Alfabeto Pasolini / Pasolini e il nuovo Petrolio

4 Marzo 2022

Alla domanda: Petrolio (opera testamentaria di Pasolini) è un romanzo sul Potere? Walter Siti risponde oggi, in limine al centenario: sì. Alla domanda: ma Petrolio non è anche un’altra cosa? Siti risponde: sì, anche. Alla domanda: ma l’edizione di un’opera può essere il frutto di una mediazione con il potere? io risponderei: in questo caso sì. E alla domanda: ma la quarta, marmorizzata e graficamente esasperata edizione di Petrolio (1992 Einaudi, la prima, con una candida copertina, curata da tre filologi, Roncaglia Careri e Chiarcossi, 1998 Meridiani la seconda, 2005 Oscar Mondadori la terza, nera, con un importante apparato di note di Silvia de Laude) cambia le carte in tavola? io rispondo: non quanto mi sarei aspettato. 

 

La prima di queste quattro domande corrisponde alle interpretazioni non tanto del romanzo in sé, ma di una serie di fatti contestuali ricostruiti già da Carla Benedetti, e oggi rimpolpati dal nuovo editore. Pasolini, in qualche modo, aveva messo il naso su piste intricate di uno scenario politico al centro del quale si trova la figura di Eugenio Cefis, presidente di Eni dopo la morte avvenuta in circostanze misteriose di Enrico Mattei. Siti, con una mossa sottilmente ironica, dà ragione alle letture di Benedetti che, lo ricordo, all’uscita dei Meridiani lo aveva paragonato a uno di quei piccioni che si appoggiano a un monumento e lo sporcano di cacca. Ora Siti porta acqua alla tesi della Benedetti, aggiungendo dati ulteriori. In Petrolio l’attenzione per Cefis emerge tardi, più o meno nel 1974, e si sovrappone a un’opera che ha già un assetto. Però c’è il racconto di un lungo viaggio a Siracusa del protagonista, Carlo, che apparentemente va a trovare una donna che ha i tratti di Elsa Morante.

 

Per Siti si tratta di una esperienza in realtà fatta da Pasolini, che va in Sicilia per conoscere un personaggio legato prima a Mattei e poi a Cefis, Graziano Verzotto, dalla bocca del quale avrebbe raccolto notizie importanti sullo stesso Cefis. Tutto questo serve a Siti per giustificare una delle sue scelte editoriali: inserire nel romanzo materiali giornalistici relativi a Cefis, quei materiali che il narratore di Petrolio dichiara di aver intenzione di convogliare nel romanzo, insieme a filmati, giornali, interviste ecc. Dunque c’è un Siti filologo che oggi gareggia col filologo fittizio messo in scena da Pasolini, il filologo che giustificava la forma irregolare che il romanzo avrebbe probabilmente mantenuto, anche se compiuto (ma sarebbe finito così?).

 

Su questa e su altre affermazioni del filologo fittizio bisognerebbe innanzitutto chiedersi: ma è credibile? Sta proprio dicendo sul serio? In un romanzo che ha la forma di un’opera frammentaria ricostruita da un presunto filologo che recupera dal passato un manoscritto incompleto, che inserisce capitoli di cui rimane solo un titolo, che dichiara esplicitamente “questo romanzo non comincia” ecc. ecc., insomma di fronte a questa finzione filologica fondata su un genere esplicito, la satyra lanx, il serio-comico da Cervantes a Sterne, di fronte a un narratore che lascia spesso dei buchi, delle smagliature, delle illogicità, ebbene noi dovremmo credere alle intenzioni che vengono enunciate? Ecco, dopo Aurelio Roncaglia, dopo Graziella Chiarcossi, dopo Silvia De Laude, e insieme a Maria Careri, oggi Siti a volte sembra credere, a volte sembra non credere. A volte incrementa di carte il corposo dattiloscritto, a volte è costretto a fermarsi. Insomma, gli altri sono arrivati a 600, io voglio arrivare a 800. Se si tratta di “opera con la bocca aperta” (bellissima immagine del Siti dei Meridiani) allora continuiamo a darle da mangiare.

Alcuni esempi. 

 

Se Petrolio 1991-2005 finisce con una lettera ad Alberto Moravia firmata “tuo Pier Paolo” quella lettera che statuto testuale ha? È una vera lettera? È una finta lettera? È una lettera che spiega o che complica tutto? Oggi Siti la sposta, la mette all’inizio dell’opera come prologo, secondo una nota che si trova in un block-notes a sua volta inglobato (manoscritto) nell’edizione “del centenario”. 

Un block-notes: esattamente come quello che l’editore (un altro filologo fittizio) della Divina Mimesis dice di aver trovato nelle tasche dell’autore ucciso a Palermo. Un block-notes: e se fosse anche questo block-notes un documento “potenzialmente” da annettere ma forse no, come è accaduto per altri materiali, cassati perché forse dovevano apparire cassati, incompleti perché dovevano apparire incompleti? 

 

Allora ci si chiede: ma il block-notes va inteso come testimonianza di Pasolini autore che prende appunti da utilizzare nell’opera o come porzione testuale che Pasolini, diventando sempre più parte interna alla sua opera, avrebbe inserito nella stessa, rendendone le affermazioni come tracce di gioco ironico con l’opera stessa? 

Petrolio, tra le altre cose, è un’opera comica. Si lasci anche a me il privilegio di poter puntare su un’affermazione di identità (per lo meno lo dico sulla base di tracce testuali molto concrete). Ma se è un’opera comica nel senso vero, profondo, nel senso della tradizione che da Petronio passa per Cervantes e arriva a Gogol, allora come si può isolare una porzione di quell’opera considerandola la sede di una “verità” su tutta l’opera? Posso considerare le pagine su Cefis (Troya) come la chiave di lettura di tutto Petrolio? Posso considerare alcuni riferimenti al mito come la chiave per interpretare Petrolio come un percorso iniziatico? (ipotesi Trevi: anche a questa Siti concede un – forse ironico – sì).

 

Ma allora cos’è Petrolio? Siti lo spiega da editore “reale” che si sovrappone a quello fittizio quando sceglie di non censurare il titolo Vas che si trova presente (insieme a un generico, ma altrettanto spiazzante, “Romanzo”) nei materiali autografi. Vas può voler dire molte cose, ma penso che avesse ragione (almeno qui) Zigaina quando parlava di un contenitore rustico tipico del mondo contadino, una mangiatoia, un “calderòn”, un’immagine che rimanda al genere serio-comico (Bachtin: Pasolini aveva avuto il tempo di leggerlo?), cioè infine a un “gioco”. Che tipo di gioco? Quel gioco che consiste nel buttare sul tavolo con un gesto d’azzardo un valore non definibile, come spiega Pasolini per lo Smeraldo di Soldati, quel gioco che consente di liberarsi della vischiosità della scrittura, di diventare leggeri perché non si sente più il desiderio di possedere ma anzi di essere posseduti.

 

 

Il gioco della perdita di ruolo, della dissipazione di sé, il gioco dell’annullamento di ogni presupposto che ha tenuto in piedi il proprio io. O il gioco del “Dio scherzoso” (Appunto 133), del dio che si aggira nel mondo come “un pazzerello” (uno spirito Mercurio che mette in rapporto Ninetto e Elsa Morante) per mostrare che “saggezza è nella stupidaggine”. Esattamente come infine avviene con il serio destino dell’ingegner Carlo Valletti, che contiene in sé (come tutti) due personalità in contrasto, solo che qui non sono mescolate ma spaccate in due metà, una tutta buona e una tutta perversa, una che si dedica all’“organizzar” e un’altra che si dedica al “trasumanar” (a un desiderio erotico assoluto). 

 

Parlando di Calvino e delle Città invisibili, Pasolini dice che si tratta di una costruzione che nasconde i rottami di tanti saperi, che sotto la geometria della forma ci sono rovine di un’epoca che volteggiano nel vuoto. Così è Petrolio: un ammasso di saperi che trovano un ordine attraverso il (debole) filo della vita irreale di un italiano che passa dalla provincia alla città, da una classe sociale borghese ai vertici dell’azienda che manovra i destini economici del paese. Un uomo che assiste alla trasformazione politica dell’Italia, che vede passare alcuni camion di giovani uomini e legge il Nuovo Potere stampato sui loro calzoni, nei loro capelli, iscritto nel rigonfiamento del loro ventre. 

Chissà perché Siti pensa che Pasolini non sia capace di “raccontare” il Potere. Come se esistesse un modo per raccontarlo: Sciascia in Todo modo sa raccontare il Potere, attraverso gli occhi di un pittore e di un prete diabolico che parlano quasi sempre di pittura? 

 

Oppure Siti pensa che Pasolini non sia capace di raccontare e basta. Ma Sterne non è capace di raccontare, dal momento che il suo romanzo non fa altro che intarsiare digressioni su digressioni, prospettando il racconto della vita di un uomo che non nasce mai? E Sade non sa raccontare, dal momento che è capace solo di sommare pagine su pagine descrivendo ipotetiche figurazioni di coiti? E si tratta di esempi ben presenti e citati da Siti stesso.

 

Poi ci sarebbe la questione del Sacro e dell’Assoluto. Che sempre secondo Siti viene fuori da una specie di deposito tutte le volte che Pasolini non sa bene che strada prendere. Anche in questo caso il Sacro fa capolino a ogni svolta, con i rimandi a Norman Brown, le citazioni da Jung, i sogni e le visioni di Carlo, popolate di uomini con la vulva e di donne col pene, la statua muliebre che sembra alludere all’intera opera, come enuncia la scritta “Ho eretto questa statua per ridere” ecc. ecc. Ma non rientra tutto questo nel gioco continuo che smonta la macchina del sapere, che ne esibisce i rottami, che serve a sgonfiare il libro quanto più il libro cresce? Se anziché 600 pagine fosse arrivato a 2000 l’effetto non sarebbe lo stesso? E Pasolini crede veramente, dopo aver letto Di Nola, che le crisi epocali si risolvano con un anasyrma, cioè scoprendo i genitali, tirandosi giù i pantaloni? O anche questa è ormai diventata un’illusione, una di quelle illusioni che rendono i vecchi scettici nei confronti dei giovani, ma comunque disposti ad ascoltarli? Petrolio ipotizza una società di fratelli, azzera l’idea di una società di padri e di figli, perché comunque sarebbe sempre un gioco di poteri. 

 

Cerco infine di dar ragione della terza domanda che ho azzardato all’inizio, cioè se un’edizione critica non sia frutto essa stessa di compromessi con il potere. Che cioè i “vincoli puerili” della citazione da Mandel’stam non siano la forza sottile e segreta che ci sta facendo muovere da vent’anni intorno a Petrolio. Le scelte di Siti sono tutte plausibili, tutte giustificate. Non condivido la pista dell’assassinio politico, ma è solo una questione di opinioni. Se Petrolio fosse un romanzo su Cefis forse non sarebbe interessante, tra le righe lo dice Siti stesso.  E la storia delle pizze rubate di Salò andrebbe spiegata in modo diverso (visto che ne vennero rubate nello stesso momento anche del Casanova di Fellini). Ripeto: questione di opinioni. 

 

Ho però alcuni dubbi sul fatto che questo Petrolio-Vas cammini su gambe più forti delle precedenti. Eppure… Decidere di spostare la lettera di Moravia dalla fine all’inizio è un atto di coraggio che orienta subito la lettura di un’opera il cui primo capitolo è composto da una fila di puntini, e da una nota che dichiara: “Questo romanzo non comincia”. Decidere di inserire nel testo i discorsi di Cefis può risparmiarci dall’andare a cercarli da altre parti. Decidere di inglobare un block-notes può cambiare di una piccolissima percentuale il senso dell’insieme. Ma usare il condizionale per il vero, irrealizzato atto filologico innovativo, cioè inserire le fotografie di Dino Pedriali, a quale logica di potere risponde? “Mi sarei assunto la responsabilità…” afferma Siti. E perché non farlo? Quelle foto sono state pubblicate da pochi anni e sembra strano che un editore come Garzanti non avesse la possibilità di ottenerne i diritti per un’edizione così monumentale, l’edizione “del centenario”. Perché non percorrere la strada fino in fondo, e dimostrare che dentro Petrolio Pasolini avrebbe letteralmente iscritto se stesso, scavato la cripta dove seppellire la sua storia, esporsi al pubblico nella sua nuda magrezza, mostrarsi mentre qualcuno lo spiava al di là delle finestre a vetri di Chia, darsi in pasto al pubblico, farsi cannibalizzare dagli occhi avidi di coloro che lo disprezzavano.

 

Perché dunque non lottare per inserire anche quelle fotografie? Forse resistere di fronte agli editori a volte potrebbe servire a qualcosa (magari consigliandoli anche di non usare titoli come “I grandi Romanzi” o “Le grandi Poesie”). Oppure, inevitabilmente, l’edizione di un’opera come Petrolio, all’altezza del 2022, deve sottostare alla logica con la quale è stata concepita, che è quella dell’incompletezza, del coacervo di fogli che possono mescolarsi, di un potere sottile che soffia, disperde e scompiglia? Questa è la vera fine di Petrolio?

 

Venti incontri, venti parole, venti biblioteche, venti oratori, venti podcast: cento anni di Pasolini.

Un ciclo di incontri e di testi affidati a scrittori e esperti per attraversare l'immaginario pasoliniano, un progetto Doppiozero in collaborazione con Roma Culture. Qui il programma completo. 

 

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