Lora Lamm e Olimpia Zagnoli, Immagini e parole 

13 Ottobre 2023

Come sale e pepe nella zuppa, digressione estetico ricreativa di Olimpia Zagnoli sul lavoro di Lora Lamm, fa parte della collana OILÀ, curata da Chiara Alessi ed edita da Electa, dedicata a protagoniste nel panorama creativo italiano e internazionale del Novecento. Nella presentazione si legge che si tratta di libri “pensati per essere letti ad alta voce dall’inizio alla fine in quarantacinque minuti – un viaggio breve”. 

In effetti, il testo di Zagnoli, oltre a essere rapido come una freccia e divagante come le curve di un serpentone (Festina lente, recita il motto latino), è pieno di viaggi, non solo quelli necessari a visitare gli archivi dove si trovano i lavori della grafica svizzera, nata ad Arosa, Cantone dei Grigioni, nel 1928, approdata a Milano nel 1953 per diventare una delle figure di spicco della grafica degli anni Cinquanta e Sessanta, attraverso collaborazioni importanti fra cui Rinascente e Pirelli. 

Oltre che per essere un’occasione di approfondimento di una figura che conoscevo poco, questo librino mi ha interessata per due ragioni: il modo in cui è scritto e il modo in cui lega la parola all’immagine. Trattandosi di uno scritto di una creatrice di immagini (“Scrivere non è il mio mestiere” è l’incipit) su di un’altra creatrice di immagini, in cui si parla continuamente di immagini, va segnalato che nelle sue 97 pagine se ne incontrano solo tre: tre ritratti fotografici di Lora Lamm in età diverse. Quindi le immagini in queste pagine sono completamente affidate alla parola e alla sua capacità di restituirle.

Se lo leggerete, vi consiglio di non ricorrere immediatamente al web per cercare le immagini di Lamm a cui Zagnoli fa riferimento (ce ne sono molte), ma di fidarvi della destrezza con cui le farà apparire davanti agli occhi della vostra immaginazione. In greco la descrizione verbale di opere d’arte visive si chiama ecfrasi, dal verbo ἐκϕράζω «esporre, descrivere con eleganza». Come spiega la Treccani, i retori greci con questo termine indicavano in particolare una “descrizione di luoghi e di opere d’arte fatta con stile virtuosisticamente elaborato in modo da gareggiare in forza espressiva con la cosa stessa descritta”. Le ecfrasi di Zagnoli, una vera milanese che detesta perdere tempo e farlo perdere agli altri (“Milano è il mio destino”, afferma nel libro, citando una frase di Savinio riportata su una borraccia da lei acquistata al bookshop della Triennale), più che gareggiare con le immagini di Lamm, le restituisce al lettore in sintesi esemplari, di cui riporto due esempi:

“Estate e moda” è lo slogan di un manifesto realizzato da Lamm per La Rinascente. C’è una donna sdraiata che quasi preme per uscire dal foglio. Ha una gonna di pizzo Sangallo realizzata con un collage fotografico, le gambe di cartoncino rosa e due scarpette nere sulle quali uno scarabocchio grigio a pennello ricorda un fiocco. Sul tallone, quasi in bilico, il logo de La Rinascente. 

Su un foglio bianco si staglia a tempera color mattone la silhouette pulita di uno dei miei oggetti preferiti, una borsa dell’acqua calda. Sopra di essa, una bambina con una treccia di capelli neri che indossa una camicia da notte decorata di lilla, azzurro e rosa, siede rannicchiata custodendo il calore generato dalla boule tra le braccia. 

(pagina pubblicitaria realizzata per Pirelli)

Sono l’elegante nitidezza, la vivace immediatezza delle illustrazioni di Lamm a suggerire a Zagnoli di attenersi a uno stile privo di virtuosismi? Non sorprende il lettore venire a sapere che nella camera di Olimpia bambina era appeso un poster di Lamm che così è descritto: 

Ecco che passa una Vespa rosa, con la ruota di riserva in bella vista, cavalcata da una ragazza con i capelli al vento in maglietta a righe, pantaloni capri e sandali: la stessa immagine che avevo appesa nella mia cameretta di adolescente. 

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A parte il fatto che chi ha visto qualche ritratto fotografico di Zagnoli, facilmente la ricorda vestita come la ragazza di Lamm, leggendola si comprende come la frequentazione delle due sia di lunga data: il tempo necessario ad assorbire e imparare un linguaggio visivo per farlo conoscerlo agli altri. 

Ma si tratta anche d’altro, di un esercizio di sintesi che non sembra appartenere unicamente allo stile di Lamm (che dichiara di preferire di non appoggiarsi a uno stile), ma a un modo di guardare e pensare le cose, lasciandole intatte, maneggiate con il numero minor di parole le più neutre ed esatte possibili (ma senza zavorranti intenti di perfezionismo, in questo senso). 

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C’è un ritratto che Lamm fa di se stessa appena approdata a Milano che rimane stampato in mente come un manifesto:

Quando sono arrivata a Milano era agosto. Il primo posto dove ho soggiornato è stata la casa dello studente di piazza Piola. Non sapevo l’italiano. Ero solo bionda, coi capelli lisci come spaghetti. È stato il mese più bello della mia vita. 

Per esperienza di editore so che l’immagine, al contrario di quanto qui accade, può spingere chi scrive più ancora che a virtuosismi, a veri e propri imbarazzanti bagordi descrittivi. In chi scrive, tuttavia, una profonda conoscenza dell’immagine si riconosce non solo nell’abilità di metterne a fuoco i tratti salienti che sono alla portata della parola, ma anche di riconoscere lo spazio che le parole occupano nel discorso, nello stesso modo in cui un grafico sa definire il loro posto, la loro forma e le loro dimensioni all’interno di uno spazio. Se scrivere non è il mestiere di Zagnoli certamente lo è progettare una pagina.

Nella prima pagina del libro, non a caso Zagnoli dichiara di avere accolto la proposta di scrivere il libro pensando che sarebbe stato relativamente facile parlare di Lamm nel limite delle sessantamila battute richieste dalla casa editrice, pensiero subito smentito, confessa, dall’evidenza che Lamm è un’artista il cui lavoro è stato fondante per la sua formazione visiva. Raramente chi scrive fa riferimento ai dati tecnici del testo con cui è alle prese, i quali, invece, entrano come parte integrante e attiva nel processo creativo di chi disegna e impagina. Lo spazio è una dimensione che si attraversa, nella pagina come in un viaggio. Lo spazio è un dato visivo e narrativo e la parola ne fa parte. È affascinante scoprire come tutto ciò entri nella confezione di questo testo breve e impeccabile. 

Poco prima di descrivere l’importanza dello spazio nel proprio pensiero, Zagnoli racconta in estrema sintesi La casa più grande del mondo di Leo Lionni, commovente e brillante metafora della scoperta della misura del proprio spazio esistenziale, in cui una lumachina comunica al padre l’intenzione di abitare, da grande, nella casa più grande del mondo. En passant l’autrice avverte il lettore di aver acquistato l’albo, usato, a Reggio Emilia, per 5 euro. 

«Il rapporto con lo spazio è per me un tema di grande interesse» scrive, poco dopo, Zagnoli. «Non soltanto inteso come perimetro all’interno del quale prende forma un disegno, ma anche come luogo in cui siamo quando lo creiamo e come spazio che pensiamo di occupare nella società in quel momento della nostra vita.»

Appena prima del riferimento al libro di Lionni, c’è una frase di Lora in risposta a un messaggio di Olimpia: “Al momento vado in giro a passo di lumaca, ma con un bastoncino elegante!” Sembra di vedere una sua immagine, commenta quest’ultima. E «Lora Lamm tratta le parole come immagini» afferma a un certo punto, parlando di come questa costruisca lo spazio della pagina. È un po’ quello che fa lei stessa, nel perimetro di questo libro. 

La descrizione che fa Zagnoli del soggiorno a Zurigo, determinato dalla visita al Museum für Gestaltung dove sono conservati parte dei lavori di Lamm, contempla un breve excursus turistico narrativo a Küsnacht, a 12 minuti di treno dal centro di Zurigo, per una visita alla casa-museo di Carl Gustav Jung. Qui Zagnoli incontra il Libro Rosso, “illuminato da un raggio di sole, in uno studio verde salvia”. Durante il viaggio in treno per raggiungere Zurigo da Milano, ha portato con sé On connection, saggio sulla creatività di Kae Tempest, dove ha letto dell’avventura psichica lunga diciotto anni dello psicoanalista svizzero, che ha dato luogo, fra le altre cose, a questo celebre libro, di cui vengono descritte alcune illustrazioni:

Una lancia che trasporta un sole dorato solca il mare in tempesta seguita da un mostro marino, San Giorgio uccide un drago dalle mille zampe, un serpente bianco e nero si insinua tra le gambe di un uomo stilizzato con il cuore trafitto. 

A Bollingen, spiega Zagnoli, Jung costruisce un edificio straordinario che definisce la realizzazione in pietra dei suoi pensieri più profondi e delle conoscenze accumulate. Di nuovo una riflessione su come il pensiero, le parole si costruiscano, prendano forma attraverso la progettazione di uno spazio. Ed è interessante che più avanti, rammentando i paesaggi dell’infanzia di Lamm, Zagnoli scriva: «La sua opera è caratterizzata dal sentimento che ha nei confronti dello spazio e da una profonda connessione con il panorama dei suoi luoghi d’origine.»

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Il ritratto di Lamm si costruisce, così, pian piano, attraverso divagazioni tenute insieme da nessi più o meno sottili o visibili, stabiliti dal caso, da luoghi, situazioni, riflessioni estemporanee, scoperte, nel corso di piccoli spostamenti fra un museo e l’altro, un ricordo e l’altro, una lettura e l’altra. E se la struttura del testo è errabonda, le coordinate spazio temporali delle digressioni che lo costruiscono sono offerte al lettore con una precisione che potrebbe parere maniacale se non fosse che ogni dettaglio rivela di avere un senso non solo formale.

Un passo di Jane Eyre, letto per caso in una caffetteria “dai toni verde acqua” (Zagnoli restituisce le qualità cromatica del mondo di Lamm attraverso quella che si intuisce essere una sensibilità quasi ossessiva per il colore), suggerisce la distanza e la discrezione necessarie a rispettare il desiderio di privacy espresso dalla persona su cui l’autrice sta scrivendo il libro: “Le dirò tutto quanto posso rivelare senza compromettere la mia pace.” E al pragmatico pensiero di Lamm sulla propria necessità di autonomia: “Ho sempre fatto e faccio tutto da sola. Così so che è fatto. Non mi piace dare la colpa a nessuno”, fa eco un altro passo da Jane Eyre: “Io mi curo di me stessa. Più sono sola, senza amici, senza appoggio, più devo rispettarmi”.

Mentre leggevo questo libro ho avuto l’impressione di guardare dal finestrino di un treno un paesaggio-pensiero che scorreva rapido e pieno di cose che si avvicendavano velocissime, imprevedibili, eppure ordinate con eleganza. Una sorta di gita poetico visiva attraverso immagini fantasmatiche, in cui la dimensione poetica è il risultato di una capacità compositiva di chiarezza esemplare. E per precisare cosa intenda con questa espressione, userò le parole con cui Zagnoli definisce l’attrattiva maggiore che Lamm ha esercitato su di lei: «la capacità di sintetizzare, di suggerire un’atmosfera, di governare il foglio, di fare scelte registiche all’interno dello spazio che aveva a disposizione. Questo stare dentro i confini e al tempo stesso essere in grado di romperli, di espanderli, di spingerli verso nuove dimensioni.» 

È davvero sorprendente osservare come questa lezione di stile sia passata dalle immagini di Lamm alla scrittura del libro che le racconta. 

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