Massimo Recalcati. Il vuoto e il resto

28 Febbraio 2014

Per misurare il successo che ha riscosso l’opera di Massimo Recalcati negli ultimi anni, non basta andare a vedere gli straordinari dati di vendita dei suoi libri, la sua regolare presenza nei maggiori festival culturali italiani, i numerosi editoriali su La Repubblica o la partecipazione e l’interesse che riscuotono sempre le sue conferenze pubbliche. Ci pare ancora più significativo il fatto che le riflessioni di Recalcati siano ormai diventate parte del discorso culturale pubblico. L’influenza di un intellettuale non la si giudica soltanto dagli interventi di cui è direttamente protagonista, ma anche da come le sue parole d’ordine e riflessioni diventino patrimonio collettivo e si riproducano in modo “virale” indipendentemente dal suo controllo. Per chi lo segue da qualche anno non può che fare un certo effetto – anche se non sorprendere fino in fondo – vedere espressioni come “padre simbolico” o “desiderio dell’Altro”, che fino a poco tempo fa erano conosciute soltanto dalle piccole comunità di chi si interessava alla psicoanalisi lacaniana, essere pronunciate da conduttori di talk show o dai più noti opinionisti dei quotidiani nazionali.

 

Il grande talento di Recalcati in effetti è sempre stato questo: non tanto essere un esegeta scolastico dei mille rivoli del testo lacaniano, quanto essere in grado di distillare con invidiabile chiarezza l’esperienza e la teoria della psicoanalisi nella lettura della società e del contemporaneo. Non si tratta davvero di una cosa da poco. In un periodo dove la credibilità della psicoanalisi viene ripetutamente messa in discussione nella clinica e nell’accademia e dove il perdurare di un certo pregiudizio elitario (che in realtà verrebbe molto spesso smentito dai fatti) ne pregiudica la sua straordinaria attualità, Recalcati è stato in grado di dare una scossa di vitalità al pensiero psicoanalitico. Libri come Il complesso di Telemaco (Feltrinelli, 2013) o Cosa resta del padre? (Raffaello Cortina, 2011) hanno saputo far sì che la psicoanalisi venisse considerata nuovamente e a livello di massa, uno strumento legittimo ed efficace per interpretare, tra le altre cose, i cambiamenti nelle figure dei leader politici degli ultimi anni o le trasformazioni della famiglia contemporanea e dei rapporti tra genitori e figli.

 

Quest’operazione non va intesa semplicemente come una mera applicazione estrinseca di un apparato concettuale già bell’e pronto, ma come una vera e propria riappropriazione del testo di Lacan. Recalcati, con un procedimento che non è estraneo a quello dell’analista in seduta, apparentemente si limita a usare le parole e i concetti di Lacan, ma in realtà li “stacca” dal proprio enunciato d’origine e li fa propri, ri-significandoli e portandoli – a volte non senza spregiudicatezza – in una direzione inedita. Non è un caso infatti che espressioni come “discorso del capitalista” o “evaporazione del padre” che hanno un ruolo affatto marginale nell’opera di Lacan, siano invece al centro della riflessione di Recalcati sul contemporaneo.

 

Recalcati però non è solo un’intellettuale mediatico di grande successo, è anche un interprete originale e influente del pensiero di Lacan, che ha segnato in profondità la comunità analitica italiana. Anzi, l’approdo pubblico che la sua riflessione ha avuto negli ultimi due/tre anni dovrebbe essere considerato come il risultato di un attraversamento ventennale del testo di Lacan che ha trovato in Jacques Lacan: Desiderio, godimento e soggettivazione (Raffaello Cortina, 2012) un primo momento di sintesi organica, ma che affonda le sue radici all’inizio degli anni Novanta. La recente ristampa per i tipi di Mimesis de Il vuoto e il resto. Il problema del Reale in Jacques Lacan, un libro la cui prima edizione risale al 1993, può aiutarci ad illuminare questo itinerario da uno dei suoi punti di origine.

 

 

Il libro in questione raccoglie una serie di lezioni che Recalcati, allora poco più che trentenne, svolse all’Università Statale di Milano nel 1992 e nel 1993 all’interno della cattedra di Filosofia Morale del Prof. Franco Fergnani. Fergnani è un nome importante per comprendere la lettura che di Lacan dà Recalcati: si tratta di uno dei massimi interpreti italiani del pensiero di Sartre e fu anche uno dei primi maestri filosofici dell’autore. L’influenza di Sartre e dell’esistenzialismo sarà infatti uno degli elementi portanti il pensiero di Recalcati. Se ne vedono già i primi segni nei numerosi riferimenti che troviamo in questo libro, ma è un tratto che verrà conservato nel corso gli anni, tant’è vero che anche nella nuova nota introduttiva a quest’ultima edizione lo psicoanalista rivendica la propria “insistenza neo-esistenzialista sul processo di soggettivazione come irriducibile sia al paradigma strutturalista, sia a quello dialettico”.  

 

La posta in palio teorica de Il vuoto e il resto è infatti proprio questa: il rapporto tra il soggetto e l’Altro, o meglio tra il soggetto e la catena significante. È noto che Lacan reinterpretò “linguisticamente” l’inconscio freudiano muovendolo da un asse diacronico/verticale – il deposito di esperienze passate rigettate della coscienza – a un asse sincronico/orizzontale – la catena di differenze significanti. Il risultato fu che il termine soggetto venne deprivato di quel cotè esperienziale e fenomenologico con il quale lo identificava la filosofia, e venne invece inteso in termini strettamente strutturali: per Lacan il soggetto non è nient’altro che l’intermittenza evanescente tra due significanti, il fatto che un significante sia sempre “altro da sé” e sia sempre legato in una catena di rimandi infinita. Non si tratta quindi di una sostanza, o di un “in-sé” che possa essere predicato (come invece si illude l’immaginario): il soggetto è piuttosto un’infinita “differenza”, un irriducibile atto di sottrazione. Recalcati coglie di questa riflessione le assonanze sartriane, ne spunta gli angoli più strutturalisti, e finisce per declinare la dimensione soggettiva non tanto dal lato della struttura, ma da quello della clinica dove questa “differenza” si palesa più chiaramente nell’esperienza del desiderio inconscio come “per sé” sartriano, o mancanza ad essere aperta sul mondo.

 

Discutere su quanto questa interpretazione sia fedele o meno al testo lacaniano sarebbe ozioso. È noto infatti come Lacan abbia lasciato ai suoi allievi non una teoria sistematica alla quale potersi adeguare, ma un’esperienza intellettuale e clinica piena di svolte, esperimenti audaci, ma anche ripensamenti, critiche e – perché no? – pure qualche errore. Recalcati, come tutti gli interpreti, ha il “suo” Lacan, che è diverso dal Lacan di Miller, da quello di Badiou, della Roudinesco, di Žižek, della Soler o di Milner: ed è evidentemente il Lacan del Seminario VII su L’etica della psicoanalisi. I riferimenti di Recalcati a questo seminario superano infatti di gran lunga quelli ad ogni altro seminario, e questo ciclo di lezioni degli anni Novanta ne sono una chiara testimonianza. Come mai Recalcati si rivolge in particolar modo a quel seminario?

 


 

Il seminario VII rappresenta uno dei punti dell’insegnamento di Lacan dove l’eterogeneità tra la batteria significante e il godimento tocca il punto più alto. Mentre il Lacan degli anni Settanta finirà per sottolineare – tramite i concetti di bordo, di frontiera e gli annodamenti borromei delle figure topologiche – gli elementi di continuità tra linguaggio e il godimento, il seminario VII, incentrato com’è, sulla “bellissima trasgressione” di Antigone o sul baratro della “das Ding” freudiana, andrà invece nella direzione opposta. Il Reale all’altezza di questo periodo dell’insegnamento di Lacan appare come un “altrove” fuori dal senso e del significante, che tuttavia – sottolinea Recalcati – non bisogna rifiutare, ma al quale è necessario “dare forma”. Sta qui l’attenzione, per così dire morfologica, da parte di Recalcati per tutto ciò che, a partire dalla metafora paterna fino alla sublimazione dell’esperienza estetica, tenta di costruire, tramite la porta della singolarità sintomatica, un paradossale rapporto tra il senso e l’oltre-senso, tra il significante e il godimento. E che lo accompagnerà anche per tutte le opere successive fino a oggi.

 

Oggi, a distanza di vent’anni da Il vuoto e il resto, pare che Massimo Recalcati stia mettendo un punto sulla sua lettura di Lacan con la pubblicazione dei due volumi sulla teoria e sulla clinica psicoanalitica per l’editore Raffaello Cortina. E che stia per intraprendere un percorso che legittimamente vada in qualche modo “oltre” Lacan. Tuttavia vi sono ancora molte opere degli anni scorsi che meriterebbero di essere riscoperte (come il volume sull’odio del 2004 o quello su Lacan e la filosofia curato insieme a Domenico Cosenza all’inizio degli anni Novanta per le edizioni Arcipelago) e che potrebbero dare un contributo significativo anche all’interno del dibattito lacaniano. Infatti nonostante i percorsi intellettuali di molti validi interpreti e l’enorme letteratura che esiste a riguardo, il testo lacaniano è tutt’altro che esaurito e attende ancora di essere per la gran parte scoperto e valorizzato, sia all’interno dell’esperienza della clinica sia in quella del dibattito intellettuale. E per fare questo, di Recalcati, ci sarebbe ancora grande bisogno.

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