Londra: Van Gogh cieco d'amore

7 Ottobre 2024

“Perché il più grande colorista di tutti, Eugène Delacroix, giudicò indispensabile andare a sud, e fino in Africa? Ovviamente perché non solo in Africa, ma anche da Arles in poi, troverete naturalmente dei bei contrasti tra rossi e verdi, blu e arancioni, zolfo e lilla. E tutti i veri coloristi dovranno arrivare ad ammettere che esiste un'altra colorazione rispetto a quella del nord”.

Queste le parole di Vincent al fratello Theo, il 18 Settembre 1888, da Arles. Era arrivato in Provenza il 20 febbraio, e in pochi mesi aveva dipinto alcuni tra i suoi massimi capolavori, dalla Notte stellata sul Rodano al Poeta, dai Girasoli al Giardino del Poeta, da Il contadino a L’amante, immergendosi anima e corpo nelle bellezze del posto, nell’osservazione della gente, nella poesia della sua pittura. “Ora ho una lucidità o un accecamento da innamorato per il mio lavoro”, confessa qualche giorno dopo – “un aveuglement d’amoureux” nell’originale francese. 

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Da sinistra: Vincent van Gogh, L’amante (Ritratto del sottotenente Milliet), 1888, Kröller-Müller Museum, Otterlo; Il giardino del Poeta (Giardino pubblico ad Arles), 1888, Collezione privata; Il poeta (Ritratto di Eugène Boch), Musée d’Orsay, Paris, lascito di Eugène Boch, 1941, foto © M. Guzzoni.

È proprio l’uomo innamorato dell’arte e che lavora come un fiume in piena che vediamo in scena alla mostra aperta alla National Gallery di Londra, Van Gogh: Poeti e amanti (fino al 19 Gennaio 2025). Curata da Cornelia Homburg e Christopher Riopelle, la mostra esplora il processo creativo di Vincent, puntando i riflettori sui due anni che trascorse in Provenza, prima ad Arles and poi a Saint-Rémy (febbraio 1888 – Maggio 1890). Con più di 60 opere, importanti prestiti da musei di tutto il mondo e da molte collezioni private, la National Gallery celebra il 200° anniversario, e il centenario dall’acquisto dei Girasoli e della Sedia di Van Gogh, nel 1924. Incredibile ma vero, la National Gallery non aveva mai dedicato una mostra a Van Gogh. 

Genio ancora oggi spesso incompreso, il lavoro di Vincent in Provenza è come un prezioso affresco fatto di audaci forme e colori, ma anche di ispirazioni letterarie, e di immaginazione poetica, nonostante gli alti e bassi della sua esistenza. È così che raggiunge uno stile tutto suo, inconfondibile e unico. La consapevolezza di un lavoro dedicato all’“arte del futuro” è più che mai viva in lui, come dimostrano le sue opere, spesso concepite come un insieme, da esporre in una precisa sequenza. Un vero laboratorio, dal disegno al dipinto, e viceversa, dal dipinto al disegno, le sue sperimentazioni sono emozionanti. Mai così tanti capolavori di questo periodo sono stati riuniti prima d’ora, dai dipinti iconici che lo hanno reso famoso e che tutti amiamo e non ci stanchiamo di osservare, a opere che raramente escono dalle collezioni private. 

La mostra non segue un ordine cronologico ma è concepita a tema, per mettere in evidenza come, nell’arco di questi due anni, Van Gogh abbia ripreso a lavorare sugli stessi soggetti ripensandoli da capo, spingendo la sua ricerca sempre più oltre, osando sempre di più, dal paesaggio al ritratto. Questo approccio innovativo spicca nei vari temi della mostra: Van Gogh: Poeti e amanti; Il giardino: interpretazioni poetiche; La Casa Gialla: una casa d’artista; Montmajour: una serie; Decorazione; Variazioni sul tema. 

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Vincent van Gogh, Il giardino del poeta, 1888, Collezione privata, foto © M. Guzzoni.

Lo sguardo poetico di Vincent

Il giardino del Poeta, che ci accoglie all’ingresso con di fianco due splendidi ritratti L’amante e Il poeta, attira immediatamente il nostro sguardo: due innamorati mano nella mano ci vengono incontro, sotto l’ombra di un magnifico albero fatto di pennellate tese, veloci e decise, una sinfonia di verdi con qua e là qualche tocco di arancio. È un giardino pubblico di fronte alla Casa Gialla, che diventa per Vincent un richiamo irresistibile. Ci torna in continuazione, per fissare su tela o su carta le sue sensazioni. In fondo, scrive, è un giardino “senza nulla di speciale”. Eppure è così bello perché “vi si trovano piante e cespugli che ti fanno pensare a paesaggi nei quali uno potrebbe vederci Botticelli, Giotto, Petrarca, Dante and Boccaccio”, racconta a Paul Gauguin il 3 ottobre, usando come spesso faceva la strategia letteraria per stimolare gli amici. Vincent era un avido lettore, e un articolo del critico Henri Cochin pubblicato su La Revue des Deux Mondes è il suo spunto immaginativo che dà il titolo a varie opere. 

E così sotto la sua vena creativa le tele sui giardini prendono vita, i disegni si riempiono e si svuotano di piccoli tocchi di inchiostro ora tratteggiati, ora puntiformi, ondeggianti, baciati da una poetica brezza o da un pallido sole. Il disegno Giardino con salice piangente è un piccolo gioiello della nuova fase dell’artista, raramente esposto: potrebbero essere pennellate ma sono tratti di inchiostro, eseguiti con le cannucce di varie misure. Sono tornata più volte a rivederlo, perché ricordavo una lettera in cui diceva di aver alterato la posizione reale delle piante di questo giardino. Infatti, rispetto ad altri scorci laterali, è proprio qui che l’artista crea un ampio vuoto al centro, un palcoscenico, portando gli elementi sul bordo della carta. L’effetto è davvero misterioso.

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Vincent van Gogh, Giardino con salice piangente, Arles, 1888, The Menil Collection, Houston, foto © M. Guzzoni.

Non dobbiamo stupirci di questa vena poetica di Vincent. Da ragazzo amava i poeti Romantici e Post-Romantici – ne aveva trascritto moltissimi brani in due piccoli album per Theo, quando ancora lavorava nelle gallerie della Goupil & Co. E poi Keats, Longfellow, ma anche Alfred de Musset. Citando il poeta francese, a ventitré anni scriveva a Theo: “devi sapere che spesso in noi c’è un poeta dormiente, sempre giovane e vivo”. 

In questi dipinti e disegni, il poeta non è Dante o Boccaccio che non vediamo – e che non immagineremmo mai senza leggere le sue lettere – ma lui stesso, il suo sguardo è quello di un poeta. Come Rembrandt che, per Vincent, “sapeva fare poesia, essere un poeta, cioè Creatore”. 

Colorista arbitrario & forme astratte

“Quanto a me, lavorerò, e qua e là qualcosa del mio lavoro durerà nel tempo […]. Ma il pittore del futuro è un colorista come non ve n’è mai stato prima”, sottolinea deciso. È una riflessione che Vincent scrive al fratello già nella primavera del 1888, e che tiene conto del panorama artistico parigino che si era da poco lasciato alle spalle: “Manet ha preparato il terreno, ma sai bene che gli impressionisti hanno già usato colori più forti di Manet”. Nei due anni trascorsi a Parigi Vincent aveva assorbito e liquidato in brevissimo tempo la lezione impressionista, si era invaghito delle stampe giapponesi, e ora era pronto per nuovi percorsi: la sua ambizione è quella di diventare “un colorista arbitrario”. Lo vediamo in moltissime tele in mostra come La camera da letto (nella versione conservata a Chicago), o il magnifico ritratto del Contadino. Patience Escalier (in prestito per la prima volta), o nello straordinario cielo verde veronese degli Alyscamps. Ma è con il Seminatore che Vincent finalmente risolve una delle figure più importanti del suo percorso artistico, ispirata a Jean-François Millet. 

La sua devozione per l’artista francese risale ai suoi vent’anni, quando nel 1875 a Parigi ne aveva ammirato i pastelli e i disegni in vendita all’Hôtel Drouot e aveva sentito qualcosa di “sacro”. “Père Millet”, come lo definiva, rimase sempre il suo grande faro: “consigliere e guida in tutto per i pittori più giovani”, sottolineò in una lettera – riferendosi anche ai tanti disegni che aveva realizzato nei suoi primi passi d’artista, copiando dalle opere del maestro. La sacralità insita in un gesto semplice, eppure grandioso come la semina, è un tema che Vincent inseguiva da sempre, in disegni, schizzi, dipinti. L’arte come missione è qui celebrata con un enorme disco giallo che sovrasta la testa del Seminatore, in una simbolica aureola. Un grande tronco che evoca le stampe giapponesi attraversa la tela diagonalmente, mentre una figura scura assorbita nella semina avanza verso di noi. La sua descrizione al fratello è telegrafica, “immenso disco giallo limone per il sole. Cielo verde-giallo con nuvole rosa. Il campo è viola il seminatore e l’albero blu di Prussia”. Da vero amante della natura, camuffa la sua firma ‘Vincent’ sul tronco stesso, in basso a destra. Non la nota nessuno. 

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Vincent van Gogh, Seminatore, 1888, Sammlung Emil Bührle, prestito a lungo termine alla Kunsthaus Zürich, foto © M. Guzzoni.

Più avanti ci immergiamo letteralmente in una sala piena di uliveti, un tema che lo affascina non appena può uscire dalle mura dell’ospedale di Saint-Rémy, nell’estate del 1889. Il dipinto e il disegno degli Alberi di ulivi, qui esposti l’uno accanto all’altro, ci portano nel vivo del processo creativo di Vincent. Il disegno viene dopo il dipinto, e non prima, come potremmo immaginare, e come era la tradizione. Un’energia creativa astratta si sprigiona con forza in entrambe le opere, eseguite in studio. Nel disegno le forme sono appena distinguibili, ripetute, insistite, come per continuare a plasmare un paesaggio che non è più un paesaggio, ma una nuova libertà.

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Da sinistra: Vincent van Gogh, Gli ulivi, 1889, The Museum of Modern Art, New York; Vincent van Gogh, Gli ulivi, dono di Jo Carole e Ronald S. Lauder al Museum of Modern Art, New York, foto © M. Guzzoni.

I trittico di Vincent. I Girasoli e la Berceuse

Per la prima volta, dopo più di un secolo, vediamo realizzato un desiderio di Vincent per un trittico. Ne scrive a Theo il 28 gennaio del 1889 quando, dopo l’incidente dell’orecchio della vigilia di Natale, Vincent è già al lavoro alla tela della Berceuse (La ninna-nanna) “la stessa su cui stavo lavorando quando la malattia è arrivata e mi ha interrotto”. La donna che vediamo è la moglie del suo amico postino Roulin, che aveva avuto una bimba in primavera. Diventa il ritratto idealizzato di una figura di conforto, tra le mani ha un cordone per dondolare una culla che non vediamo. Vincent la immagina con a fianco due tele di girasoli, “che così formano lampade a stelo o candelabri laterali” scrive nella stessa lettera. Vuole la luce accanto alla Berceuse

I Girasoli con lo sfondo verde veronese escono per la prima volta dal 1935 dalla Philadephia Art Gallery per unirsi alla versione dei Girasoli giallo-su-giallo conservata alla National Gallery, a ricreare il trittico di Vincent. L’effetto è abbagliante. Vincent credeva in questo schema compositivo, tanto che in maggio ne aveva fatto uno schizzo nella sua lettera al fratello, ripetendogli: “devi sapere anche che se li metti in quest’ordine [schizzo] e cioè, la Berceuse al centro e le due tele dei girasoli a destra e a sinistra, si forma una sorta di trittico”. Purtroppo non abbiamo le reazioni di Theo a questa sua idea. Con i ‘suoi’ Girasoli Vincent aveva raggiunto “l’alta nota gialla”, una musica. L’estate precedente stava leggendo un libro su Wagner: “che artista – uno così in pittura, ecco cosa sarebbe bello. – Verrà”.

Nel 1924, Jo van Gogh Bonger (vedova di Theo e figura chiave nel promuovere l’arte di Vincent), in una lettera al direttore della National Gallery, decideva che era venuto il momento di separarsi dai Girasoli che “guardava ogni giorno da più di trent’anni… È un sacrificio per la gloria di Vincent”. Aveva ragione, la gloria di Vincent è celebrata in queste sale. 

Van Gogh: Poeti e amanti
The National Gallery, Londra
14 settembre 2024 – 19 gennaio 2025

L’articolo è stato pubblicato su Artlyst, il 20 settembre 2024. 

In copertina, Da sinistra: Vincent van Gogh, Girasoli, 1888, The National Gallery; La Berceuse (The Lullaby), 1889, Museum of Fine Arts, Boston; Girasoli, 1889, Philadelphia Museum of Art, Pennsylvania, foto © M. Guzzoni.

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