Nuovi monumenti italiani
6 aprile 2009. Trema L’Aquila e crolla il suo centro storico, bellezza un po’ nascosta tra le montagne. Crollano gli edifici antichi, si sbriciolano le palazzine anni ’60, rimangono in piedi i soli palazzi fascisti.
2 novembre 2010. Buona parte del Veneto è sommerso da una grande alluvione. Forza della natura o incuria ambientale? Troppa natura o troppa civiltà?
6 novembre 2010. Crolla una parte della Casa dei Gladiatori di Pompei, vestigia arcinota in tutto il mondo. La pioggia le è stata fatale. Qualche giorno dopo, ancora uno smottamento.
I ministri si difendono, l’opposizione protesta, i benpensanti s’indignano. “Il nostro patrimonio culturale! La nostra Storia!”
Il Belpaese si sbriciola, si sfalda, va in rovina. Come la faccia del suo Primo Ministro, l’Italia crolla sotto l’inesorabile peso del tempo. Non sono serviti gli interventi straordinari, i salvataggi in extremis, le infinite puntellature. Non basta la cipria e il fondotinta, la chirurgia estetica e il botulino. Senza una strategia di lungo termine il tempo, prima o poi, presenta il conto. Ma per un paese che nel passato ha sempre rischiato di sprofondare, che a queste rovine si è attaccato spesso come a un salvagente contro il tempo, che valore simbolico hanno questi sassi e queste pietre che si ammassano sempre di più intorno a noi? Per un paese che intrattiene ancora un rapporto distorto con la modernità e il progresso, che vive nell’illusione di essere una Disneyland dell’antichità e spesso si dà pace in questo pensiero, la celebrazione della rovina non rischia di essere un esercizio pericoloso?
Intorno all’estetica della rovina, del crollo, del monumento, alcuni artisti italiani hanno recentemente prodotto opere che hanno il merito di confrontarsi con la storia sociale, politica e culturale italiana, cosa abbastanza rara in questi ultimi anni. Francesco Arena, Maurizio Cattelan e Lara Favaretto sono quelli che mi sembra abbiano lavorato con più attenzione in questo senso. I loro sono “monumenti” che mettono in relazione la nostra storia con il nostro presente, si confrontano con le macerie e le rovine del nostro tempo: dicono di crolli non solo fisici, di una decadenza che appare irreversibile. Usando modi e forme proprie del monumento, questi artisti ragionano sul suo rinnovato significato politico e sociale. Piuttosto che fare l’apologia della rovina, riflettono sulla rovina di un paese.