Scenario: istantanee dalla crisi
Cercare di rintracciare il nuovo vuol dire, anche, fotografare l’esistente. E non è detto che la fotografia venga come ci aspettiamo, ci rassicuri, sia incoraggiante. È quello che accade, dal 1987, con Premio Scenario: diverse commissioni lavorano in parallelo lungo tutta la penisola per scoprire, tra i moltissimi gruppi teatrali under 35, voci fuori dal coro, nuclei magari acerbi ma che promettono di lasciare il segno. Poi una finale (tradizionalmente a Santarcangelo) conduce a quattro proposte, che debuttano pochi mesi dopo in forma compiuta.
Premio Scenario 2015, Gianni, ph. Gloria Soverini
Con le compagnie di Scenario sembra funzionare come con il vino: ci sono annate buone, e annate che paiono mostrare più chiaramente lo schiacciamento (innanzitutto psicologico) della crisi, la mancanza di fiato di prospettive sempre brevi, la tendenza a rifugiarsi nel noto. Ma il risultato è sempre rilevante nel suo essere ritratto delle tendenze (non solo teatrali) della nuova generazione. Scenario ha rivelato negli anni, ad esempio, l’importanza per gli under 35 della variante geografica, dell’uso di un accento che diviene ancoraggio al proprio territorio e ricerca di una più profonda verità scenica: ce lo hanno insegnato, tra gli altri, Babilonia Teatri e Fratelli Dalla Via. Allo stesso modo si è mostrata una crescente sensibilità alle partiture visive, la volontà di mettere la parola sullo stesso piano drammaturgico di altri linguaggi, come è avvenuto nel caso di Codice Ivan, Anagoor, Pathosformel.
E quest’anno? Cosa abbiamo visto ai debutti il 28 e 29 novembre presso il Teatro Litta di Manifatture Teatrali Milanesi? Innanzitutto, una notevole varietà di linguaggi. Homologia di DispensaBarzotti è un accuratissimo esempio di teatro di figura: una maschera rugosa e incartapecorita, incorniciata da capelli bianchi in stile Einstein, racconta in un tempo lungo e dilatato la solitudine di un vecchio. Mario De Masi, con Pisci ’e paranza, mette al centro del proprio lavoro il corpo dell’attore e la sua presenza nello spazio come indicatori di marginalità. Caroline Baglioni, Premio Scenario per Ustica, si è fatta portatrice, sola in scena, di un interessante intreccio tra coreografia gestuale e una non lineare partitura verbale. E infine la vincitrice di Scenario, Angela Demattè, in Mad in Europe usa la parola e le sue possibilità come virtuosistica arma drammaturgica: la protagonista, lavoratrice incinta del Parlamento europeo, dimentica la sua lingua e riesce a esprimersi solo attraverso un improbabile Esperanto.
Premio Scenario 2015, Homologia, ph. Gloria Soverini
E se la molteplicità si registra dal punto di vista formale, forse è possibile ritracciare un minimo comune denominatore dal punto di vista dei contenuti e dei temi scelti. Il comunicato stampa di Scenario parla di “un panorama attraversato da forti contraddizioni e da un senso diffuso di malessere, che si accompagna nondimeno allo sforzo di comprendere, di farsi carico”. Eppure, a ben guardare, gli artisti selezionati non prendono alla gola questioni politiche, non affrontano di petto la crisi sociale: ne indagano piuttosto le (nefaste) conseguenze sull’individuo, nel privato, in una slabbrata quotidianità. I personaggi delle quattro performance non riescono a stare al passo con le richieste e i ritmi della contemporaneità, ne patiscono i paradossi, finiscono col venirne emarginati; la cifra scelta per raccontare le zone d’ombra è nella maggior parte dei casi un’ironia leggera che non toglie l’impressione di cappa, schiacciamento, impossibilità di (re)agire.
Assistere ai Premi Scenario richiede sempre uno sforzo interpretativo e critico particolare: da un lato ci si trova davanti a lavori molto differenti, di cui però viene voglia di scoprire le costanti generazionali, dall’altro si ha a che fare con materiali ancora magmatici, non definitivi, necessariamente delicati. E non è raro che emergano, tra gli addetti ai lavori ma anche tra gli spettatori, preferenze, idiosincrasie, innamoramenti. Capita spesso di tornare a casa da Scenario con la sensazione di essere riusciti a identificare dove si nasconde il nucleo di novità e di interesse.
Per chi scrive, quel nucleo risiede in Gianni di Caroline Baglioni, e lo si deve alla sorprendente personalità dell’autrice-interprete. Vestita di rosa, con lunghi capelli biondi sciolti, la Baglioni riesce a far dimenticare la propria femminilità allo spettatore: le parole sono quelle dello zio Gianni, che negli Ottanta ha inciso su un nastro, in un umbro grezzo e terroso, i rigurgiti della sua malattia di vivere.
La nipote Caroline, nel restituire quel malessere sul palco, riesce a compiere uno scarto, astraendo quel dolore in gesti, immagini, oggetti e rendendolo così universale. Come spesso accade, la struttura performativa è ancora da assestare, e certo Gianni deve continuare il suo percorso. Ma è anche questo il compito di un progetto come Scenario: dare agli artisti i tempi, e i modi, della crescita e del confronto con gli esperti. Ecco perché è così allarmante la notizia dell’esclusione del Premio dai finanziamenti ministeriali, dovuta a motivi formali, che taglia letteralmente le gambe al progetto: se per questioni economiche si dovranno accorciare le procedure o semplificare i passaggi questa importante fotografia generazionale rischierà di diventare un selfie sfuocato e ravvicinato, incapace di inquadrare il paesaggio.