Il mutuo appoggio / Kropotkin. Solidarietà invisibile

30 Maggio 2020

È stato rinfrancante leggere in questi giorni Il mutuo appoggio del geniale Pëtr Alekseevič Kropotkin (1842-1921), appena edito da elèuthera nella nuova traduzione di Giacomo Borella, la prima dall'originale inglese: non fosse altro perché ci libera da un cinismo in cui è davvero troppo semplice indulgere.

Abbandonata in giovane età la corte russa, il principe che sarebbe diventato anarchico si mise in viaggio per la Siberia e la Manciuria. Qui raccolse una mole di osservazioni del mondo animale, sulle quali costruì un'ipotesi di fondo: insieme alla lotta reciproca, un fattore chiave dell'evoluzione è il "mutuo appoggio e reciproca difesa tra gli animali appartenenti alla stessa specie o, almeno alla stessa società". Darwiniano, Kropotkin chiarisce che senz'altro "la vita è lotta; e in questa lotta il più adatto sopravvive". Ma è il modo in cui si articola il combattimento a essere spesso frainteso: la competizione fra singoli per cibo e sicurezza è sovrastimata, tanto quanto è sottostimata la loro cooperazione.

 

Le pagine in cui Kropotkin descrive la solidarietà in azione fra gli animali sono splendide anche da un punto di vista letterario, e in esse vibra una sobria commozione. Ma il russo è scienziato rigoroso, dunque lungi dal sostenere che tale comportamento si fondi su concetti troppo specifici come l'amore o la simpatia: "Non è l'amore per il mio vicino — che spesso non conosco per nulla — che mi spinge ad afferrare un secchio d'acqua e a precipitarmi verso la sua casa quando vedo che sta bruciando: ad animarmi è un sentimento o un istinto molto più ampio, anche se più vago, di solidarietà o di socievolezza umana". E questo sentimento "ha insegnato tanto agli animali quanto agli uomini la forza che possono acquisire dalla pratica del mutuo appoggio e dell'aiuto reciproco, e le gioie che possono trovare nella vita sociale".

 

Con un approccio a piramide, Kropotkin comincia a studiare gli animali più "semplici" — descrivendo ammirato le comunità delle formiche e delle api, o la socievolezza degli uccelli — per giungere a mammiferi e primati: in tutti i casi la vita in società favorisce la resistenza contro i predatori, limita la lotta fisica, sviluppa la sensibilità collettiva. Allo stesso modo, l'umanità viene analizzata partendo della forme di aggregazione primitive per giungere al mondo contemporaneo, con una predilezione per le piccole società e un profondo rispetto verso i costumi non-occidentali, specie quando si mostrano impermeabili all'individualismo. Un piccolo esempio: un viaggiatore del XIX secolo, giunto in una tribù ottentota, regalò del cibo a indigeno; ed egli lo divise immediatamente con gli altri. Allo stupore dell'europeo, l'uomo spiegò semplicemente che quella era "l'usanza ottentota".

 

Questo però non porta Kropotkin a elaborare il mito colonialistico del "buon selvaggio". In nessun caso nega l'esistenza di comportamenti antisociali, e riconosce in certe aggregazioni pratiche aberranti quali la faida di sangue o l'infanticidio: tuttavia prova a spiegarli in una cornice antropologica — mettendo comunque in risalto le qualità di cooperazione che la modernità ha a suo avviso soffocato: "se questi stessi Europei dovessero raccontare a un selvaggio che persone estremamente amabili, le quali vogliono bene ai propri figli e sono così sensibili che piangono quando vedono una disgrazia simulata sulla scena, vivono in Europa a un tiro di schioppo da tuguri dove i fanciulli muoiono per assoluta mancanza di cibo, il selvaggio non riuscirebbe a capirli".

Per Kropotkin, infatti, le cose cominciarono ad andar male più o meno alla fine del Medioevo. Il modello organizzativo della comunità barbara di villaggio, come le gilde dei comuni raffinarono ulteriormente il principio di aiuto reciproco e l'autogoverno; ma nulla poterono contro l'avvento dello Stato centralizzato e dei principati. Qui si possono muovere critiche a uno schematismo eccessivo nella ricostruzione storica; ma sfilacciato il tessuto delle comunità locali, in Europa nacque effettivamente un nuovo individualismo. E benché durante il XX secolo i diritti sociali abbiano conosciuto grandi rivalse — la parte della storia che Kropotkin non poté vedere — negli ultimi decenni sono stati di nuovo sistematicamente erosi. Da qui bisogna ripartire.

 

Dal punto di vista scientifico, come riconosce Lee Alan Dugaktin nella prefazione al testo, Il mutuo appoggio inaugurò un fecondo filone di studi biologici sulla cooperazione; e il suo tentativo di sfondare le barriere fra le discipline (etnografia, etologia, sociologia, economia) è tanto coraggioso quanto stimolante. Certo il libro paga il dazio del tempo, e alcune tesi sono state sconfessate: ad esempio la tentata coincidenza di lamarckismo e darwinismo o la fondazione dell'anarchismo su base biologica.

 

 

Un altro grande libertario, Camillo Berneri (primo traduttore di Mutual Aid dal francese) lo notò già a metà degli anni '20 nell'inedito Il federalismo libertario: "Il solidarismo kropotkiniano, sviluppatosi sul terreno naturalistico ed etnografico, confuse l'armonia di necessità biologica delle api con quella discordia discors e quella concordia concors propria dell'aggregato sociale, e forme primitive di società-associazioni ebbe troppo presenti per capire l'ubi societas, ibi ius insito alle forme politiche che non siano preistoriche". Per concludere con fermezza: "Kropotkín non ci basta".

Senz'altro. Ma Il mutuo appoggio resta un testo con il quale confrontarsi per diverse ragioni, segnalate da Giacomo Borella nella sua nota al volume: la diffidenza per le dimensioni eccessive delle organizzazioni umane (grande industria, grande distribuzione); la critica all'elefantiasi della burocrazia; la concezione del lavoro degno e giustamente retribuito. Tutti spunti che meritano un'attenta riflessione: e altri due mi paiono ancora più attuali.

 

Il primo è il colpo sferrato all'antropologia hobbesiana dell'homo homini lupus — così come del resto allo stato di natura benigno di Rousseau. Kropotkin lascia intendere che la "natura umana" sia in realtà sempre permeata di cultura ed estremamente sensibile a contesti diversi. Certo la pars destruens del saggio è quasi tutta indirizzata alla nefasta idea dell'egoismo come atteggiamento naturale, perché di gran lunga la più diffusa. (Il che è anche la replica a un'obiezione ovvia: l'autoaffermazione individuale non è sempre e solo malvagia, perché consente di "spezzare i vincoli, che tendono costantemente a cristallizzarsi, imposti all'individuo dalla tribù, dalla comunità di villaggio, dalla città e dallo Stato". Ma tutto ciò, ribatte Kropotkin, è già stato chiarito).

In effetti, pensare che l'uomo sia originariamente cattivo e che il mondo animale sia una guerra eterna fra individui separati fra loro o riuniti in piccole famiglie, è tanto errato quanto comodo. È una leva che consente di giustificare i peggiori comportamenti, scaricando su un'essenza fittizia la propria responsabilità.

A ciò si lega il secondo tema: Il mutuo appoggio ci può aiutare a riformulare un buon lessico politico. Cito dall'ottima prefazione di Borella: "mentre tra la fine dell'Ottocento e l'inizio del Novecento le idee di cooperazione, solidarietà, fratellanza e mutualismo erano al centro delle tendenze non certo solo anarchiche, ma delle sinistre nel loro insieme (fino a comprendere filoni liberali e repubblicani), del movimento operaio, di molti settori di ispirazione religiosa, e così via, oggi esse sono state in gran parte scalzate dalle parole d'ordine di competitività, merito, interesse nazionale, identità, successo, profitto, anche all'interno di ciò che rimane di quelle tendenze".

 

Oggi tutto questo appare davvero pressante. La pandemia di Covid-19 ci ha isolati e frammentati, mentre la crisi economica che ne è seguita ha messo e metterà gravemente a repentaglio molte fasce fragili della popolazione. Nel contempo, la nostra empatia mostra sovente dei limiti quando messa a dura prova. Letta in tal senso, magari puntando il dito su alcuni episodi di dissennatezza, l'epidemia renderebbe manifesta un'immagine terribile dell'essere umano (o dell'italiano, se preferite): atomizzato, egoista, impaurito dall'altro in quanto tale, pronto al sospetto e alla delazione.

Ma è una lettura parziale. Uno dei rischi nella formazione delle opinioni, quanto mai evidente in questo periodo, è proprio la tendenza a operare generalizzazioni indebite sulla base di qualche fatto sparso. Da due o tre fotografie di assembramenti si desume che siamo (sono) tutti un po' spregevoli; e la complessità del problema svanisce di colpo.

 

Invece il mutuo appoggio non è stato soffocato nemmeno nei mesi scorsi, e anzi in vari casi ha dato prova di originalità e inventiva. Cito solo alcuni esempi nati dal basso: le Brigate volontarie per l'emergenza; le ceste alimentari sospese; gli scioperi collettivi degli affitti; la Cassa nazionale di solidarietà fondata da Fuorimercato; gli atti spontanei di aiuto reciproco nei quartieri; il gran numero di persone che, in ogni caso, ha agito in maniera sensata praticando il distanziamento fisico. Questo a fronte di decisioni istituzionali e padronali spesso controverse quando non devastanti e criminose: e qui ognuno scelga l'esempio che preferisce, tra i molti disponibili.

Ma gli atti di solidarietà sono assai meno spettacolari della caccia al cretino: perciò trovano poco spazio, e quando lo trovano vengono ammantati di una retorica che li depotenzia — impedendo anche di essere valorizzati politicamente. (In modo simile, il sovraccarico dei "lavoratori indispensabili" è stato spesso derubricato sotto lo sterile concetto di eroismo, senza impegnarsi per un loro riconoscimento economico e umano).

 

Vorrei essere chiaro: con ciò non voglio cantare le lodi della "gente" — cadendo nella generalizzazione opposta — né avvolgere in un'aura romantica le forme di mutuo appoggio locali.

Per quanto concerne il primo punto: la gente ha fatto e fa anche tante cose scorrette per superficialità e menefreghismo; e sappiamo bene quanto la storia sociale del nostro Paese (non un presunto DNA) abbia alimentato varie forme di irresponsabilità. Il buon comportamento dei singoli è fondamentale, la prima vera forma di sostegno reciproco. Ma per alimentarla non serve scrivere indignati editoriali, che sono fonte per lo più di auto-assoluzione: meglio profondere le energie in un compito educativo ad ampio raggio. Nel concreto, già sarebbe un passo avanti correggerci pacatamente e fermamente l'un l'altro quando sbagliamo, invece di sputtanarci a vicenda sui social media. Purtroppo la seconda opzione è tanto più facile quanto più, all'apparenza, gratificante.

 

Riguardo le forme di aiuto autonomo locali, benché preziosissime, corrono un rischio: caricare sulle proprie spalle compiti che dovrebbero essere svolti dalle istituzioni. In un articolo pubblicato il 3 maggio scorso su Libération con il titolo Tutos par tout, santé publique nulle part, Olivier Ertzscheid invitava a interrogarsi su una realtà dove "l'incuria manifesta di uno Stato possa essere compensata dagli sforzi di ognuno". Parla della Francia, ma penso valga anche per noi. Il richiamo al senso del dovere individuale è importante, ripeto; ma serve a poco se non è sostenuto da politiche efficaci di sanità pubblica, diritto all'alloggio e accesso alle cure, capaci di combattere le diseguaglianze di settore — e tutto questo è mancato. (In senso ampio, il discorso vale per l'epidemia tanto quanto per il riscaldamento globale).

Di più: lasciare che l'iniziativa dal basso venga usata come alibi per coprire le mancanze statali è svilente per chi l'ha praticata senza ricevere alcun "ordine dall'alto": in un ordinamento democratico, sostegno reciproco e generosità non possono essere resi supplenti del diritto. Così la domanda posta da Ertzscheid — "Perché ci ritroviamo ad accettare di fare noi stessi, nel mezzo dell'emergenza, ciò che altri avrebbero dovuto fare per noi nell'ottica della lungimiranza?" — non è affatto banale, se posta onestamente e senza vittimismo.

Mentre cerchiamo risposte, leggere Il mutuo appoggio ci aiuta a comprendere che l'istinto solidale non è solo un principio etico, ma più piattamente un motore di sopravvivenza decisivo per la specie. Ed è bene ricordare che dalle scelte della nostra specie dipende anche il destino dell'intero pianeta: mai come oggi questo ci è chiaro, e mai come oggi ogni scelta appare cruciale.

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