Scicli / Paesi e città
Trovare e descrivere l’anima di una città è ripugnante. La creazione di un’identità sommaria alla quale sia quasi possibile credere – alla quale anzi si finisce per credere – è della moda, del capriccio, della ciarla. Lancia uno o più tratti e blocca lo sviluppo del corpo individuale.
Dentro questa motriglia collettiva, dove il critico di paese, il politico, il dirigente e il ciarliero riposano in pace, giace Scicli.
Qui si fa ironia, si parla e si scrive diplomaticamente; non ci si firma, non ci si espone; se due parlano, altri due cadono dalle nuvole e riesci a coglierli con la coda dell’occhio posarsi obliqui, maledetti cucchi, e trattenere il respiro.
Ventiseimila abitanti meno qualcuno, insomma, scorrono nella fogna incrostata dal cui foro primario e unico si determinano le naturali persecutorie (dicono loro) e disperate (diciamo noi) entrature. Ricorrenza di topi che la sfangano.
Che poi sia una cittadina (un paesazzo) bellissima non dovrà interessare a nessuno.
La chiesa di San Matteo domina Scicli dall’alto, a destra S. Maria la Nova col Gioia, a sinistra S. Bartolomeo, arrampicati in alto i conventi del Rosario e della Croce; poi una spruzzata di altre chiese, di cui tre nella via tardobarocca Francesco Mormina Penna, col Municipio; tanti bei tagli di pietra e altre chiese ancora – di cui non importa sapere né il numero né l’intitolazione – in un fazzoletto, e palazzi nobiliari e un obbrobrio assoluto nella piazza centrale. Elio Vittorini ha magnificato Scicli nel suo Le città del mondo. Datevi da fare!
Io amo il mio paese, esso mi consente di riconoscermi, e disconoscermi, quando mi specchio vedo Scicli e Scicli non vede me. Montalbano sono!
La benemerenza di paese agricolo – le serre, il pomodoro, il datterino – si assottiglia, cacciamo mosche; il mattone cerca di trovare le sue strade, fidando nell’amico benevolente e intanto le vie di comunicazione rimangono ferme agli anni ‘60. Il turismo manca di motore. Il mare e le spiagge si autoguardano, qualora il turista provi interesse il mare si incazza, le spiagge scompaiono.
Manca la concordia, soffiano spiriti malevoli.
Qualcuno dice lo sciclitano sia il più equilibrato fra gli altri popoli della provincia.
Il ragusano ha la boria, il modicano è cerimonioso, ordinato e laborioso, lo sciclitano, appunto, traballante fra incuria, zaurdaggine e raffinatezza.
Sede di Sergenzia militare nel Cinquecento, e insieme a Modica la città più importante della Contea, Scicli sta cercando di smaltire l’imbastardimento prodottosi in seguito al via vai di soldati “stranieri”, bellicosi mercenari senza amor di patria.
(Ma, tirando le somme, non è che forse ho solo gettato fango? Non mi rileggo. Chiamo a testimonio la Madonna delle Milizie, alta patrona della città, ché mi protegga e tutti noi sciclitani protegga, che dia la forza di vedere l’umano, siamo tutti fratelli e solo amore esiste; gli occhi siano sempre aperti e misericordiosi e l’abbandono viga contro le intemperie della carne. Dov’è il Santo, l’Uguaglianza misteriosa?).
Ciò che manca, è da venire.