Parigi. Propreté de Paris
È il giorno della raccolta della carta, o meglio: domani è il giorno, questa è la sera in cui i cassonetti di plastica vengono messi in strada e lasciati in attesa del passaggio dei netturbini. Abbandonati, spesso sulle piste ciclabili o agli angoli tra i portoni e le vetrine dei negozi, i cassonetti sono sempre più preda di razzie e non è raro che almeno la metà del loro contenuto venga sottratto alla propreté de Paris.
Una forma anticipata e diretta di riciclaggio che ha visto negli ultimi mesi a Parigi un evidente aumento. Non esiste cassonetto che non venga ispezionato come non esistono cose utili che non vengano buttate via. Il fenomeno è una diretta conseguenza di una crisi economica che per prima cosa ha lasciato per strada, inteso come senza lavoro e senza casa, un numero sempre maggiore di persone. E ci si arrangia come si può.
I cercatori di carta sono forse la categoria più ampia tra le persone che tentano di soddisfare i propri bisogni alla meno peggio. Fuori dai supermercati si affollano principalmente anziani in attesa della frutta e della verdura ormai scaduta e che viene gettata ancora nelle cassette di legno, mentre la ricerca di qualche bottiglia non del tutto vuotata nei cestini è motivo di scaramucce, se non di vere e proprie risse, tra disperati avvinazzati, barcollanti sia per il vino sia perché già malconci per qualche precedente discussione. Per ogni uomo c’è un rifiuto, per ogni rifiuto c’é un uomo. Sono due mondi speculari, molto più comunicanti di quanto si possa pensare.
Tolto il vetro, quasi tutto ciò che non è organico, a Parigi è carta, o comunque entra nel medesimo bidone. I cercatori di carta possono così essere definiti dei veri e propri specialisti del settore. Si va dai SDF che raccolgono veri e propri carri di materiale che trascinano faticosamente lungo le strade, fino a chi è in cerca di qualche oggetto retrò, o a qualche artista fuori moda, ma ancora di stagione, che cerca nei ritagli dei giornali e nei diari abbandonati la propria ispirazione e uno spazio in una galleria del Marais.
In teoria sarebbe una pratica illegale, ma il tacito accordo contempla che non si faccia troppo disordine, che non si lasci in giro roba lungo il marciapiede, che si prenda quello che si vuole, ma senza intralciare e senza sporcare.
E a vedere la curiosità con cui i cosiddetti emarginati sfogliano fino ad abbandonarsi alla lettura i vecchi giornali o i livre de poche espulsi per eccessiva usura da qualche biblioteca, ci si domanda cosa potrà mai restare da curiosare in un mondo sempre più digitale e senza carta. Forse solo l’organico con i suoi odori aspri e dolciastri di frutta marcia e cibo scaduto. Un ritorno alle proprie feci e con loro alla propria infanzia.
Qualcuno ha osservato che l’attuale pratica è una forma evoluta e funzionale di riciclaggio e ha proposto di modificare gli attuali cassonetti trasformandoli in ammiccanti vetrinette in plexiglass capaci di attirare anche i più distratti e schizzinosi generando un proficuo scambio di spazzatura che riduca sensibilmente lo spreco favorendo un’etica del consumo più responsabile.
Un uomo dall’altra parte della strada rovista in un mucchio di riviste, parla sottovoce, mormora parole senza senso e ho l’impressione che traduca in realtà il linguaggio spesso fasullo di quei giornali. Ha i capelli lunghi e unti, una giacca nera scucita sulla spalla sinistra e pantaloni di cotone spiegazzati, si passa una mano sui capelli e sorride, i nostri occhi si incrociano. Mi convinco che è Jean-Pierre Léaud.