Maurizio Lazzarato. La fabbrica dell’uomo indebitato
In questo periodo in cui la crisi economica è al centro delle speculazioni della più vasta gamma possibile di teorici ed “esperti” (economisti, politologi, giornalisti, economisti, talvolta, persino, filosofi) il libro di Maurizio Lazzarato (“La fabbrica dell’uomo indebitato”, Deriveapprodi, 2012, pp.180, € 12,00) sembra essere lo strumento giusto al momento giusto.
Malgrado esso sfrutti l’attualità del tema del debito, il libro del ricercatore italiano emigrato da molti anni in Francia non è (o meglio, non è solo) un libro che sfrutta l’onda lunga dell’interesse creato dalla bruciante situazione economico-sociale presente.
Lazzarato infatti riesce ad unire due approcci (apparentemente) distanti come quello filosofico e quello socio-economico a una vis da polemista che rende il libro non solo uno strumento descrittivo, ma anche un’opera dall’evidente carattere “prescrittivo”.
Lazzarato si prodiga, fin dalle prime pagine, nella demitizzazione del “virtuoso” modello sociale tedesco, mostrando come in Germania lo stato sociale sia sempre più, progressivamente, venuto ad erodersi creando un ceto di “aiutati” dallo Stato, e non di cittadini che beneficiano di assicurazioni (anche economiche) statali in virtù del proprio status di contribuenti e, appunto, cittadini.
In Germania, ci dice Lazzarato, il cittadino è sempre più qualcuno che contrae un debito (economico e di riconoscenza) nei confronti dello stato e sempre meno una sua componente attiva, essenziale e finanziatrice.
Lazzarato ricorda come sia emblematica la sovrapposizione tra i due significati della parola tedesca Schuld, che indica al contempo la colpa morale ed il debito economico.
Attraverso questa notazione, che si unisce ad alcune interessanti analisi comparative dei modelli di Walfare State italiano e francese, Lazzarato comincia quella che è l’operazione forse più interessante che sta alla base di tutto il libro: unire delle analisi descrittive di alcuni meccanismi economici (la cui comprensione è particolarmente urgente oggi) al tentativo di enucleazione delle fondamenta filosofico-antropologiche che soggiacciono a tale struttura economica.
Lazzarato, ponendosi sulla scia di un filone di indagine (“genealogico”) inaugurato da Michel Foucault, e servendosi di strumenti concettuali quali La genealogia della morale di Nietzsche e L’anti-Edipo di Deleuze e Guattari, ci dice che c’è un ben preciso ideale filosofico-antropologico “dietro” alla crisi economica attuale.
Vale a dire che ogni visione del mondo, che sia politica, filosofica o (come nel caso specifico) economica, ha dietro un’idea di uomo.
Secondo Lazzarato l’idea di uomo soggiacente al sistema capitalistico così come esso si è sviluppato negli ultimi decenni è quella dell’uomo “indebitato”.
Lazzarato non concepisce l’attuale crisi economica come un caso eccezionale all’interno dell’ordinamento capitalistico normalmente vigente, che secondo molti economisti è un sistema che funziona in maniera autoregolantesi, “fisiologica”, senza grossi intoppi, ma un suo compimento ai massimi livelli.
Infatti attraverso la propagazione del debito, si potrebbe dire attraverso una sua “microfisica”, gli esseri umani vengono ancorati sempre di più a un peso soggettivo, a una colpa, che grava sulle loro spalle, e che altro non è che la declinazione morale dell’indebitamento economico.
Nella propagazione virale del debito a livello dei singoli contribuenti avverrebbe la contemporanea propagazione dell’asservimento degli esseri umani da parte dell’ordinamento economico vigente.
Diventiamo progressivamente meno liberi, con stipendi più bassi, con assicurazioni e rappresentanze sociali sempre più deboli, siamo disposti ad accettare una precarietà umana, sociale ed esistenziale sempre maggiore, e questo in nome di un debito-colpa quasi ancestrale (non a caso appaiono spesso nei sondaggi o nelle digressioni degli economisti esempi come “ogni nascituro in Italia viene al mondo con un debito di …”).
Questa diminuzione della libertà, secondo Lazzarato, viene fatta passare come misura necessaria per sopperire ad una propria carenza, ad una colpa (Schuld) etica, relativa al proprio comportamento, che poi si trasforma in debito da retribuire.
Scopriamo così che dietro i cliché della crisi si nascondono menzogne e macchinazioni, come quelle che hanno fatto passare il popolo greco come una popolazione di “cicale” spendaccione che ha costruito con la propria mancanza di oculatezza la crisi di cui ora è vittima, quando invece il cittadino greco è quello con il tetto annuo di lavoro pro-capite più elevato in Europa.
Oppure che in Germania e in Francia i controlli degli uffici deputati all’assegnazione dei sussidi di disoccupazione e degli “aiuti” sociali entrano sempre più nelle vite e nei comportamenti delle persone. Non si giudica più l’individuo per quello che fa, per le sue professionalità, richieste, situazione economica. Ma sempre più si considerano fattori quali la sua “flessibilità” (vale a dire disponibilità ad accettare condizioni di vita e lavoro imposte in tempi minimi e, persino, “di buon grado”), la disponibilità, ma anche la vita personale e sociale dei soggetti presi in esame.
Queste macchinazioni secondo l’autore sono l’escamotage filosofico, di un acume mostruoso, usato dalle élites economico-politiche per creare livelli sempre maggiori di asservimento e di rassegnazione, in popolazioni private della loro indignazione in virtù della costante colpevolizzazione orchestrata ad hoc nei loro confronti. Ed al contempo per esercitare un controllo capillare sulle vite e sulle condotte degli individui.
Il libro di Lazzarato sicuramente non lascia indifferenti: esso informa, forse rattrista, ma soprattutto indigna: è forse questo il dispositivo nascosto di un libro engagé che non mira solo all’informazione, ma anche e forse soprattutto alla formazione alla resistenza, che può avvenire solo se manteniamo intatta la nostra capacità di indignarci e, soprattutto, di non sentirci né in colpa né in debito.