La medicina Camus

15 Settembre 2015

In un saggio pubblicato quarant'anni fa sulla rivista "Plural" (e ora disponibile nel volumetto Tra Sartre e Camus, Scheiwiller 2010), Mario Vargas Llosa invitava a rileggere Camus e comprenderlo alla luce della sua "triplice condizione di provinciale, uomo di frontiera e membro di una minoranza". Aggiungo un quarto elemento: il suo appartenere al mondo mediterraneo — il suo difenderne un'idea non banale. L'anno che comincia a chiudersi, che intravede il suo autunno, ha di nuovo visto questo mare al centro delle cronache — il referendum greco e le dimissioni di Tsipras, più di duemila migranti morti in acqua fra i molti che hanno affrontato il viaggio verso l'Europa. E potremmo aggiungere la situazione a Gaza (che Mohammed Omer sul New York Times ha definito di recente un Gulag sul Mediterraneo), il caos libico, i braccianti morti nei campi in Puglia, gli scontri in Libano, la Turchia autoritaria di Erdogan...

 

Ma per quanto riguarda l'immaginario? Che ruolo ha, se lo ha ancora, il concetto di Mediterraneo quando il suo nord si impegna solo a difendere i confini, fino ad ergere dei muri o sparare lacrimogeni contro persone e bambini indifesi? In questo senso, la parola lucida di Camus ha un effetto quasi farmaceutico; va molto oltre il richiamo semplicistico al pensiero greco classico che ha colpito tanti editorialisti, e offre una serie di spunti concreti per ridare senso al Mediterraneo come luogo inclusivo. Quest'estate è stata la mia medicina personale; e credo possa anche avere un buon effetto collettivo.

 

Rotte dei migranti e dei rifugiati nel Mediterraneo, Report UNCHR - UN Refugee Agency

 

Camus conosceva l'ingiustizia sociale di prima mano. Nato ad Algeri in una famiglia povera, nella minoranza locale francese (i cosiddetti pieds noir), diceva di non avere imparato la libertà da Marx, bensì dalla miseria. Di qui il suo fastidio per i rivoluzionari di professione (gli intellettuali che "esigono e approvano le esecuzioni capitali, ma che si avvalgono degli altri per portare al termine il lavoro"), e insieme la sua predilezione per una vita semplice e frugale. Il modello di uomo mediterraneo che propone è innanzitutto contrapposto all'uomo delle grandi metropoli europee. Come scrive Vargas Llosa, è un individuo "privo delle raffinatezze e delle astuzie sociali: ossia, il rispetto delle convenzioni, la capacità di dissimulare e ordire intrighi, lo spirito di adattamento e le ambizioni legate al potere, alla gloria, alla ricchezza". Naturalmente questo non è un invito a disertare in massa dalle città o dall'Europa settentrionale e trasferirsi sulle coste marittime, o abbracciare illusioni facili di un preteso "ritorno alla natura". Il Mediterraneo di Camus è un ideale correttivo: contro le anguste stanze del potere centrale — oggi vengono in mente i corridoi di Bruxelles o Berlino — rilancia l'idea di una società autenticamente libera, aperta, rispettosa dell'equilibrio fra uomo e ambiente. La luce marina disperde le tossine, restituisce i corpi alla loro verità, impedendo di trattarli come mera variabile di calcolo ("Possiamo accogliere soltanto un numero x di persone").

 

Tutti i libri dello scrittore algerino contengono questa luce. E tutti i suoi saggi la esplorano e declinano in forme differenti. Il più celebre e importante resta senz'altro L'uomo in rivolta; ma in questo frangente e sul finire di questa estate penso soprattutto all'Esilio di Elena, contenuto nella raccolta L'estate e altri saggi solari (Bompiani 2013). Per Camus il tradimento del pensiero meridiano, fondativo del Mediterraneo, sta nell'aver abbandonato la coscienza dei limiti ed esiliato la bellezza. Un valore non semplicemente estetico, ma anche morale: "L'ignoranza riconosciuta, il rifiuto del fanatismo, i limiti del mondo e dell'uomo, il volto amato, insomma la bellezza, ecco il campo dove rincontreremo i greci". L'umanesimo radicale di Camus ci consegna diversi insegnamenti preziosi: la ragionevolezza delle proposte d'azione, il rispetto per l'opinione altrui, un utopismo debole e l'onestà di ammettere i propri errori. E più di tutto, la coscienza che problemi complessi come quelli che stiamo vivendo necessitano risposte adeguate e sostenibili, non le soluzioni spicce invocate dai populisti. Nemico di ogni passione totalitaria, Camus diffidava della priorità di un'idea — qualsiasi idea — sulla vita umana: di fronte al dominio della politica, non si stancava di ribadire la priorità della morale. "Si tratta di servire la dignità dell'uomo attraverso mezzi che siano degni in una storia che non lo è", scrisse in un editoriale su Combat.

 

Ricorda Vargas Llosa che nel denunciare i problemi del terzo mondo (come la repressione coloniale in Madagascar), Camus sottolineava spesso come tali fatti disonorassero l'Europa — l'idea di Europa che aveva in mente, il suo modello libertario, pagano, tollerante e socialmente equo. Credo sia un buon punto da cui ripartire. O l'Europa e le sue acque riescono a essere all'altezza di tale idea, oppure tutte le chiacchiere sull'unità continentale e sul mare nostrum si riducono a fredda materia economica e militare: a un esercizio di sopraffazione del forte sul debole. Rileggere Camus ci aiuta a vedere più nitidamente dove è cominciata questa inversione di valori, e come porvi rimedio — come aderire a quella lotta senza fine per "diminuire aritmeticamente il dolore del mondo".

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