che scatti il passaparola. Ma le presentazioni delle novità sono state cancellate, e la stessa sorte è toccata ai festival e ai saloni.

 

L'importanza degli eventi

 

L'edizione 2020 della Children's Book Fair a Bologna, l'unica vera fiera internazionale del nostro paese, è stata cancellata, anche se dal 4 maggio sarà attivo un Rights Center online: “Con la cancellazione delle fiere internazionali, la necessità di creare modi nuovi e innovativi per continuare il business della vendita e dell'acquisto dei diritti è quanto mai importante”, ha sottolineato Jon Malinowski, fondatore di PubMatch, la piattaforma che gestirà i 1500 espositori registrati.

Cancellate anche le edizioni 2020 di Bookpride a Milano e del Salone del Libro di Torino (per una panoramica del festival rinviati, cancellati o trasferiti online, vedi qui). La stessa sorte rischiano decine di altre manifestazioni nei prossimi mesi, visto che probabilmente gli “assembramenti” verranno penalizzati anche nella “fase B”, quella del progressivo ritorno alla normalità. 

La conseguenza è stata immediata: “Più diminuiscono le occasioni per parlare di libri, più si erodono le vendite” (Raffaella De Santis, cit.). I lettori curiosi non gironzolano più tra i banconi e gli scaffali delle librerie per farsi sorprendere da un titolo di cui ignoravano l'esistenza, da una copertina eccentrica. Si è inceppato il passaparola generato da un dibattito appassionante (magari anticipato da un'intervista su un giornale o alla radio), con buona pace di chi ritiene che presentazioni e festival siano inutili.

 

Il blocco della filiera

 

La chiusura delle librerie – che ha contribuito in maniera determinante a un calo delle vendite del 75% nelle prime settimane di lockdown – ha bloccato l'intera filiera. Se distributori e librai non assorbono più le novità, è inutile produrle e stamparle. 

Non sappiamo ancora quanto durerà il blocco, ma ai primi di aprile l'osservatorio dell'AIE ha previsto che verranno pubblicati oltre 23.000 titoli in meno, su un totale di quasi 80.000 novità all'anno nel 2019 (anche se la maggior parte di esse ha venduto meno di 3 copie): questo corrisponde a 50 milioni di copie in meno. Per gli editori indipendenti, che rappresentano il 46,5% del mercato, marzo si è chiuso con un crollo di fatturato del 68%, bruciando 60 milioni di euro (dati ADEI – Associazione degli Editori Indipendenti). 

Non è ovviamente pensabile spostare le novità all'autunno, visto che il mercato non potrà assorbirle. Le vendite perdute in primavera, sono perdute per sempre. La gran parte degli editori sta rivedendo il piano editoriale: a superare la strettoia saranno con tutta probabilità i libri di maggiore impatto commerciale.

Il 30 marzo il 64% delle aziende editoriali aveva già avviato o previsto le procedure per la cassa integrazione. Ma nel settore della cultura i lavoratori dipendenti sono una minoranza. Gran parte delle funzioni editoriali è stata esternalizzata e viene svolta da collaboratori a contratto, con o senza Partita Iva. A essere colpite per prime e più duramente sono anche in questo caso le fasce più deboli, con scarsi strumenti di tutela: anche se sono loro a sostenere con le loro competenze buona parte del ciclo produttivo. (L'editoria non ha neppure potuto usufruire di misure analoghe a quelle che il decreto “Cura Italia” del 17 marzo ha riservato a un altro settore fragile e totalmente azzerato dal coronavirus, quello dello spettacolo dal vivo.)

 

Tattiche di resistenza

 

Una prima strategia difensiva, volta anche a fidelizzare i clienti, sono state le offerte di ebook dalle varie piattaforme, a titolo gratuito o con forti sconti. Qualcuno si è mosso in controtendenza, come La Nave di Teseo di Elisabetta Sgarbi, che in piena quarantena ha lanciato con grande clamore sui media e in ebook la discussa autobiografia di Woody Allen, A proposito di niente. Non mancano progetti benefici: GeMS propone Andrà tutto bene, una antologia in ebook i cui proventi andranno all'Ospedale Giovanni XXIII di Bergamo.

Le librerie indipendenti si sono messe in rete hanno lanciato LibridaAsporto, un servizio di consegna a domicilio senza spese di consegna, che per ora vengono sostenute da raccolta fondi degli editori. 

Ma l'immediata, istintiva risposta di editori, librerie, autori, festival e biblioteche, è stata una vitalistica dichiarazione di esistenza, il tentativo di spostare per quanto possibile le proprie attività in rete. Impossibile censire tutte le dirette streaming Facebook, Instagram, Youtube, tutti i webinar, i corsi e tutorial, le interviste e le autointerviste, i consigli di lettura attivati, i podcast che hanno inondato la rete in queste settimane, in un'esplosione analoga a quella che ha interessato i musei e lo spettacolo dal vivo (vedi il reportage di Massimo Marino su doppiozero e il nuovo progetto Radio India). 

Queste esperienze online non possono sostituire la lettura di un libro o la fisicità dell'incontro con l'autore: tuttavia c'è da sperare che questo fiorire di iniziative, basate sull'innovazione tecnologica e sulla creazione di reti, possa selezionare alcune buone pratiche, magari partecipate, aperte e centrate sull'integrazione tra reale e virtuale: potranno essere la base per un rilancio del settore dopo la fine dell'emergenza.

 

Chi sta già vincendo

 

Nel corso di questa crisi le grandi piattaforme online hanno un forte vantaggio competitivo. Sono rimaste attive. Approfittano anche del mutamento delle abitudini di acquisto dei consumatori, confinati tra le mura domestiche. Alibaba, la Amazon cinese, si è imposta durante la crisi della Sars nel 2003. 

Il 18 marzo Amazon ha annunciato che assumerà 100.000 nuovi dipendenti tra Europa e USA (anche se per ora ha deciso di privilegiare i “prodotti essenziali”, e dunque non i libri, ma par di capire più per l'imbuto logistico causato dal moltiplicarsi degli ordini che per altre considerazioni). Dopo la chiusura di teatri e cinema, i download dell'app di Netflix sono aumentati in Italia del 66% (e in Spagna del 34%). Tra il 31 gennaio e il 23 marzo le azioni di Zoom, il servizio di videoconferenza più usato per lo smart working, sono salite del 101%, malgrado le accuse di hackeraggio e di violazione della privacy.

Il settore dei podcast era già in forte sviluppo, dopo l'ingresso nel mercato italiano di multinazionali come Audible (ovvero Amazon) e Storytel: le due piattaforme hanno già il 40% di abbonati tra i 4 milioni di utenti di audio libri. Sempre sulla base dei dati dell'Osservatorio AIE (dicembre 2019), tra gli altri utenti, il 44% ha scaricato gratuitamente da altri siti, il 28% ha acquistato titoli da altre piattaforme, il 21% dai siti dei singoli editori. 

 

La nuova legge sul libro

 

Il 25 marzo 2020 è entrata in vigore la nuova Legge sulla promozione del libro e della lettura. È stata approvata a grande maggioranza dal Parlamento ma ha diviso il mondo del libro: favorevoli editori, librerie indipendenti e cartolibrerie, contrari i grandi gruppi. 

L'oggetto del contendere è il tetto massimo dello sconto, limitato al 5% rispetto al prezzo di copertina, che viene stabilito dall'editore. La leva dello sconto favorisce chi assorbe grandi quantità di copie, grazie al differenziale sul prezzo d'acquisto dal grossista: è stata utilizzata dal marketing di catene, grande distribuzione e librerie online per ampliare la loro quota di mercato. È uno dei fattori che ha portato negli scorsi anni alla chiusura di centinaia di librerie in tutta Italia, anche se non è certo l'unico. 

Il vincolo imposto allo sconto massimo dovrebbe salvaguardare gli operatori indipendenti e più piccoli. Limita però la libera concorrenza e, almeno nell'immediato, impone ai consumatori prezzi più alti. In questa fase delicata, la trattativa sulla divisione del margine che contrappone gli editori ai canali di distribuzione e di vendita inserisce ulteriori margini di incertezza.

L'ossessione sullo sconto – in una visione a breve termine del problema – ha messo in secondo piano gli altri provvedimenti previsti dalla legge, che interessano diversi altri aspetti e offrono tra l'altro un significativo riconoscimento a progetti già avviati come la Capitale italiana del libro, i Patti della lettura e #ioleggoperché (qui la nuova legge sul libro spiegata bene). 

È fin troppo facile evidenziare i limiti di un provvedimento disorganico, con scarse risorse e soprattutto pensato prima dell'attuale tracollo. Tuttavia questa Legge è un primo tentativo di offrire un reale sostegno al libro, in un paese che ha indici di lettura molto inferiori alla media europea: dietro di noi ci sono solo Slovenia, Cipro, Grecia e Bulgaria.

 

 

Con la cultura si mangiava

 

Va ribadito un dato che non era evidente a tutti, a cominciare da alcuni economisti. Nonostante i bassi consumi culturali, in Italia con la cultura si mangiava, almeno fino al 23 febbraio. Il settore dà lavoro a decine di migliaia di addetti e contribuisce a una quota significativa del PIL. Secondo l'ultimo rapporto di Fondazione Symbola, Io sono cultura 2019, nel settore culturale erano attive 291.025 imprese, pari al 4,8% del totale. Il sistema culturale e creativo dava lavoro a più di 1.550.000 persone, con una significativa quota di giovani.

Il tracollo del settore, che vede nella filiera del libro il suo fulcro, sarebbe dunque gravissimo anche dal punto di vista economico e dell'occupazione.

 

Uscire dal tunnel

 

In questa fase drammatica, che rischia di protrarsi ancora per diverse settimane, è prioritario il sostegno ai lavoratori, soprattutto i più deboli, i precari, quelli più difficili da intercettare. 

Poi deve arrivare il sostegno alle aziende, attraverso i provvedimenti di cui si discute in questi giorni, per evitare fallimenti a catena. Presumibilmente un aiuto importante lo otterranno le case editrici (e in generale le aziende) più grandi, se funzioneranno le misure a sostegno delle imprese (Europa permettendo). Queste strutture sono meglio attrezzate dal punto di vista finanziario (e sono “too big to fail”). 

Potranno sopravvivere, con sacrifici ancora maggiori del solito, le aziende più piccole, che sono più flessibili e possono contare sui meccanismi di autosfruttamento che caratterizza le moderne professioni creative. Le difficoltà maggiori le incontreranno le aziende di medie dimensioni, quelle che dovranno pagare mesi di affitti e utenze senza alcun incasso (sempre che la cassa integrazione per i dipendenti funzioni davvero). A essere minacciata è dunque la “bibliodiversità”: l'ecosistema del libro si nutre anche della sua varietà, che è sintomo della capacità di creare nuovi prodotti e conquistare nuove fasce di pubblico.

È necessaria dunque una terapia intensiva per garantire la sopravvivenza di un settore congelato dal lockdown. Ma poi, superato questo incubo, l'editoria sarà in grado di riprendersi? Quali saranno i consumi culturali di un paese che attraverserà una grave crisi economica, e che non ha mai messo la cultura al centro delle proprie preoccupazioni e ambizioni, salvo vantarsi del glorioso passato e dei siti UNESCO?

Un primo punto di svolta, che potrà rimettere in moto la filiera, sarà la riapertura delle librerie. Il 26 marzo Matteo Renzi ha proposto di riaprire le librerie, che sono “luoghi dell'anima”. Il 1° aprile si è accodato “il manifesto” lanciando una petizione che chiede la loro nei tempi più rapidi, ferma restando la salvaguardia della sicurezza di lavoratori e clienti. 

Va peraltro tenuto presente che le librerie in Italia sono poche centinaia, quasi tutte nel centro delle città. Le modalità di apertura degli esercizi commerciali e la programmazione degli eventi saranno graduali e non saranno omogenee nei vari territori. Ci sarà sempre il rischio di stop and go, nel caso di nuovi focolai. Il terminale della filiera rischia di funzionare a singhiozzo.

 

Il rilancio del settore culturale

 

L'impatto del coronavirus sul settore della cultura rischia di essere devastante, perché si è abbattuto su un settore già fragile e precario. Sta mettendo a nudo tutte le debolezze del sistema e rischia di disarticolarlo. Probabilmente le amministrazioni comunali e le Fondazioni Bancarie (almeno quelle del Nord, più impegnate su questo versante) taglieranno i fondi destinati alla cultura, compresi festival ed eventi letterari, che pure potrebbero avere un ruolo cruciale per riconquistare il diritto alla socialità culturale.

Di queste difficoltà se ne stanno accorgendo in tanti. Accanto alle richieste delle associazioni di categoria e dei sindacati dei diversi comparti, si stanno moltiplicando gli appelli e le iniziative che hanno per obbiettivo il sostegno al sistema culturale nel suo complesso: “Quel patrimonio immenso fatto di teatri di prosa e sale cinematografiche, teatri dell'Opera, musei, gallerie, siti archeologici, auditorium, balletti, orchestre, librerie, biblioteche, Conservatori, scuole d'arte e di fotografia, laboratori artistici e artigianali”. Così dalle colonne del “Corriere della Sera”, il 26 marzo 2020, Pierluigi Battista ha lanciato un appello per un Fondo nazionale per la Cultura, “in cui i risparmiatori possano partecipare a un piano di salvezza culturale nazionale”, raccogliendo in pochi giorni migliaia di firme e l'adesione di realtà come Federculture, Museimpresa, FAI e Fondazione Corriere della Sera.

In parallelo un gruppo di accademici, professionisti e operatori del settore ha lanciato Coronavirus, “un programma per salvare le imprese culturali” che prevede una articolata serie di misure. Sul breve periodo, si tratta di estendere l'Art Bonus a chi rinuncia ai voucher per gli spettacoli annullati previsti dall'art. 88 del DPDG “Cura Italia”, nuove convenzioni tra PA e Imprese Culturali (a parziale compensazione dell'annullamento dei vari servizi in questi mesi), esonero del versamento dei contributi previdenziali e misure a sostegno della liquidità per le realtà culturali attive nel Terzo Settore. Nel breve periodo, si tratta di rilanciare alcuni strumenti di cui si discute da tempo (e che a volte avevano già iniziato l'iter parlamentare). In particolare:

 

1. Approvazione della disciplina delle Imprese culturali e creative 

2. Istituzione del Fondo per lo sviluppo delle attività culturali e creative 

3. Credito d'imposta per le imprese culturali e creative 

4. Istituzione delle Zone Franche della cultura 

5. Uso di immobili pubblici per attività culturali e creative 

6. Incentivi fiscali per il settore cinematografico e audiovisivo

7. Misure a sostegno delle imprese nel settore dell’editoria

8. Fondo giovani per la cultura e reclutamento di funzionari archivisti

 

Il 4 aprile 2020 i ministri della Cultura di Italia, Germania e Spagna, Dario Franceschini, Michelle Müntefering e José Manuel Rodríguez Uribes, hanno pubblicato (in Italia sul “Corriere della Sera”) una riflessione sulle strategie per affrontare la crisi, dove ribadiscono la loro determinazione “a proteggere il nostro bene più prezioso: la fiducia in una convivenza solidale e nella forza della cultura”. Invitano gli operatori culturali e creativi “a un forum di discussione virtuale, previsto per la seconda metà dell'anno”, in cui raccogliere “le tante idee creative che stanno nascendo nel cuore delle nostre società e che vedono la luce in tutta l'Europa, soprattutto anche nello spazio digitale”. 

 

L'editoria nel futuro scenario culturale

 

C'è chi pensa che, passata la tempesta, tutto tornerà più o meno come prima. Una spietata selezione darwiniana avrà eliminato i soggetti più deboli, creando una “immunità di gregge imprenditoriale”, ma l'entusiasmo per la ritrovata normalità farà sbocciare nuovi progetti, in un nuovo Rinascimento.

Ma anche da questi appelli per un Piano Marshall Culturale è chiara la consapevolezza che è diventato necessario ragionare in termini complessivi sull'intero comparto (e magari sarebbe opportuno anche superare le rigidità della dicotomia tra pubblico e privato). Il singolo settore, la singola filiera, la singola azienda, il singolo professionista non possono sperare di superare indenni la crisi. 

Si tratterà di rilanciare i consumi culturali, di riconquistare forme di socialità perduta (oltre la paura), di inventare forme, generi e formati adeguati ai tempi nuovi. La crisi, oltre a indicibili sofferenze, sta cambiando molti parametri della socialità, dell'economia, della politica, dell'informazione, e dunque della cultura che li sottende e li ispira. Certo non cambierà tutto, e avremo l'ansia di tornare alla normalità. Ma molte cose – soprattutto quelle di cui non ci accorgiamo – stanno già cambiando, e ci stanno già cambiando.

 

Forse saremo più consapevoli di un eccesso dell'offerta che ha saturato e disorientato i lettori. Forse capiremo che i progetti di audience development and engagement hanno un ruolo centrale anche per la lettura. Forse la fine della “dittatura del dilettante” ci spingerà a ricercare competenze verificate. Forse avremo solo una gran voglia di divertirci e di pensare ad altro. 

In questi decenni, l'editoria ha dimostrato una notevole capacità di adattamento di fronte all'avvento del digitale (e questo ha voluto dire per esempio confrontarsi con l'e-commerce e gli ebook). Saprà certamente adattarsi anche a questo shock, restando fedele alla propria vocazione di “impresa culturale”. Attenta da un lato agli aspetti economici della sostenibilità (anche ambientale, verrebbe da aggiungere). E dall'altro a raccogliere, condividere e preservare la nostra esperienza individuale e collettiva, per progettare il futuro. Almeno da questo punto di vista, le settimane che stiamo attraversando con angoscia e fatica offrono uno straordinario esperimento.

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