Lorenzo Mattotti nell’abisso dell’attenzione
Al centro di Lettera da un tempo lontano, un fumetto breve di Lorenzo Mattotti scritto con Lilia Ambrosi nel 2005, c’è Ambra. Ambra è una giovane viaggiatrice del futuro: occhi chiari, una lunga treccia nera sulle spalle, uno strano aggeggio rosso che le orna il viso, dalle orecchie alle nari. A bordo di un modernissimo treno diretto a Kiev (riletta oggi la storia assume nuove tragiche assonanze: “forse non è rimasto nulla di quello che conoscevi, chissà se la luce, almeno, è la stessa…”), la ragazza è alla ricerca delle tracce artistiche lasciate dietro a sé dal proprio bisnonno. È a lui che si rivolge, da quel futuro distante che per Ambra è il presente, e che il suo avo aveva cercato di immaginare e precorrere attraverso i suoi disegni. "Chissà come potevano divertirsi davanti a queste immagini senza odori, immobili, senza suono" si chiede ad un certo punto la giovane, guardando in video un vecchio fumetto fantascientifico disegnato dal bisnonno.
È da questa domanda, la cui ironia è amplificata dal gioco di rimandi tra finzione e realtà (nella storia il fumettista del passato, cioè del nostro presente, si chiama Lucio Mazzotti), che mi piace partire per introdurre la mostra che Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia dedicano a Lorenzo Mattotti. Nato nella città lombarda, cresciuto professionalmente tra Bologna e Milano e approdato, ormai da anni, nella capitale francese, Mattotti è certamente uno dei più noti, richiesti e rappresentativi artisti italiani. Ed era ora che una grande istituzione museale del nostro paese gli tributasse una retrospettiva – la mostra intitolata Storie, ritmi, movimenti è visitabile fino al 28 gennaio, nella splendida cornice del Museo di Santa Giulia – per permettere a tutti di conoscere la sua ricchissima e variegata produzione, che spazia tra comics, illustrazione, cinema e animazione, pittura, affiches e comunicazione pubblica.
Se Ambra dal suo cinetico futuro si chiede come ci si potesse divertire davanti a immagini ferme senza suono né odore, entrando nell’universo colorato, multiforme e mobile delle opere in mostra a Brescia, mi sono chiesto al contrario se sia possibile in qualche modo resistere alla strabordante energia che emana dai lavori di Mattotti. Corpi danzanti su paesaggi geometrici, acrobati fluttuanti su metafisici scorci urbani, musicisti colti con precisione nell’impermanenza del giusto accordo, sensuali coppie che galleggiano in un mare che le abbraccia, Pinocchio che non sta mai fermo ed eserciti di orsi che danno l’assalto al cielo.
“Mi piace lavorare con le distorsioni del corpo, con i volumi e con le luci, con il rapporto con il fondo, giocando tra il piatto e la profondità. Mentre disegno io credo di avere, di pensare molto più alla musicalità dei colori, la musicalità dei segni, piuttosto che al soggetto o al contenuto”, dice Mattotti nell’audioguida che accompagna la visita. Creando opere accessibili e colte insieme, che impastano con naturalezza il retroterra fumettistico – dal fumetto argentino, che tanta influenza ha avuto in Italia, al gruppo bolognese dei Valvoline, di cui faceva parte – riferimenti alla storia della grafica pubblicitaria, fino a raffinate citazioni pittoriche – da Depero a Otto Dix, da Lucian Freud a Francis Bacon, da De Chirico a Escher. E quale che sia il soggetto o la tecnica adottata, a colpire in ogni disegno è l’urgenza, sapientemente calcolata, del tratto di Mattotti, la capacità compositiva nel disporre i volumi, la morbidezza dei tagli d’ombra, quella luce che rende vivi e cangianti corpi e paesaggi.
La mostra inizia con gli esordi nel fumetto underground degli anni ‘70, con delle tavole a china in bianco e nero che contraddicono subito il contrassegno del disegnatore bresciano: quell’inconfondibile cromia pastosa e pastellosa che rende subito riconoscibile ogni sua illustrazione. Ma non è un percorso cronologico quello che ci propone la curatrice Melania Gazzotti. Le sezioni intorno alle quali è organizzata la mostra permettono di leggere l’opera di Mattotti trasversalmente, lasciandosi guidare da tre passioni che attraversano la sua carriera: la musica, la danza e il cinema.
Nella prima sezione trovano spazio una serie di lavori che ritraggono i musicisti mentre creano la propria musica, ed è impreziosita dai frutti della felice collaborazione con Lou Reed, nata sotto il segno di Edgar Allan Poe, e dalle impressionanti tavole di grande formato su Hänsel e Gretel portate in scena con l’Opera di Parigi; ma anche da momenti più intimi e minuti, come quando Mattotti in un video estrae da un foglio bianco un affettuoso ritratto a matita di Lucio Dalla. La seconda sezione, dedicata alla danza, è quella più vibrante di colori, come abbiamo già detto l'arma più suggestiva e micidiale del nostro. Lo spirito violento dei rossi, dei gialli, dei blu, rende bene la felice e irrisolta battaglia dei corpi in movimento, soggetto prediletto da Mattotti. L’apice di questa tensione si tocca nella serie dedicata al carnevale di Rio, con suggestioni che rimandano per inventiva alla fantasia variopinta dei balletti esotici dello Schiaccianoci. Infine, il cinema, che in Mattotti è una passione duplice, essendo contemporaneamente soggetto ed oggetto del suo impegno, come dimostrano i lavori per commissione realizzati per i festival cinematografici – pensiamo ai manifesti e alle sigle per Venezia – sia soprattutto l’impresa titanica che, dopo la collaborazione con Enzo D'Alò in Pinocchio, lo ha portato a dirigere il pluripremiato film d’animazione La famosa invasione degli orsi in Sicilia, tratto nel 2019 dal capolavoro di Dino Buzzati.
Ma arrivati in fondo alla mostra ci viene voglia di ricominciare il viaggio, rileggendo l’universo di Mattotti al contrario e in maniera, per così dire, orizzontale. Prendendo a prestito il tema centrale di Stevenson, quel Dottor Jekyll e mister Hyde che Mattotti ha magistralmente adattato a fumetto insieme al fidato compagno ed amico Jerry Kramsky, ci viene da chiederci se in quello che ci è passato davanti agli occhi non si nasconda una scissione feconda e duale: luce e ombra, colore e bianco e nero, infanzia e mondo adulto, pace e violenza. Le ombre di Hänsel e Gretel sperse nel bosco, le terrificanti metamorfosi tra uomo e animale, grovigli informi e maschere inquiete, cupi squarci su un mondo scuro eppure luminosissimo. Ma al fondo Mattotti riesce a conciliare tutto questo da grande narratore visuale, perché è uno dei pochi disegnatori in grado di contraddire la regola aurea espressa da Art Spiegelman, l’autore di Maus. Secondo il quale per fare fumetti non bisogna saper disegnare (e colorare, aggiungiamo noi) troppo bene: per lasciar immergere il lettore nella fluidità sequenziale della storia, non bisogna distrarlo con un disegno ricco di dettagli e sfumature, non bisogna cioè farlo cadere nell’abisso d’attenzione di una singola vignetta. Una regola che vale per tutti, ma certamente non per Lorenzo Mattotti.
La mostra di Lorenzo Mattotti Storie, ritmi, movimenti è visitabile fino al 28 gennaio, nella splendida cornice del Museo di Santa Giulia di Brescia.