Sendak, caleidoscopica Rosie

23 Ottobre 2024

Ventenne, disoccupato, senza soldi e idee per il futuro, Maurice Sendak un’estate inaugurò un quaderno di schizzi: Ragazzi di Brooklyn, agosto 1948. Lo riempì trascorrendo lunghe ore alla finestra di casa dei suoi genitori, a disegnare i bambini che vedeva oziare, litigare e giocare in strada. Fra loro primeggiava Rosie, più che una bambina, un’arcibambina: scatenata avventuriera, giocatrice ribalda dall’immaginazione inesauribile che capitanava un’intera squadra di ragazzini. Fu lì, a quella scuola di infanzia e di disegno dal vero, che Sendak imparò a disegnare e a comprendere i bambini, le loro menti e i loro corpi, le loro passioni, i gesti, i terrori, le gioie stratosferiche, le miserie. Scrive di Rosie: «Mi colpì per la sua capacità di immaginare di essere chiunque volesse, ovunque volesse, in questo mondo o in mondi immaginari. […] Adoravo Rosie. Sapeva come far trascorrere la giornata.» E in questo ‘saper come far trascorrere la giornata’ ‘in questo mondo o in mondi immaginari’ c’è tutta l’arte di vivere infantile che solo un osservatore acuto e onesto come Sendak può nominare con tanta precisione e senza enfasi.

Questo episodio della sua vita di giovane illustratore alle prime armi è narrato da Sendak in Really Rosie, presente nella raccolta di saggi Caldecott & Co. Note su libri e immagini, con prefazione di Sergio Ruzzier, a cura di Martino Negri, edito nel 2021 da Spaggiari.

Rosie era un personaggio ideale per un autore come lui, ovvero quello che nella letteratura illustrata meglio ha saputo rappresentare i bambini attraverso parole e immagini, e infatti divenne protagonista di alcuni suoi libri. Adelphi ha appena pubblicato Il segreto di Rosie, che uscì nel 1960 per HarperCollins (titolo originale, The Sign on Rosie’s Door).

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Per scoprire il segreto di Rosie, racconta Sendak, bisogna bussare tre volte all’uscio della sua casa, come ingiunge un cartello scritto di suo pugno. Rosie non fa aspettare molto il lettore: siamo solo a pagina uno e già lo rivela: Rosie non è più Rosie, è Alinda, famosa cantante che un giorno canterà “in un magnifico musical”. 

«Quando?» chiede la bambina Kathy che ha bussato tre volte alla porta (su mandato implicito di noi lettori). 

«Ora, nel mio cortile. Vuoi venire?»  

Kathy non dice sì o no, come cortesia o scortesia imporrebbero, ma chiede ad Alinda di poter essere anche lei qualcuno. 

«Puoi essere Cha-Charoo, la ballerina araba» risponde Rosie, che ha il potere di trasformare a piacimento non solo se stessa, ma chiunque le si avvicini. 

«Va bene, allora vengo» accetta Kathy. «E vennero anche tutti gli altri», aggiunge Sendak.

Rosie impone ai presenti di sedersi e di fare silenzio. 

«Che bello spettacolo» sussurrò Pudgy.

«Davvero» rispose Dolly. 

Nell’universo dei bambini è possibile dichiarare bello uno spettacolo a sipario ancora chiuso (come dar loro torto? Si tratta di uno dei momenti più elettrizzanti, quando tutto deve ancora cominciare). Così come è possibile, senza ipocrisie, accettare di essere spettatore solo se si ha una buona parte accanto alla protagonista.

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Lo spettacolo di Alinda, favolosamente addobbata in abito da sera, con cappello piumato e scarpe col tacco, si rivela una fenomenale sequela di eventi degni dei fratelli Marx: irrompe il piccolo pompiere Lenny, che chiede di giocare anche lui. Alinda, la grande cantante, lo apostrofa indignata: “Non stiamo giocando. È uno spettacolo vero e tu non c’entri”. Lenny, vecchia volpe, ribatte: “Tanto devo andare a spegnere un incendio. Volete venire?”. Segue il gioco del lancio del cappello da pompiere di Lenny che irretisce il pubblico, distraendolo dalle danze e dai canti di Cha-Charoo e Alinda, interrotte per cause di forza maggiore, ovvero la seducente prospettiva di seguire Lenny nelle sue imprese pompieristiche.

Rimaste senza pubblico, cantante e ballerina, impervie alla frustrazione, si complimentano l’un l’altra per la perfetta riuscita della loro prova teatrale e si danno appuntamento per l’indomani. Rimasta sola, Rosie sale su una sedia e finalmente può cantare Nel blu dipinto di blu per intero e per l’unica spettatrice rimasta, ovvero se stessa.

Nel capitolo due, Rosie è a casa, e ci offre un indizio dell’origine del proprio talento di geniale trasformista. 

«Mamma, non so cosa fare.»

«Inventati qualcosa» è la risposta della genitrice che vediamo di schiena, intenta a cucinare. Viva le madri spicce, viene da pensare: tutta salute.

Attaccato all’uscio l’ennesimo cartello (“Se mi cercate non sarà facile trovarmi perché mi sono travestita. Tanti saluti, Alinda”), Rosie di nuovo pencola, nulla facente. Così la madre la invita a trovarsi un’ennesima occupazione. Rosie trova una coperta rossa e se la mette in testa, poi va a sedersi in cortile. Questa volta, ai suoi amici anche loro in cortile afflitti da scarse idee sul da farsi e spediti fuori casa da mamme poco propense a occuparsi dei loro giochi, spiegherà di essere “Alinda, la bambina perduta”. 

E chissà che questa “lost girl” non echeggi Perdita, la figlioletta smarrita in Racconto d’inverno di Shakespeare, grande ispiratore di Sendak. Che Rosie-Alinda, immaginaria regina delle scene, aspirasse a una commedia shakespeariana? Fra l’altro, quindici anni dopo, nel 1975, in Really Rosie, musical con testi di Maurice Sendak e musica di Carole King, questa creatura fatta per il teatro calcherà veramente la scena. 

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Tornando al nostro libro, il dialogo che segue, fra Alinda, la bambina perduta e i suoi amici è questo:

«Chi ti ha perso?”

«Mi sono persa da sola.»

«Però sei Rosie, vero?»

«Ero Rosie, ma non lo sono più.»

Ecco, quindi, nel capitolo tre, Rosie diventata un perfetto personaggio del Novecento, drammatico e dall’identità in frantumi. Ma ben si guarda dal compiangere se stessa o ritenersi votata all’inesistenza. Tutt’altro. Poter essere qualcun altro, in particolare la splendida Bambina Perduta, è un gioco di suprema bellezza, degno della massima attenzione, dal gusto irresistibile e che promette soddisfazioni certe. Chi la troverà, infatti profetizza, sarà “L’Uomo Magico”, colui che finalmente le dirà “cosa fare”: bisognerà solo sedersi e attenderlo. Segue fra i bambini un botta e risposta da teatro dell’assurdo, degno di Ionesco, ma perfettamente ragionevole, secondo la logica d’acciaio dell’infanzia che senza scarti passa dal piano della realtà a quello dell’immaginazione. 

Il capitolo si era aperto con Rosie e un drappello di bambini intenti a chiedersi l’un l’altro cosa fare. Rosie con la coperta rossa in testa, naturalmente, sa qual è la soluzione per pomeriggi del genere: aspettare. Opzione che alla sua banda appare immediatamente interessante, infatti tutti si mettono a farlo con gusto indicibile. Ovvero continuano a non fare niente. Ma proprio niente di niente, protetti dal fantasma irresistibile dell’avvento dell’Uomo Magico, un Godot privo di complicazioni esistenziali.

Al termine del pomeriggio l’Uomo Magico, che tutti hanno diligentemente atteso obbedendo agli ordini della Bambina Perduta, non si è presentato, accrescendo il mistero che lo circonda. 

E quando le rispettive madri chiederanno ai rispettivi figli e figlie, tornati a casa, cosa abbiano fatto, Sendak scrive: «…loro risposero che c’era stato talmente tanto da fare e così poco tempo che l’indomani avrebbero potuto continuare.» 

E poi, con ineguagliabile genio, aggiunge: «Bene!» dissero tutte le madri. 

L’illustrazione che ritrae i bambini tornati a casa e le mamme che li accolgono, sotto una luna pienissima e luminosa, è di un umorismo affettuoso e sopraffino.

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Cosa succede nel capitolo quattro, ben mi guarderò dal rivelarlo: farei un torto a Rosie, ad Alinda, ma, soprattutto, alla bambina perduta, avvolta nella sua coperta rosso petardo. Aggiungerò solo che la sua seconda giornata di attesa dell’Uomo magico proseguirà in bellezza, per esplodere poco prima dell’ora di andare a dormire, con quello che mi viene da definire un geniale passo a due di madre e figlia. Anzi, passo a tre, perché il gatto Burro farà la sua parte, come è giusto che sia nelle vite dei bambini e degli animali loro compagni di avventure. 

Nell’ultima bellissima illustrazione del racconto, nella camera di Rosie una finestra inquadra la notte. Vi si affaccia una falce di luna riverberante tenerezza e mistero, come accade in altre stanze di bambini usciti dalle mani di Sendak, e che forse Sendak avrebbe messo di diritto fra quegli strani personaggi che Shakespeare definì i favoriti della luna.

Qualche giorno fa, una bambina di nove anni, sapendomi “esperta di fiabe”, ha voluto venirmi a salutare vestita da Grimilde. Il giorno dopo mi ha ammessa in camera sua, ha aperto per me l’armadio dei suoi travestimenti e mi ha mostrato i suoi costumi: un abito da principessa, uno da gran dama, uno da Elsa e una bellissima giacca rosso fuoco con gli alamari da domatore di leoni.

Uscendo, siamo passate davanti alla stanza dei suoi genitori e lei mi ha informata, con espressione grave: qui posso entrare solo io. Un secondo dopo ha deciso di fare per me un’eccezione. Ha spalancato la porta, e mentre io stazionavo sulla soglia, lei ha inscenato a mio beneficio una danza selvaggia, tirando il suo gatto di pezza contro il soffitto. Allora mi è venuta in mente la dedica in esergo a Il segreto di Rosie:

In ricordo di Pearl Karchawer
di tutte le Rosie
e di Brooklyn.

Pearl Karchawer fu una delle migliori amiche di Sendak, da ragazzino. Morì a dodici anni. Scrive Cynthia Zarin nell’articolo Not Nice, apparso il 9 aprile 2006 su “The New Yorker”, che il grande fumettista Jules Feiffer, legato a Sendak da amicizia cinquantennale, le confidò: “È un mistero quanto vicini possiamo arrivare da adulti ai sentimenti dell’infanzia. Ma Maurice? Lui è stato capace di rimaner loro molto vicino. Persino le storie che non ha scritto lui ne portano il segno. È Chaplin che mangia la scarpa in La febbre dell’oro. È inquietante, ma lui vive mangiando quella scarpa”.

In copertina, Maurice Sendak, Rosie and Buttermilk, her Cat, character studies for Really Rosie animation, 1973, watercolor and ink on paper, 13 3/4 x 15 5/8 in. ©The Maurice Sendak Foundation.

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