Che sapore ha l’economia circolare / Ricette immateriali. Frescaiou

23 Gennaio 2019

Dire oggi economia circolare è avvicinare suggestioni che nella concretezza generale sono ancora da venire, è toccare un tema di forte attualità, soprattutto è cercare nuove strade per l’utilizzo delle risorse naturali attraverso un modello differente da quello impostosi negli ultimi cinquant’anni. 

In pratica lontano da quello che dal boom economico in poi è stato sostanzialmente produrre, utilizzare, sostituire, scartare. Sostanzialmente sono queste le azioni e i “momenti” sui quali si è sviluppata quella “società dei consumi”, che, in larga parte, è ancora la nostra.

Dall’economia alla cucina circolare, per la quale varrebbero gli stessi principi della prima, vale a dire quelli per cui uno scarto in un processo produttivo non è mai tale, perché in realtà possibile “inizio” per un’altra produzione, E la cucina è sicuramente un processo, qualcosa cioè che prende forma solo dopo una serie di azioni successive e coordinate. Basta provare, con gli stessi ingredienti, a invertire le fasi di una ricetta e il risultato sarà sempre il “caos”, garantito. 

Poi, se la cucina è un processo, in quelli virtuosi della cucina circolare non esisteranno scarti e ogni “avanzo” diventerà sempre materia prima per qualcos’altro.

 

 

Cosa t’avenze?” si dice ancora sull’Appennino Tosco Emiliano per chiedere a una persona, in modo molto diretto, che credito ha da te. Senza possibilità di errore la lingua rivela con evidenza che l’avanzo era anche un guadagno, un vantaggio.

Nel dialetto genovese non sono a conoscenza dell’esistenza di un’espressione simile, eppure un modo di trasformare gli avanzi vegetali originario di quell’entroterra, a ponente, sembra raccontare la stessa storia.

 

Mettete una sera un minestrone, fatto con tutte le erbe e le verdure con cui si fa un minestrone, secondo luogo e tradizione, gusto e necessità.

Mettete la sera dopo o quell’altra ancora lo stesso minestrone avanzato, dimenticato in frigorifero tra altre “dimenticanze” alimentari. In fondo, nient’altro che esperienza banale di tutti i giorni.

Difficile oggi consumarlo riscaldato; minore la voglia, minore la freschezza, in fondo minore la stessa “idea” che ci aveva portato a preparare il minestrone. Possibile il suo rifiuto dunque, almeno in tempi, i nostri, in cui gli avanzi spesso diventano ancora scarti e poi rifiuti.

Potrebbe allora venire in soccorso proprio quell’antica ricetta ligure, une di quelle per cui “avanzare” voleva dire serbare, voleva dire guadagnare, perché un avanzo era sempre qualcosa che ci sarebbe stato ancora, e in questo senso era qualcosa che “guardava avanti”... Dunque una ricetta di cucina circolare, secolare, senza alcun guru che la pontifichi in combinazioni e accostamenti inaspettati.

Mettete quello stesso minestrone avanzato... soprattutto mettete lievito e anche la farina. Friggete poi la pastella che avrete ottenuto in olio di oliva e inaspettatamente avrete ottenuto attraverso un “salto culturale” un secondo piatto al posto di uno scarto, anzi di un “avanzo”. Il minestrone avanzato è diventato altro, a cucchiaiate quell’avanzo è diventato frescaiou, ovvero un “secondo” fatto di frittelle di minestrone.

 

Può essere anche questo uno dei sapori della cucina circolare, e della relativa economia, un sapore che non deposita nell’immaginario nessun valore diminutivo ma anzi in cui una forma di gratificazione – qui sensoriale quanto simbolica – arricchisce il concetto di “avanzo” e annulla quello di “scarto”. 

Del resto, in un mondo, il nostro, fatto di stomaci perennemente sazi, e in cui la maggior parte dei nostri consumi ha una componente voluttuaria, trovare un “destino di successo” ai prodotti dell’economia circolare coinciderà probabilmente con il vestirli di significati simbolici, che sia design, storia, cultura, moda, etica, benessere, bellezza, coinciderà sempre coll’arricchirli di aspetti legati a qualche forma di piacere. In pratica rendere i prodotti dell’economia circolare belliebuoni e più in generale renderli naturalmente attrattivi, se si vuole “cool”, sarà probabilmente una delle sfide per i prossimi decenni. Parafrasando una celebre espressione di Ulay (l’estetica senza etica è solo cosmetica) si potrebbe dire che in un mondo come il nostro in cui i consumi ubbidiscono quasi sempre a scelte voluttuarie (sostanzialmente di “non bisogno”), la scelta etica di utilizzare gli avanzi avrà tanto più successo quanto più sarà percepita come “esteticamente” gradevole. Probabilmente il belloeilbuono, con tutte le sfumature semantiche che l’espressione sottintende, nell’economia come nella cucina circolare, dovranno confondersi fino a coincidere.

 

I frescaiou, per quanto minimi, per quanto originari di una più o meno remota valle dei monti liguri, possono essere un sapore e un esempio di questo processo; sono una ricetta in cui etica ed estetica coincidono e dove, attraverso una lunga tradizione, è assente ogni cosmetica.

Ma non si tratta di un’eccezione, perché gran parte della cucina tradizionale è stata anche cucina circolare. Quel modo di alimentarsi prima di essere cucina, prima di essere “processo virtuoso” e conseguenza di una diffusa povertà, era anche un rispetto profondo per tutto quello che era lavoro, natura, cibo. 

Il rispetto degli altri, dell’ambiente, di se stessi; è in fondo questa la formula, questo il denominatore comune di ogni consumo equo e solidale, di ogni consumo sostenibile.

 

Ricetta antica almeno come nel mediterraneo sono antichi gli orti, “invenzione” e tradizione che ha nell’intelligenza della trasformazione un suo sorprendente racconto, ricetta che nella sobrietà, nell’umiltà e nel rispetto della natura ha altrettanti invisibili ingredienti.

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