Mercoledì 14 febbraio al Circolo dei Lettori / Nostalgia

12 Febbraio 2018

Nostalgia è parola di dolore. Parola, anche, d’avventura. Dolore per un ritorno impossibile, algos di un nostos che si fa pensiero dominante. La linea del ritorno è un orizzonte che traspare mentre è cancellato, che trema nella lontananza mentre si sottrae allo sguardo. Illusione di una prossimità a lungo vagheggiata. Fantasmagoria di un miraggio che penetra nei pensieri, si fa acqua e sabbia dei pensieri, riva di un approdo che si sa negato. 

Nostalgia è amore dell’impossibile, del tempo di un ritorno impossibile. 

 

Si ha nostalgia, diceva il filosofo, non per il paese lasciato, ma per il tempo vissuto in quel paese, non per il paese dell’infanzia, ma per l’infanzia trascorsa in quel paese, e perduta. Tornando, quel tempo non c’è più, quell’infanzia non c’è più. Quel paese stesso non è più quello, e noi non siamo più quelli che eravamo. È qui il cruccio vero della nostalgia: sapere che non c’è rimedio. Sapere che si ha nostalgia di un tempo che assume la configurazione dello spazio, delle forme visibili dello spazio. Proprio nel nodo che stringe il tempo allo spazio ha radice il dolore del non ritorno. Se nello spazio c’è ritorno da un punto all’altro, nel tempo non c’è ritorno: il tempo è irreversibile. L’irreversibilità è l’anima ferita del nostalgico. Per questo nostalgia e poesia sono sorelle.

 

Se il ritorno è impossibile, la lingua è la terra dove la finzione accoglie l’irreversibile, trasforma il tempo fatto cenere in un ritmo, quel che è perduto in una parola, il mai più in un’immagine prossima, dolce e musicale insieme. La nostalgia o sprofonda nel vuoto e nell’afasia dell’irrimediabile o si affida alla narrazione, e all’evocazione, del tempo che più non c’è, e dà a questo tempo la fisica dimora di una lingua. Di una lingua che ha un suo nuovo tempo, un suo nuovo ritmo. “Trouver une langue nouvelle”: la frase del poeta vuole forse dire che bisogna trovare una lingua dove l’irreversibile possa essere accolto, ospitato, trasformato in un nuovo tempo. Il tempo della poesia si curva, amorevole, sul tempo fisico, delle sue ceneri fa immagini, della sua sabbia musica. In questa metamorfosi il dolore per l’impossibile ritorno non è cancellato, ma portato sulla soglia di una consapevole finitudine. Sulla soglia di un’accettazione che sa convivere con la forma, con i lampi che possono giungere dalla sua bellezza.

 

J’ai longtemps habité sous de vastes portiques  

(Baudelaire, La vie antérieure)

                    

Questa terra luminosa – altrove di un’esistenza trasognata e persa, di un’esistenza mai vissuta – è una ferita lungo l’accadere dei giorni, un lampo che abita, come una vena e un dendrite, la pietra preziosa del tempo. Nella ripetizione, incrinatura improvvisa. Nel sempreguale, inatteso varco di vento, e di profumo. È questa presenza che dà alla parola la leggerezza di una nuvola: presenza che nella lingua della poesia sospinge verso la terra della metafora. Il sogno della metamorfosi ha forse radice in questa anteriorità della quale è rimasta soltanto una sinopia pallida e tuttavia in grado di suggerire figurazioni estreme.

 

Mercoledì 14 febbraio 2018, al Circolo dei Lettori di Torino, Antonio Prete terrà una conferenza sulla nostalgia.

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