Quelli della Libreria dei Ragazzi
Parlare di Roberto Denti, a pochi giorni dalla sua scomparsa è un'impresa ardua, praticamente impossibile. La quantità di riflessioni, scritti, pensieri, ricerche, studi, letture, interventi, polemiche, articoli, dibattiti dedicati alla letteratura e ai libri per ragazzi, alla lettura e a tutti i temi connessi (educazione, biblioteche, scuola, gioco, librerie, famiglia, crescita, salute, sviluppo eccetera) nel corso della sua vita di libraio, autore, studioso, giornalista, esperto, è sterminata. Solo uno studio accurato potrà rendere ragione dello spessore e della complessità della sua figura e dell'importanza del suo operato. Nei giorni scorsi, sui quotidiani e i media nazionali, notoriamente indifferenti a ciò a cui Roberto Denti ha dedicato la sua esistenza – i bambini e i libri a loro dedicati – sono usciti numerosi articoli a informare della sua scomparsa e descriverne la figura. Il che, al di là della passione dei media per cattive notizie, coccodrilli e necrologi, segnala chiaramente una cosa: che Roberto Denti è stata una delle poche figure nel nostro Paese che sono riuscite a traghettare ciò per cui si è battuto, l'infanzia e la sua cultura, oltre l'ambito settoriale e ristretto in cui è da sempre confinato. E questo, forse, oggi, è quello su cui vale la pena riflettere, parlando di lui, e farlo cominciando dal primo atto della sua vicenda professionale: l'apertura nel 1972 della prima libreria per ragazzi italiana, a Milano, in via Tommaso Grossi, insieme alla sua compagna, Gianna Vitali.
Nella raccolta di saggi I bambini leggono, la prima dedicata da Denti ai libri per ragazzi, edita da Einaudi nel 1978, è raccontata l'avventura di quella libreria: dall'ideazione, alla fase progettuale, alla scelta del luogo e alla partenza, fra mille dubbi.
«Prendiamo una decisione,» scrive Roberto, «l'affitto è enorme, ma il negozio è in centro e per Milano è un fatto importante.» Milano, che è sempre stata il laboratorio politico, sociale e culturale della vita italiana, è una città in cui è difficile ottenere attenzione: perciò se vuoi ottenere qualcosa devi cominciare così, mettendoti “al centro” in senso geografico e strategico, ma soprattutto ideale. Con un misto paradossale di incoscienza e assennatezza, idealismo e realismo, pragmatismo e sprezzo del pericolo, buon senso e senso del rischio, candore e orgoglio, ingenuità e malizia, Roberto e Gianna lo fanno: al centro di una città indifferente, avara, individualista e affarista mettono il progetto di una libreria per i “signori fanciulli” (evocando nemmeno troppo fra le righe la Juvenile Library di John Newbery, a Londra, nel 1750). E siccome Milano è il posto giusto per farlo, ottengono subito attenzione. All'inaugurazione della nuova libreria c'è il sindaco Aldo Aniasi e un sottosegretario alla presidenza del consiglio. Da una parte è il segno di un periodo, gli anni Settanta, in cui fondare librerie è percepito come atto politico, più che commerciale, dall'altra che i due giovani librai pretendono con energia che la questione dei bambini e della loro cultura sia assunta come centrale, per la società civile e per il paese.
Forse è proprio questo atto a fondare tutta la storia successiva di Roberto e di Gianna e della loro creatura, matrice che conformerà di sé ogni passo successivo: una dichiarazione di intenti e di principio, questo modo di mettersi al centro e di pretendere attenzione intorno al tema dei bambini in un paese in cui questi sono considerati anzitutto, e a tutt'oggi, come figli e poi come individui.
E non è un caso che l'ultimo saggio contenuto in I bambini leggono si intitoli I tuoi figli non sono figli tuoi dalle famose parole, citate in chiusura, di Khalil Gibran:
I tuoi figli non sono figli tuoi.
Sono i figli e le figlie della vita stessa.
Tu li metti al mondo, ma non li crei.
Sono vicini a te, ma non sono cosa tua.
Puoi dar loro tutto il tuo amore, ma non le tue idee.
Perché loro hanno le proprie idee.
Tu puoi dare dimora al loro corpo, non alla loro anima.
Perché la loro anima abita nella casa dell’avvenire,
dove a te non è dato di entrare, neppure col sogno.
Puoi cercare di somigliare a loro, ma non volere che somiglino a te.
Perché la vita non ritorna indietro e non si ferma a ieri.
Tu sei l’arco che lancia i figli verso il domani.
Una sera del 1973, si legge sempre nel libro, in occasione di una rappresentazione dell'Arlecchino di Strehler alla Villa comunale di via Palestro, Gianna e Roberto sono riconosciuti da un bambino: «Quei due lì sono quelli della Libreria dei Ragazzi». Commenta Roberto: «Ci sentiamo molto orgogliosi, ci sembra di aver raggiunto una certa notorietà. Si avvicinano altre persone e ci mettiamo a parlare». Si parla di librerie, libri e del fatto che i bambini debbano essere portati in libreria. Gianna e Roberto chiedono ai genitori perché non li portino. I genitori spiegano, si accende una vivace discussione.
La notorietà di cui parla Roberto non ha nulla a che vedere con il successo personale: l'orgoglio per questa conquista deriva dalla consapevolezza di aver reso la libreria un luogo di cultura a Milano: un luogo che fa della cultura per i bambini un tema centrale, e che afferma con forza che questa ha la medesima importanza di quella rivolta agli adulti. È significativo che questo “riconoscimento” avvenga a uno spettacolo di Strehler che oggi verrebbe definito “trasversale”: l'alta cultura del Piccolo Teatro si rivolge indifferentemente a grandi e piccoli con uno spettacolo passato alla storia. E non per nulla è un bambino ad accorgersi dei due librai e a richiamare su di loro l'attenzione degli adulti. Un racconto minimo, ma che ha qualcosa di fiabesco, come ne I vestiti dell'imperatore dove un bambino vede quel che i grandi fingono di non vedere e lo dichiara senza incertezze.
La Milano che esce da queste note è quella degli anni Settanta. L'impresa della Libreria dei Ragazzi è figlia di quel tempo, di quegli anni e lo si avverte con nettezza. Così come lo si avverte negli scritti di I bambini leggono, pervasi da una forte tensione a cambiamenti culturali e sociali, speranza nel futuro, ideologia, prese di posizione, accese polemiche, spirito di sperimentazione, trasgressione, innovazione (emblematica è la querelle fra Bernardi e Montanelli, che oggi mette in luce, al di là della condivisibilità o meno delle posizioni, la condizione di un paese spaccato e radicalmente incapace di confronto). I compagni di viaggio, in questo periodo, hanno nomi come Gianni Rodari, Bruno Munari, Leo Lionni, Rosellina Archinto, Mario Lodi, Pinin Carpi, Marcello Bernardi. Quello che li accomuna, nelle differenze imprescindibili, è la dissidenza rispetto ad assetti, prassi, convenzioni, regole, abitudini di pensiero.
Molti di loro affermeranno di aver cominciato a occuparsi di libri o giochi per bambini non trovando prodotti soddisfacenti a loro dedicati. E di aver creato libri o giochi per bambini pensando a quelli che sarebbe piaciuto loro trovare. Spesso i modelli assunti per queste nuove creazioni vengono dall'estero e da campi diversi e lontani da quelli tradizionalmente dedicati ai bambini. In queste figure di sperimentatori, tutte caratterizzate da grande eclettismo (rivestono al contempo ruoli diversi e sono dotati di competenze diverse) si coglie l'impegno, la curiosità, la grande cultura, il divertimento, l'apertura mentale, la forte motivazione personale e carica umana.
La polemica con il presente, con quanto si pretende essere lo spazio che i bambini devono occupare in seno alla società e alla famiglia, non diventa mai sterile conflitto, ma sempre azione creativa, invenzione concreta di spazi nuovi e modi alternativi, di tempi, luoghi, lingue e occasioni da sperimentare. E sempre nella incrollabile, implicita certezza che questo lavoro fatto per i bambini rivesta un ruolo fondamentale, e centralissimo, per la società tutta. E che il dedicare ai bambini, alla loro crescita e al loro sviluppo, le proprie competenze, il proprio tempo, le proprie energie e risorse coincida con un compito importante e una straordinaria occasione di crescita e arricchimento, personale e collettivo.
Il dna della Libreria dei Ragazzi di Roberto Denti e Gianna Vitali, è questo.
E di questo oggi occorre fare tesoro contro la tentazione di beatificare questa figura di libraio, di farne un santino così come lo si è fatto con altri prima di lui. Roberto Denti sapeva perfettamente che quello della pedagogia, dell'infanzia e dell'educazione, è un campo minato, delicatissimo, pericolosissimo da maneggiare, in cui tutti i nodi del peggior conformismo, le tentazioni di strumentalizzazione e manipolazione, la più insopportabile demagogia, il più vieto ideologismo, il più inconfessato conservatorismo vengono al pettine: perché qui, esattamente, si gioca la decisione, cruciale di cosa passare e cosa no, alle giovani generazioni. Il rischio di spostare e sviare l'attenzione dalla dissidenza creativa (che è stato il nucleo dell'azione di Roberto Denti e dei suoi compagni di viaggio) alla celebrazione del personaggio è forte, e coincide con quello gravissimo di perdere l'effettivo significato della sua poco rassicurante e scomoda eredità. Se Roberto Denti è stato al centro della scena, lo è stato per mettere al centro del discorso sociale, umano, politico e culturale l'infanzia e i bambini. Per farne una questione centrale in un paese che sa parlare di figli, ma non ama i bambini e continua a non pensarli e ad assegnare loro uno spazio angusto e marginale.