Proviamo con Marte
Marte è il quarto pianeta che orbita attorno alla nostra stella chiamata Sole, più o meno a 278 milioni di chilometri. La Terra orbita a circa 150 milioni di chilometri. Ma non tutti i pianeti orbitano alla stessa maniera. L’orbita di Marte è molto eccentrica: il punto più vicino al Sole è di 207 milioni di chilometri. Le orbite dei due pianeti non sono costanti, a volte si avvicinano a volte si allontanano tra loro, oscillando tra 56 e i 100 milioni di chilometri. Così il fisico Paolo Ferri presenta il pianeta nel suo Le sfide di Marte (Raffaello Cortina Editore): «Un luogo inospitale, con atmosfera rarefatta e irrespirabile, una temperatura superficiale media di 60 gradi sotto zero, continuamente bombardato da letali radiazioni ionizzanti provenienti dallo spazio.»
Per un lettore di fantascienza si tratta di un pianeta familiare, addirittura banale tanto antica sarebbe la sua conquista mai avvenuta. In alcuni film funge addirittura da base per viaggi interstellari. Informati delle sue condizioni ambientali gli autori di fantascienza hanno creato strutture protette e munite di ossigeno da grandi macchine alimentate non si capisce bene come. Dettagli insignificanti per viaggiatori interstellari. In realtà le cose non stanno proprio così. Vero, se prendiamo come scala di misura la nostra galassia Marte è vicinissimo a noi, appena una fermata, e non sarebbe degna di nota in un viaggio interstellare, ma il problema è che da decenni, spendendo moltissimi soldi, riusciamo solo ogni tanto a visitarlo con sonde orbitanti, e ancor più raramente riusciamo a far scendere nostri veicoli mobili sulla sua superficie. La ricerca scientifica cresce sui suoi infiniti errori, e questo non deve diminuirla ai nostri occhi. Se ne fa abbastanza spesso una divulgazione trionfalistica che alla fine la diminuisce anche agli occhi meno epistemologici del mondo. In questi giorni si parla molto (e giustamente) dei nuovi vaccini anti-cancro mRNA: sarebbe ancor più interessante se si parlasse degli infiniti fallimenti che hanno costellato decenni di ricerca ad alta intensità cerebrale ed economica. Il fallimento è componente essenziale del successo. Affermazione banale di un concetto poco pensato. Il libro di Paolo Ferri, scritto dopo decenni di militanza scientifica, ha il grande pregio dell’onestà intellettuale. Più che divulgatore definirei Ferri narratore puro. Ci racconta la sua avventura intellettuale, non semplice da descrivere perché distinguere fisica teorica e pratica non è poi così banale. Far atterrare (ammartare?) una navicella con dentro delle persone vive è insieme esercizio pratico e teorico. Atmosfera rarefatta, venti a duecento all’ora, per non parlare di squarci profondi chilometri, e cime abissali qua e là.
In Il destino di Marte Asimov sceglie, almeno all’inizio, il gioco della normalità, un po’ il contrario dei Flintston, preistorici ma ugualmente umanizzati al presente. Normali e pesanti vite coniugali, sul pianeta rosso ormai colonizzato con tunnel e città sotto vetro. Il racconto, che nelle sequenze spaziali ha una sua indiscutibile bellezza, resta in mente per la resa tutt’altro che frontale del futuro. I personaggi appartengono a una categoria per nulla apprezzata dalla società terra-marziana: sono spazzini spaziali. Navigano a equipaggio ridotto per recuperare rottami spaziali. Li inseguono nello spazio tra Terra e Marte e dopo averli timbrati li spediscono sulla sbilenca Febe, a quanto pare luogo di sfasciacarrozze spaziali. Essendo Asimov per nulla sprovveduto scientificamente, il problema dell’energia e delle materie prime è il contenuto scientifico-fantascientifico del racconto. Si va in visita dagli amici recando con sé una bella borraccia d’acqua fresca, pagata a caro prezzo. Marte è immaginato come nuova frontiera delle materie prime: ingegneri minerari, minatori, tecnici del settore, sono l’aristocrazia della società marziana. La propulsione dei veicoli spaziali è ad acqua, che però deve essere importata dalla Terra, mentre Marte restituisce enormi quantità di ferro. Non viene chiarito del tutto il trasporto. Il presente immaginato da Asimov è tecnologicamente avanzato ma anche malinconico e decadente. È il dopo dell’avventura, dice come vanno a finire tutte le cose. Gli umani vivono da generazioni su Marte, molti non hanno mai visto la Terra madre, ma devono fare i conti con le scorie dei loro successi. Lo spazio è pieno di rottami-spazzatura. Per inciso c’è in questo racconto un climax che verrà ripetuto fino alla noia dalla cinematografia e della letteratura fantascientifica, in fondo l’unica letteratura di genere che possa vantare qualche quarto di nobiltà. La fantascienza è distopica per natura, e in questo si nascondono la sua ingenuità e il suo limite. Impossibile non ricordare una strana lavapiatti marziana, denominata Seccoterg, che lava i piatti di una settimana utilizzando appena mezzo bicchiere d’acqua. Bella anche l’intuizione politica di Asimov: la rottura tra Terra e la sua colonia su Marte. La Terra non manderà più acqua, non crede più alle missioni spaziali, esige il rientro della popolazione marziana. Ma i fantastici spazzini dello spazio ruberanno il ghiaccio agli anelli di Saturno e formando un’immensa astronave ghiacciata riforniranno Marte. Ormai sono abituati ai loro tunnel e all’aria artificiale, non hanno nessuna nostalgia della Terra, non vogliono proprio tornarci.
Se Marte fantascientico è in fondo deludente non si può dire la stessa cosa dell’avventura, ancora con i piedi ben piantati sul pianeta Terra, raccontata da Paolo Ferri. Che non ha iniziato il suo lungo lavoro sperando di incontrare marziani o loro tracce (ricordiamo i famosi canali di Marte, visti per secoli, mentre invece nella realtà sull’intero pianeta non esiste neanche una linea retta!) ma perché lui vorrebbe andarci comunque. Naturalmente non da solo, deve partecipare a un’impresa collettiva di quelle difficili da tenere insieme. Anche per l’enorme impegno richiesto alle finanze degli Stati. Paolo Ferri ha lavorato per quasi quarant’anni all’Agenzia Spaziale Europea (ESA). E nel libro racconta anche le sue esperienze americane. Ma non soltanto grandi nazioni più o meno associate sono della partita, interessante il non del tutto simbolico intervento privato: Elon Musk si sta attrezzando per raggiungere Marte. Più che rispondere a esigenze scientifiche e economiche per politici e tycoons lo spazio è un super spot indiscutibile. John Kennedy nel 1961 annunciava che gli Stati Uniti avrebbero portato gli uomini sulla Luna, precisando: facendoli anche tornare indietro.
La competizione spaziale era già cominciata ma da quel momento le rampe di lancio entrano nell’immaginario collettivo. Forse camuffando un po’ la inquietante commistione tra guerre e sviluppo tecnologico: aerei, radar, satelliti, comunicazioni senza fili, missili, internet stesso, nascono tutti per usi bellici. Poi negli anni, superata la guerra fredda, inizia la cooperazione, con diverse gradualità. Non so valutare il ruolo della Cina, presente anche in questo campo ma quasi come elemento extraterrestre. L’attuale quadro di ritorno alla guerra fredda e calda renderà il tutto più difficile, considerando che i tempi della ricerca scientifica non sono esattamente quelli elettorali. La ricerca scientifica è costosa e spesso raggiunge risultati incomprensibili agli elettori. Come esclamò un mio giornalaio: “tutti questi tubi sotterranei per trovare un bosone…” (per pietà accenno soltanto alle tubazioni immaginate da un Ministro italiano…). Le più grandi conquiste scientifiche della storia dell’uomo (relatività, meccanica quantistica) tradotte in politica si trasformano in bomba atomica. Potere economico e scienza sono incatenati insieme ma è un matrimonio forzato che produce risultati solo raccontando storie differenti. Da una parte si sviluppa la retorica del cow boy dello spazio, dell’avventura e dei canali di Marte, trasformando una metà del cinema contemporaneo in una sorta di gigantesco ufficio stampa, dall’altra si spera di riportare sulla Terra delle pietre raccolte dalle macchine e analizzate solo in piccola parte dai computer di bordo.
Come nel racconto di Asimov il problema è nel trasferimento dei campioni raccolti: trasportare pochi chili di pietre è la vera impresa. Bisogna raggiungere Marte. Raccogliere pietre e polveri. Portare il tutto sulla Terra. Il libro di Ferri ha il grande pregio di farci conoscere dall’interno le problematiche del suo mondo tecnico-scientifico. Per esempio le difficoltà del comando remoto delle sonde e delle unità mobili già presenti sul pianeta. Il ritardo inevitabile di ogni comando da Terra rende impossibili le decisioni da prendere ora e subito. I computer di bordo devono quindi essere in grado di prendere da soli la decisione basandosi su giganteschi programmi creati per ogni evenienza.
Alcune manovre sono già preimpostate, cioè previste in anticipo, e si chiamano “manovre deterministiche”. La determinazione della traiettoria di volo, della rotta, è essenziale e esige la massima attenzione: ogni errore può costare la perdita della sonda, che potrebbe schiantarsi sul pianeta oppure mancare l’inserimento in orbita. Ad occuparsi della crociera (così si chiama in gergo il lungo volo di circa otto mesi) c’è il “team della dinamica di volo”: matematici, fisici e informatici. “I risultati dei calcoli del team della dinamica di volo non si discutono. Mai.” I rapporti tra fisici e ingegneri in una sala di controllo e in generale nel lavoro comune, sono descritti con grande efficacia, senza enfasi e direi con garbata ironia. L’ingegnere americano che si presenta dicendo “conosco i paesaggi di Marte meglio del mio giardino” lo lascia abbastanza perplesso, soprattutto perché è vero: quel signore sa davvero tutto della superficie di Marte. Non è una critica al collega estroverso, quella di Ferri, ma una semplice constatazione: nel lavoro come nella vita ognuno agisce obbedendo al suo carattere e alla sua cultura. Ma ci sono regole non scritte che vanno conosciute e rispettate, in questo complesso lavoro d’equipe. Non si parla se non hai davvero qualcosa da dire. Ci sono delle priorità da conoscere, nella comunicazione tra scienziati, complesse come i calcoli per controllare la rotta di una sonda.
Il momento in cui Ferri apre bocca per il suo primo intervento davanti a un consesso internazionale di superesperti ci trasmette un’emozione inattesa in un libro del genere. La scrittura è semplice e chiara, un vero esercizio di stile privo di qualunque esibizione accademica: Ferri spiega senza umilianti metafore quel che è possibile spiegare. Il lettore non diventerà un pilota stellare ma capirà quanto lavoro è necessario per tentare un’impresa del genere. Un’altra caratteristica del libro, già accennata, è la sua onestà intellettuale. La maggior parte di queste riunioni di cervelli ha un unico ossessivo argomento: i fallimenti dei tentativi precedenti. Esemplare il ritratto di William O’Neill, capo progetto NASA della missione Mars Sample Return, veterano dei viaggi (disastrosi) su Marte. È la fine della dottrina Faster, better, cheaper, anzi la fine dell’intero progetto. L’autore incontra William O’Neill nel 1999, e due mesi dopo la seconda sonda americana, Mars Express, si schianta sul suolo marziano.
La missione Mars Sample Return si conclude così. E per diversi anni gli investimenti, in termini finanziari e di impegno umano, si ridurranno a favore di una nuova impresa lunare. Poi l’interesse politico per Marte si riaccende. Soltanto nel 2012 la NASA riuscirà a far atterrare un Rover su Marte, grazie a una nuova tecnica di avvicinamento al suolo chiamata sky-crane. Risolto, dopo molti fallimenti, il problema dell’atterraggio e della raccolta di pietre e materiali, resta ora il problema di riportarli indietro. Tutto qui: pietre, polvere. Non so quale commento esprimerà il mio vecchio edicolante. Speriamo che i nostri Ministri ci risparmino il loro.