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Sneakers

18 Gennaio 2025

“El purtava i scarp de tennis” ed era un barbone: nella Milano degli anni ‘60, indossare scarpe sportive allacciate era roba da emarginati della società. Lo cantava Enzo Jannacci e, si dirà, erano altri tempi. Sì perché ora, le sneakers, le portano tutti e compaiono anche ai piedi dei potenti del mondo, generando talvolta scandalo, disapprovazione come minimo. L’uso disinvolto delle scarpe da tennis è infatti fuori dal dress code di alcune occasioni, soprattutto ufficiali. E per motivi molto diversi tra loro, si badi bene. Cosa che a un occhio semiotico interessa parecchio: dunque, se nessun capo di governo si sognerebbe di presentarsi a un consesso internazionale con un paio di Nike – e quando è avvenuto qualcuno ha riso sotto i baffi – non bisognerebbe farlo nemmeno a un funerale di Stato, come a quello della regina d’Inghilterra, al quale, secondo i rumors, si sarebbe recato il presidente francese Emmanuel Macron, segnalando mancanza di rispetto a causa delle scarpe sbagliate. Non ci si presenta al cospetto del feretro della più importante regina del mondo occidentale con le sneakers, per quanto costosissime. Tutto subitamente smentito dallo staff presidenziale. Invece, la sua consorte, Brigitte Macron, aveva fatto scandalo per il motivo opposto: durante una visita di stato in Egitto, era stata fotografata mentre calcava la scena tra sabbia del deserto e piramidi con addosso un paio di sneakers di lusso, da vera ricca signora. Subito individuate dai giornalisti e pettegoli come scarpe di centinaia di euro. Troppo.

Tanto rumore per un paio di scarpe? Certo, non c’è aspetto più rischioso dell’etichetta di quello di non azzeccare il giusto codice vestimentario, presentandosi a un evento con un look inappropriato, foss’anche un dettaglio come quello di ciò che si porta ai piedi (lo sa bene Bianca Terracciano alla cui rubrica Dress code rimandiamo per riflessioni più appropriate sul tema moda). Se di dettaglio si trattasse: per Gide, bisogna buttare un occhio alle scarpe che una persona indossa per carpirne la vera natura, segno rivelatore della personalità più di ogni altro capo o accessorio.

Qui ci interessa la scarpa in sé, un oggetto materiale, certamente molto carico simbolicamente ma tale proprio perché fatto in un certo modo, con determinati tessuti e caratteristiche fisico-estetiche. Van Gogh ha dipinto zoccoli e scarponi da contadini (per una lettura filosofica delle scarpe del pittore olandese, c’è un numero di Riga a cura di R. Panattoni e E. Grazioli), Manet e Degas scarpette da ballerine, Wharol deliziose variazioni di tacchi da donna e Lichtenstein, nel 1961, proprio un paio di sneakers, che già nella cultura statunitense si stavano facendo strada come oggetto di massa: è la suola gommata ad attirare l’attenzione di Lichtenstein, che la mette al centro dell’opera.

Le sneakers, possiamo dirlo, sono uno dei simboli dell’epoca contemporanea, perfettamente al centro di istanze modaiole, di design, di marketing, di bisogni sociali e codici di bon ton.

Ma cosa erano, prima, soprattutto fuori dalla cultura americana che le ha lanciate? Erano appunto, come nelle parole del cantore milanese, le scarpe ‘da tennis’ o ‘da ginnastica’. Denotavano prevalentemente un tempo preciso, come quello dell’ora di educazione fisica, della palestra o della gita fuori porta. Non si andava al lavoro o alle feste con quelle, il cui nome le relegava all’esecuzione di una qualche attività fisica, a una situazione di sospensione della normalità, di cura del corpo, di allenamento, gioco, salti e corsette. Ciò richiedeva altri capi di abbigliamento e accessori: la tuta, la felpa, il cappellino, la polsiera – come i tennisti della tv –, il cappello con visiera, gli scaldamuscoli. Per estensione, le scarpe da ginnastica si indossavano durante picnic ed escursioni senza pretese, magari con i jeans, dove il passo si poggiava su prati e terriccio, su terreni incerti e non asfaltati. L’uscita dal recinto urbano corrispondeva a un momento bucolico con un inizio e una fine abbastanza marcati: l’indomani si sarebbe indossato il mocassino, la décolleté, lo stivale, la polacchina.

Insomma, la scarpa da ginnastica era la scarpa della sospensione della normalità. Non di pelle o di tessuto come le altre da tutti i giorni, ma di gomma, con una suola ergonomica di qualche ammortizzante centimetro, in toni accesi o in total white, era il contrario della scarpa da tutti i giorni. Quel che contava era che ci fosse un contesto ben definito, a cui corrispondeva un codice vestimentario preciso, coerente, certamente oggetto di mode anch’esso: chi ricorda i VHS dell’aerobica con tutine aderenti e fluo? e gli scaldamuscoli che non servivano affatto a scaldare muscoli? E la fama del telefilm Saranno famosi? Da lì a poco, anche grazie a questa mediatizzazione della vita da palestra, le sneakers avrebbero cambiato senso.

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È infatti, soprattutto negli anni ‘80, che le scarpe da ginnastica sono diventate oggetto di moda e dal professionismo atletico o dal dilettantismo ginnico sono passate al fashion. Complice il marketing e l’avvento dei grand brand sportivi come Nike, Adidas, Converse, Reebok la scarpa da ginnastica è diventata la scarpa da tutti i giorni, e soprattutto per tutti. In I Piedi del mondo (2024, LUISS University Press), Tommaso Ariemma ricostruisce la storia del brand Nike e in particolare del mito delle Air Jordan, lanciate nel 1985 a misura di Micheal Jordan: le loro suole ammortizzate da una camera d’aria sotto il tallone avrebbero fatto volare tutti, come volava sul campo il grande cestista statunitense. In tomaia di pelle rossa e nera, furono il primo successo commerciale mondiale della Nike e misero ai piedi di tutti i ragazzini del mondo l’immaginario NBA (se ne parla anche in un recente film, Air, del 2023, diretto da Ben Affleck). Fu così che la calzatura sportiva entrò nelle logiche della concorrenza di moda e mercato. Da lì, prima la grande sfida Nike vs Converse nel settore del basket e poi nei confronti di Reebok e Adidas, tutta a colpi di scarpe, pubblicità e abbigliamento. La comodità della scarpa da ginnastica era divenuta la comodità della vita quotidiana, un trionfo di informalità. La tuta, prima solo sportiva, si poteva indossare tutti i giorni e così anche la scarpa da ginnastica. Di ginnico era rimasta solo l’idea.

Da qui, il trionfo del casual, del quotidiano, dell’informale. Che però, così esteso, perde senso, e questa è la ragione per cui di sneakers oggi ne esistono di ogni genere, materiale, fantasie, con tomaie più o meno economiche, di ogni prezzo, dalle poche decine di euro alle centinaia. L’informale, di per sé, infatti non significa niente, perciò si ricorre alla moltiplicazione delle alternative – tipico del mercato concorrenziale – per dare a ognuno la propria idea di informalità. E, che è lo stesso, vari stili casual, così che ciascuno di noi possiede magari più di una sneakers: da quella in tessuto per l’estate e gli aperitivi super comode, a quella bianca in pelle con cui puoi andare sia a far lezione, e nessuno avrà da ridire, sia a far la spesa, e sarà altrettanto appropriata, fino a quella che ha un design più sportivo, un aspetto performante, perfetta anche per la palestra – anche solo in apparenza. Così le sneakers finiscono ai piedi di bambini, giovani e vecchi, nonne e nipoti, in tutte le occasioni, in ufficio o in chiesa, e con gonne e abitini, allacciate o con il velcro, con suole basse o con le zeppe (rigorosamente di gomma).

Non è finita qui. Moltiplicate le sneakers come scarpe per tutte le occasioni, come macro-categoria entro la quale si ritrova un’articolazione del casual molto variegata, è accaduto che, alle scarpe da passeggio comode, da sport più significato che praticato, si sono aggiunte, per contrapposizione, quelle da sport vero. Insomma, se sembra affievolita la differenza tra vita quotidiana e momento dell’attività fisica, in realtà si è radicalizzata, si è fatta più fine: non puoi correre con un paio di sneakers qualsiasi, ci vogliono quelle da running, da trail, da trekking, da camminata, e così via.

L’ultimo acquisto che ho fatto quando ho deciso che non potevo più soffrire la schiena dolente per via delle camminate veloci che ho deciso di fare, da adulta atterrita dal decadimento del proprio corpo, è proprio il paio di sneakers adatte. Di una marca molto in auge nel settore running, sono arancione sgargiante: non passo inosservata, letteralmente. Queste scarpe da specialisti, dal design ergonomico e i lacci fiammanti, si affiancano alle altre paia di sneakers da passeggio che posseggo e che impallidiscono al loro confronto.  Del resto, non ci si può trasformare in sportivi senza una serie di oggetti addosso (si veda uno scritto di Dario Mangano sugli orologi da fitness intitolato proprio “Lo sportivo (ibrido)” in un recente numero della rivista E|C). Ma sono soprattutto le scarpe a cambiare il passo, a far mutare la relazione tra il nostro corpo e il terreno, a farci percepire diversamene pesi e superfici, strofinii e leggerezze (sì, il mal di schiena è migliorato).

Ecco perché le scarpe da running, quelle da specialisti, sono l’ultima cosa che ho comprato, dopo i leggings in tessuto tecnico con il taschino portachiavi, la cerata antivento per le giornate fredde e qualche altro accessorio da look sportivo che ho già dimenticato: sapevo che, una volta avute a casa, mi avrebbero chiesto di fare qualcosa con loro, sul serio.

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Ilaria Ventura Bordenca | Keybox

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