La mostra al Mambo di Bologna / Marcel Broodthaers

6 Marzo 2012

Museum: enfants non admis. Toute la journée, jusqu’à la fin des temps.

Une forme, une surface, un volume, serviles. Un angle ouvert. Des arêtes dures, un directeur, une servante et un caissier.

 

Marcel ha un cognome difficilissimo, per pronunciarlo penso a pane & lacrime: Brot, pane in tedesco e tears, e pronuncio le vocali invertite, un po’ all’italiana. L’unica opera di M.B. che avevo visto prima di prendere a frequentare il Belgio è quella strana ambientazione con l’ombrellone impunemente aperto esposto a Palazzo Grassi, The XIX Century Room, il décor fatto di fucili e sedie da giardino a righe blu. Quella del MAMbo è la prima grande retrospettiva in Italia. La prima sala dà la misura, Broodthaers è un gigante. Il lavoro di dodici anni è un unico grande lavoro: un museo. 30 palme, 6 foto di incisioni antiche di animali, 16 sedie da giardino formano un’anticamera che è stranamente fuori luogo e familiare. Entrando ho avuto un lunghissimo déjà vu, una scena che si è ripetuta per anni sempre uguale: su una di quelle sedie, accanto a una pianta che si muove al ritmo delle pale del ventilatore a soffitto, gli occhi fissi su una serigrafia degli animali della fattoria, ci sono io che aspetto di essere visitata dalla pediatra, la Schlechter. Il suono della proiezione in 16mm che sta al centro di questo Jardin d’Hiver si insinua lungo tutta la mostra, imparentando per me il Museé des Aigles con la città dell’aquila nera, una Trento ancora nera di smog e post-terrorismo a cavallo tra anni 70 e gli anni 80. È un ricordo personale e non ha a che fare con la mostra, lo so, ma serve per mettere in guardia su qualsiasi cosa io possa dire qui di seguito.

 

 

M.B. non è mai stato un “giovane artista” e non è nemmeno diventato un Vecchio Maestro, ha cominciato a quarant’anni e purtroppo è morto a soli cinquantadue. Si può dire che sia sempre stato maturo, anche perché prima di pensarsi come artista è stato un poeta. Era sicuro del fatto suo ma stranamente i suoi libri non avevano successo. Allora a un certo punto ha preso una pila di libri invenduti, dal titolo Pense-bête, e li ha liquidati con un gesto rabbioso: cementati in un blocco unico, chiusi per sempre e definitivamente impossibili da leggere. E da lì volta pagina: Un coup de dés jamais n’abolira le hasard (un colpo di dadi non abolirà mai il caso), dice il libro di Mallarmè regalatogli da Magritte, suo amico e maestro.

 

Me lo immagino come un tipo corpulento, che grida Marie-Puck! (il nome di sua figlia, curatrice del corpus delle sue opere, ispirato alla Tempesta di Shakespeare) con voce altisonante ma arrochita, grande mascella e gli angoli della bocca in giù. Un po’ maldestro, forse anche dai modi bruschi. Una testa dura che non sente ragione. Cozze, cozze, cozze e uova sode.

 

I lavori sono molti e richiedono calma, una mente disponibile ai salti e alle analogie (Famine|Mystery|Midnight|Noon|Shark|Knife|Cook). Il lavoro più commovente è per me Pluie (projet pour un texte), un film di pochi minuti girato nel 1969. Marcel è seduto su una panca, in un cortile, intinge la penna nel calamaio e scrive su un foglio bianco. Però comincia a piovere, e parecchio. Immagino un paio di suoi amici, un po’ goffi e un po’ intrepidi, che, appostati sul cornicione del tetto, al momento convenuto gli scoperchiano in testa un’intera vasca da bagno, o che so, una cisterna, un vero e proprio nubifragio! Ed effettivamente no, della scrittura non si capisce nulla, il tratto si perde nel tempo come lacrime nella pioggia.

 

 

C’è un artista sconosciuto a tutti a cui lo associo, Giampaolo Guerini, anche lui poeta, scrittore, pensatore, artista indifferente alle mode, alle mostre e alla notorietà. Un giorno lo scopriremo, e scopriremo anche che i due avrebbero potuto conoscersi ed essere amici. Sono sicura che da ragazzo Guerini si nascondeva dietro a quel planisfero appeso in fondo alla classe, e come un avventuriero del mar dei sargassi riusciva a cancellare due lettere e scrivere Carte du Monde PoliEtique, facendo ridere i compagni e piangere dalla commozione la maestra: quel disgraziato è un geniaccio. Il fatto è che Broodthaers ha fatto di tutto, non l’abbiamo praticamente mai visto ma è come se lo conoscessimo da sempre. Testi cancellati di cui rimangono solo gli spazi bianchi, la pipa che non sarà mai una pipa, le casse da imballaggio con le diapositive proiettate sopra, opere d’arte in cartolina, grandi lettere a caratteri cubitali, uccelli impagliati, tavole sinottiche, abbecedari, timbri, planimetrie di sale espositive, oggetti disparati sotto teca. Pane & lacrime non conosceva il futuro ma ce l’ha consegnato, tutto è già nel museo: La caméra qui regard con tanti occhi sotto vetro, la stanza con i termosifoni di carta, il caminetto e le parole sulle pareti al posto degli oggetti e delle idee, e quella bellissima composizione di placard colorati, che fa venire voglia di portarsene via uno, averne almeno uno! Tutto catalogato e contrassegnato. I suoi figli sono tanti e a dire il vero gli assomigliano poco. Adesso avranno occasione di conoscersi.

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