Sdraiati sulla linea

22 Aprile 2014

“Quel che non è possibile fare a letto non è degno di essere fatto”. La frase è di Groucho Marx. Ma cosa si può fare a letto? Tutto, si potrebbe rispondere: mangiare, dormire, fare l’amore, nascere, morire, riposarsi, leggere, studiare, conversare… la lista non finisce più. In effetti, la grande distinzione è tra verticale e orizzontale. E, mentre la lode dell’uomo verticale, che ha abbandonato l’animalità del quadrupede e si è elevato sulle zampe posteriori per esser eretto, lascia ora il posto all’uomo-donna orizzontale, o almeno “inclinato”, come scrive Adriana Cavarero nel volume Inclinazioni. Critica della rettitudine (Cortina editore), il problema dello stare sdraiati ritorna con forza. Lo sollecita la lettura di un piccolo libro di Bernd Brunner, studioso eclettico d’origine tedesca: L’arte di stare sdraiati. Manuale di vita orizzontale (Cortina editore). Del resto, la parola “sdraiati” figura anche nella copertina di un romanzo di successo di Michele Serra (Feltrinelli), che ha ripreso una formula in circolazione da qualche anno in Francia: génération vautrée.

 

La “generazione stravaccata”, aggettivo che dà meglio il senso “morale” della situazione, quella che si rifiuta di sedersi a schiena dritta. Ma Brunner ci spiega che la posizione a 127 gradi, che corrisponde alla postura in parte seduti e in parte sdraiati, dello stravaccati o quasi, sarebbe molto più benefica, in quanto annullerebbe le tensioni cui costringiamo la colonna vertebrale stando seduti. Tutti stravaccati, dice l’autore, che in una sorta di cortocircuito mette insieme questa postura con l’arte di vivere con lentezza, il motto “la meta è la via” e persino Slow food. Possibile? Diciamo subito che il libro dell’eclettico studioso tedesco non si pone problemi morali, non cita neppure troppo autori come Georges Bataille e il suo informe, che ha fatto, ottanta anni fa, una battaglia post-surrealista contro la posizione eretta, legando insieme arte, filosofia, morale e antropologia. Brunner attraversa una serie di temi e problemi connessi con lo stare orizzontali, partendo da una considerazione per nulla secondaria, ovvero che trascorriamo almeno un terzo della nostra vita in questa posizione, tra letto, divano, lettini solari, spiagge, prati, ecc.

 

 

E ancora la postura da sdraiati è un tema semiassente dalla cultura contemporanea, nonostante Yoko Ono e John Lennon e la loro famosa protesta, nonostante Le Corbusier e la sua altrettanto celebre “seduta lunga”, nonostante filosofi che se ne stanno a letto per pensare e parlare, come Slavoj Žižek, o teorici della società della stanchezza come il coreano Byung-Chul Han (La società della stanchezza, Nottetempo), oppure artisti che realizzano opere a partire dal letto, tipo Sophie Calle. Ci sono antropologi e psicologi che hanno studiato le posture che si assumono mentre si dorme, per trarne conclusioni sulle diverse personalità dei sognatori: il “bastian contrario”, dorme bocconi, braccia distese verso l’alto, dita divaricate; i “manager”, distesi sulla schiena, necessitano di molto spazio per stendere braccia e gambe; i “timidi”, distesi su un fianco, gambe raggomitolate; i “fortunelli”, su un fianco, comodi e rilassati. Niente di strano se già nei primi decenni del XX secolo Marcel Mauss nel suo famoso saggio sulle “tecniche del corpo” citava una popolazione africana che, costretta a camminare, aveva imparato a dormire in piedi, cosa da lui stesso sperimentata come soldato nella Prima guerra mondiale. Le cose più interessanti che ci riferisce Brunner sono proprio quelle sulla classificazione delle posture.

 

 

Ad esempio, che nel sonno a due si possono assumere fino a 39 posizioni: “cucchiaio, “tandem”, “Excalibur”, quest’ultima quando i due dormono incuneati l’uno dentro l’altro. La tassonomia non è meno interessante della storia naturale del letto, di cui l’autore tedesco ci fornisce brevi cenni. Ricordate i letti con le molle d’acciaio? Il brevetto rimonta addirittura al 1706, ed è inglese. E l’arrivo delle doghe? Ideate dagli svizzeri Hugo Degen e Karl Thomas, pensate per sostenere materassi di gommapiuma di un solo pezzo, ma già note tra le popolazioni del Tibet. Spesso si tratta infatti di “invenzioni” che rimontano a civiltà precedenti, perché non c’è oggetto come il letto che sia stato tanto reinventato nel corso dei secoli. Prima di arrivare ai recenti materassi ad acqua, o a gel, si è dormito sulla terra, sulle stuoie, poi il letto si elevato via via di qualche centimetro e perfino metro, come nel caso del letto a castello (le caserme e il Lager).

 

L’intera storia della civiltà umana, del suo rapporto con il riposo, il sonno, ma anche le attività, è scandita dal letto e dalle sue forme. Qualche anno fa era di moda il letto bassissimo, alla giapponese, ultimo grido per i dormienti cool. L’arte di sdraiarsi è collegata con il lusso e con la sua evoluzione, così che la ricerca della postura giusta è diventata un elemento che crea nuovi brand nell’ambito del mobilio come delle calzature. Circa 77.000 anni fa l’Homo sapiens, da cui veniamo, costruiva stuoie fatte di rami, giunchi e fogliame, ricoperte di foglie di alloro per allontanare gli insetti, senza ancora intrecciare nulla.

 

Discendiamo da quel letto, anche se non ci siamo nati, per quanto, a un certo punto del suo libro, Brunner scrive che non è certo che da quando esistono gli esseri umani dormissero in posizione distesa. Si dormiva, in origine, probabilmente accovacciati, così che morte e sonno erano nel pensiero cosiddetto primitivo strettamente imparentati, come fanno supporre certe sepolture risalenti all’età della pietra. Certo è che la nostra postura ultima, quasi per l’eternità, o porzioni molto ampie di essa (proprietà privata di loculi permettendo) sarà quella da distesi. Come nella culla, anche nella bara, si sta sdraiati. Una cosa su cui riflettere.

Articolo apparso su L’Espresso

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