Hai qualcosa da dirci? Non vediamo l’ora di leggerti.

Partecipa al nostro questionario e aiutaci a immaginare il futuro di questa rivista. Bastano pochi minuti per dare la tua opinione.

Il tuo tempo è prezioso, i tuoi suggerimenti ancora di più.

Silvio Perrella ad andatura periclitante

16 Marzo 2025

“La geografia è una mappa franta, pulviscolo di nomi, desiderio di luoghi”. A un certo punto di Ore incerte, il suo diario di viaggio programmaticamente modulato su un’andatura “periclitante” (Il Saggiatore, pagg. 301, euro 20), Silvio Perrella pare aprire la scatola delle ombre di Joseph Cornell per trarre questa definizione. Come se lungo l’Utopia Parkway delle divagazioni newyorkesi di Cornell – il “cacciatore di immagini” raccontato da Charles Simic, l’artista visivo che con le sue accelerazioni sperimentali si era inoltrato nei territori surrealisti abitati da Marcel Duchamp, Max Ernst, Roberto Sebastián Matta, Robert Motherwell – potesse trovare le parole per spiegare il senso del percorso intrapreso attraverso lo spazio e il tempo: un attraversamento diagonale da Oriente a Occidente per giungere ad allestire l’atlante intellettuale ed emozionale di un territorio che si distende da un faro a un altro, da Santa Maria di Leuca a Passeio Alegre, lungo la tratta dove “sussurra il sismografo dei sentimenti”, opposti e simmetrici finis terrae di un unico mare.

Perrella è lettore e critico di pagine letterarie raffinato e attento, interprete tra gli altri di Italo Calvino, Raffaele La Capria, Goffredo Parise, nutritosi a un’idea di scrittura che nello stile possa proporre un praticabile dispositivo cognitivo delle cose della vita. Qui, in un testo che scandisce la sequenza avviata con Giùnapoli nel 2006 e poi proseguita con Doppio scatto nel 2015 – riproposto, dopo essere uscito da Bompiani, nel decennale da La nave di Teseo (pagg. 320, euro 22) – e Petraio nel 2021, ampia il suo raggio di osservazione e da Napoli lo allarga al mondo con l’ansia di ridisegnarlo e riavvolgerne la trama. L’impressione è che, di fronte al magma della realtà di un’epoca su cui è “impossibile dire nulla che non sia già cenere prima che la frase compia la sua riga”, abbia acquisito consapevolezza che più dello spazio occorra inseguire il tempo: il tempo “quando cade negli spazi e si fa ora incerta e cercante; mutevole, spaesante, argomento senza tema, slancio e rincantucciamento”. Se, aveva notato La Capria a proposito di Doppio scatto, la cifra autentica del visibile è nel dettaglio spesso impercettibile perché nascosto all’occhio sbadata nell’ordinarietà del quotidiano, ora misura la sua capacità di osservazione del profondo e del margine utilizzando i registri di una parola che – insieme – pronuncia e fotografa.

“La città nascosta” era il sottotitolo di Doppio scatto nell’edizione 2015. “Una città riflessa” è quello esposto in copertina della riproposta del 2024. In fondo, uno scarto dialettico che preannuncia un esito. “Di che libro si tratti saranno i lettori a deciderlo”, commentava Perrella. Indicando poi il testo a cui far riferimento nel caso volerne sapere di più. Era Le città invisibili di Italo Calvino. “La Città che compare in Doppio scatto tende a sottrarsi allo sguardo, fugge, si rintana; forse perché teme i tanti discorsi e le tante immagini che l’hanno letteralmente sommersa rendendola quasi invisibile”: salvo accorgersi che “visibile essa non solo è in massimo grado, e se si ha la pazienza di mettersi in ascolto lascia venire allo scoperto non solo lei così com’era, ma tutte le altre città che vivono in lei”.

Ore incerte costituisce lo sviluppo di una pratica euristica tanto rivelatrice. Napoli è un paradigma. In Doppio scatto non ci sono tante città invisibili “ma una sola e ben visibile, dentro la quale navigano altre città”. Sono quelle disposte Da qui a lì – verrebbe di dire citando un altro titolo di Perrella del 2018, l’elegia dei ponti e scorciatoie nelle forme di preludi musicali che ritmano l’arte di un inizio – e per poter catturare con l’occhio occorre ancora una volta assumere la postura calviniana.   

Ecco perché l’incipit di Ore incerte non poteva non essere un ulteriore omaggio a Italo Calvino: “Entra pure, lettore; attraversa la soglia; dai una prima occhiata; posiziona gli occhi; metti il corpo in condizione di essere veicolo; preparati al viaggio” che evoca il celeberrimo di Se una notte d’inverno un viaggiatore: “Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo…”. Oltre al riconoscimento pieno di uno zodiaco letterario, la mossa consente di stabilire un tono, proporre un patto, delineare un progetto di complicità, invitare all’ accompagnamento. Ore incerte è un catalogo di visioni di geografie che diventa una sorta di guide du routard nella caoticità del presente.

Si pensi al Leviatiano di Thomas Hobbes. Lo ricorda Franco Farinelli – in Geografie. Un’introduzione ai modelli del mondo del 2002 – delineando il profilo del soggetto conoscitore in quello dell’uomo cui “scomparso il mondo, restavano soltanto le immagini e le idee delle cose viste e percepite in precedenza”. “Perciò egli altro non poteva fare – sottolinea Farinelli – che calcolare sulla fase delle proprie idee, dei propri fantasmi, come se essi fossero esterni e non generati dalla propria mente”. Illustrare il reale assume il valore di una costruzione della conoscenza. In Ore incerte Silvio Perrella si muove in una condizione non dissimile. Con bagaglio leggero e compagni di avventura importanti: Rainer Maria Rilke gli offre l’impianto di Il libro delle ore nella scansione dei giorni pari e dei dispari che alterna i registri della poesia e della prosa, Odilon Redon gli affida le incisioni di barche e vele, la luce dei cieli e i colori dei naviganti. Ma è sotto l’egida di Il divano occidentale orientale di Joahnn Wolfgang Goethe che compone la sua opera.

k

Perrella condivide il giudizio che Ludovica Koch dava alla raccolta approntata dal 1819, straordinariamente influenzata dalla lezione del poeta persiano di cinque secoli prima Hafez e dalla sua considerazione della futilità del tempo. “Un solo potente vortice sgretola e travolge passato e presente, si solleva, si espande, precipita… L’Eufrate straripa nel Reno, il Mediterraneo dilaga all’improvviso confondendosi dentro al Mar Rosso e al Mar Nero…”, scriveva Koch commentando l’edizione del 1990 del Divano, punto di sintesi inquieto e fertile di Oriente e Occidente, occasioni di nuove rivelazioni. Silvio Perrella a Palermo, stazione di una sosta consumata nelle vicinanze della Zisa, dal breviario di Goethe fa prendere forma, da personaggi a persone per poi tornare a essere personaggi, a Hatem e Suleika. Il divano li indica rispettivamente come alter di Goethe il primo e come la donna da lui amata la seconda, trasfigurazione di Marianne von Willemer. Compaiono nelle fisionomie di “clandestini dell’esistenza, amanti per i quali Baghdad non è mai lontana” e l’ansia della passione febbrile accende il viaggio, gli conferisce un’aura speciale e lo curva a una narrazione quasi romanzesca che nell’epica di un abbraccio inappagato ritma le tappe di un itinerario.

Insegue il tempo in una libertà di movimento alla Tristram Shandy di Laurence Sterne per sovvertire le rotte e intrecciare i profili di Venezia e di Stoccolma, di Stromboli e Berlino, di Napoli e Palermo, di New York e Punta Licola, di Tokyo e Salgareda, di Bahia e Capri, di Casablanca e Procida, di Roma e della Sardegna, di Gibellina e Taranto. Ovunque un incontro, un ricordo, un suono, un fotogramma: Robert Wyatt e Ingrid Bergman, Francois Truffaut ed Edward Said, Marianne Moore e Bob Dylan, Goffredo Parise e Joao Gilberto, Lawrence Durrell ed Henry Miller, Albert Camus e Raffaele La Capria, Charlie Parker e Bruno Schulz, Alberto Burri e Giorgio Strehler, Antonio Machado ed Eduardo De Filippo. Il tempo scorre dall’imbuto delle cose e, nelle varie occasioni, si declina come tempo capovolto, tempo vissuto, tempo immobile, tempo che fa mulinello, tempo che è spezzettato. Su quei linguaggi e su quelle immagini ricrea una forma di praticabile convivenza.

k

In Petraio, l’esergo di Osip Maldel’stam dalle Conversazioni su Dante, avvertiva che “la pietra è il diario impressionistico del tempo accumulato in millenni di intemperie”. Il poeta della raccolta La pietra, il Virgilio russo nella definizione di Perrella, guidava nel viaggio tra il tufo, il calcare e il pomice di Napoli, una città che poi dilatava la sua forma da Tokyo a Palermo, da Matera a Berlino per immergendosi nelle geografie e incrociare le architetture e le macerie della Storia, le epifanie di luce e i coni d’ombra che Antonio Biasucci fissava nelle sue 16 fotografie a corredo. La pietra – aggiunge Mandel’stam – è “la lampada di Aladino che penetra le tenebre geologiche dei tempi futuri”: va quindi osservata, toccata, scomposta e ricollocata nelle case, nei cortili, negli archi, nei marciapiedi, nelle strade per interrogarla, ascoltarla e magari intercettare il dialogo fitto che hanno con il diorama della Storia. Con la consapevolezza che ogni pietra, proprio perché rotolante e reduce da millenni, non chiede nulla: “Le pietre sono di chiunque non appartengono a nessuno se le lanci ricordati di andarle a riprendere come fanno i cani”.

Era così dettata una cartografia sentimentale che dalla traccia segnata dallo straordinario lavoro di Italo Ferraro arriva all’opera di tessitura deleuziana di Giuliana Bruno si immergeva nella città deposito di immagini, percussiva, sempre oscillante tra desiderio e forma, metamorfica, popolata da visioni, il luogo della partitura agre, il mare in cui nuotare. Perrella la raccontava osservando, in una lunga variegata novella sulle apparenze che si sviluppava in un esercizio problematico di cognitività. Le immagini colte erano proiezioni della mente, i profili che registrava geroglifici della psiche, le finestre degli edifici aperture su mondi segreti e l’avvio delle sue peregrinazioni non potevano che consegnare la cifra simbolica nel quartiere napoletano del Petraio e Petraia è la parola che Dante pronuncia nel “Purgatorio”. Dunque, Napoli la città delle anime del Purgatorio, come l’ha definita Aldo Masullo, eternamente sospesa tra l’inferno e il paradiso dei viventi. Il Mediterraneo di Ore incerte è lo scenario dove compaiono – l’espressione viene da Petraio – “le cose nel loro aperto, squadernate nell’aria che passa come vento, fuggono”. Richiamate nelle loro interpretazioni e rappresentazioni compongono una partitura che qualcuno potrebbe chiamare vita.

Leggi anche:
Alberto Volpi | Insperati incontri / Silvio Perrella. Un'idea visiva sul mondo
Silvio Perrella | Napoli 
Silvio Perrella | Il disincanto dello scrittore polacco-napoletano / Gustaw Herling

Se continuiamo a tenere vivo questo spazio è grazie a te. Anche un solo euro per noi significa molto. Torna presto a leggerci e SOSTIENI DOPPIOZERO
TAGGED: Silvio Perrella