Sorvegliare e pulire

2 Ottobre 2023

C’era una volta la lucidatrice. Pesante, ingombrante, rumorosa, passava sui pavimenti specchiandoli. Veniva dopo la pulizia vera e propria, dotando di luminosità marmi e cementine. Era più che lavato, il pavimento: era brillante. Per fare marmi specchiati, l’apparecchio lavorava per strofinamento, eliminando lo strato di patina e di opacità formatosi sui materiali duri. Che fine ha fatto quest’arnese? È sparito. Sono arrivati i gres porcellanati, già lucenti, e non c’è stato più bisogno di lucidare niente. E poi la lucidatrice non può andar d’accordo con il legno dei parquet, li rovinerebbe. Esistono del resto da tempo aspirapolvere con spazzole morbide per i pavimenti legnosi di molte delle nostre abitazioni. Vien da chiedersi: viene prima la spazzola o il materiale del pavimento? Entrambi, evidentemente, perché in casa occorre andar d’accordo. 

E poi, quell’estetica della casa brillante non va più di moda. Senza contare che oggi non ci sarebbero più tempo e pazienza per lucidare dopo aver pulito. Piuttosto deleghiamo il tutto ai robot aspirapolvere: basta programmarli tramite app dal cellulare e questi piccoli elettrodomestici girano da soli per casa, mappandola tramite telecamera e riconoscendo le altezze dei mobili, gli spessori dei tappeti, evitando pericolosi gradini e aree proibite della casa (la cuccia del cane, ad esempio). Aspirata la polvere, tornano a posto nell’apposita stazione di sosta (una cuccia?). 

E per il pavimento non c’è solo il robot: scope elettriche, aspirapolvere a traino, aspiratutto a tecnologia ciclonica, aspirabriciole, clean station autopulenti, scope elettriche che emettono vapore (il famigerato folletto di Vorwerk) e tanti altri moci auto-strizzanti, panni antistatici, spray mangiapolvere. Il mercato degli strumenti della pulizia sforna prodotti senza sosta, sempre più performanti, aspiranti, potenti, precisi. A nessuno interessa più il pavimento lucido. Dunque, tutta questa folla di apparecchi, alcuni assai tecnologici, altri per niente, a cosa serve? Cosa ci avrà fatto di tanto male lo sporco, l’impolverato? Se n’è parlato proprio di recente ai seminari di Semiotica di Urbino: qual è il senso moderno per la polvere?

Nella Nuvola di smog di Italo Calvino, la proprietaria di casa del protagonista – che, si ricorderà, lavora nella redazione della rivista “La Purificazione”, organo del famigerato EPAUCI (Ente per la Purificazione dell’Atmosfera Urbana e dei Centri Industriali) – spazzola e lustra a tutta forza. C’è questa polverina che proviene appunto dallo smog e che si attacca a tutti gli oggetti di casa, non va mai via, e la signora Margariti (nomen omen) per quanto si affatichi non riesce a eliminarla. Anche perché ci sono punti della casa che non può raggiungere, piccoletta com’è: sotto i mobili, sopra le mensole della libreria. La polvere si poggia nuovamente lì, ritorna senza posa. Tutte le camere della casa sono linde, anche solo per qualche ora, ma completamente vuote; ce n’è solo una che è sudicia: la cucina, l’unica in cui la signora Margariti effettivamente vive. 

Se l’anziana signora avesse avuto un aspirapolvere, avrebbe potuto usufruire di un valido aiutante. Ma era il 1958, anno del racconto calviniano, e l’aspirapolvere non era ancora un oggetto democratico nelle case italiane. Era il periodo in cui marche come Hoover o Electrolux iniziavano a reclamizzare gli aspirapolvere come aiutanti per sollevare le massaie dalle fatiche domestiche: finalmente si poteva pulire per bene il tappeto e risucchiare il pulviscolo dalle cadute delle tende, dai divani e dai vari imbottiti di casa. Senza contare gli angoli o i mobili alti: grazie al tubo e ai beccucci sottili la si poteva raggiungere anche lì, la polvere, finalmente. Nessun anfratto domestico sarebbe rimasto sporco. 

Uno strumento che riduce le fatiche o che, paradossalmente, le aumenta? Vari studi storici e di genere hanno evidenziato come alcuni oggetti che usiamo in casa per le pulizie non facciano altro che alzare lo standard igienico ed estetico in casa. Di fatto producendo un sovrappiù di lavoro. Un paradosso? Se pensiamo separatamente oggetti e persone, cose e valori, la risposta è affermativa. Se invece si cambia prospettiva, e si nota come gli apparecchi di cui ci circondiamo non sono solo strumenti ma agenti veri e propri che fanno tante belle cose con noi, oltre che per noi, la faccenda cambia radicalmente. Gli aspirapolvere, visti così, non sono semplici aiutanti: se la signora Margariti avesse avuto una macchina con un lungo tubo per poter aspirare la polvere da sotto il letto o dalle mensole in alto, sarebbe stata una padrona di casa diversa, con un potere maggiore sullo sporco, azzerando senza problemi gli ostacoli dei mobili, cancellando il residuo, il dimenticato. Una sorvegliante perfetta. E la sua cucina, unico segno di vita in tutta la casa, non sarebbe rimasta esente dallo sterminio igienico.

Diciamola tutta. L’aspirapolvere, con i suoi accessori specifici, sofisticatissimi, mentre pulisce in realtà ripensa gli oggetti della casa, e ripensa anche il criterio di ciò che si dà come pulito: materassi, divani, cuscini non vanno più battuti ma aspirati; perché lo sporco, gli acari e tutto l’invisibile pericoloso per la salute sta dentro, in profondità. La cuccia del cane, con i suoi impressionanti quantitativi di peli, necessita di una spazzola ad hoc, così come i tappeti del bagno (soprattutto se frequentati da persone con capelli lunghi…); angoli e battiscopa non possono essere dimenticati, né le tastiere dei computer o gli schermi dei televisori. Vanno puliti: ce lo dice l’accessorio specifico, che sia beccuccio sottile o setole morbide. Il fatto è che in questa rete che possiamo chiamare interoggettiva, e cioè tra questi oggetti che vanno sempre più d’accordo adattandosi reciprocamente, si produce valore, si definiscono gli standard e dunque il senso di quella fatica prosaica che è il pulire. È la macchina, con la sua potenza aspirante, con la sua marea di accessori, a dirci quanto e quando dobbiamo pulire. Non tanto per dare un aspetto lucente alle superfici, come era con la lucidatrice, ma per rimuovere lo sporco più in profondità, scovare e cacciare ogni granello di polvere, anche quello più invisibile. È l’igienismo la marca principale della cultura contemporanea del pulito.

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Si prenda uno degli ultimi prodotti della nota marca inglese Dyson: aspira anche i virus. Non solo, ma è dotata di un led che tramite tecnologia laser rende visibile la polvere che non vedremmo a occhio nudo. Anzi, come dicono le varie pubblicità che l’accompagnano: rivela lo sporco invisibile, rimuove il doppio della polvere, insinuando che non sia mai sufficiente quanto puliamo perché “il pavimento sembra pulito anche quando non lo è”. Con tutte le conseguenze ansiogene di un pavimento menzognero (sembra lindo ma non lo è), se non addirittura di una casa che cela segreti al proprio padrone (è sporca ma non si vede). Le conseguenze emotive sono evidenti: l’aspirapolvere genera smania pulente, ci vuole far pulire, rilanciando sempre in avanti la caccia alla polvere, all’invisibile, al sempre più piccolo. Questa macchina, tra l’altro, è anche dotata di un display per l’utente che può tenere sotto controllo, momento dopo momento, il grado di pulizia del pavimento: se le barre luminose sul display non si accendono, è ben lindo; se invece si colorano occorre ancora passare ancora l’aspirapolvere. Semplice informazione? Siamo noi che sorvegliamo lo sporco o è l’aspirapolvere stesso a sanzionare positivamente il nostro operato e a dirci quel che dobbiamo fare? Occorre tenere quindi un doppio sguardo: non ci sono gli imperanti valori igienici da una parte e gli oggetti che li incorporano dall’altra, separatamente. Piuttosto ci sono strumenti e tecnologie che in qualche modo mettono in forma quei valori igienici, imprimendogli un preciso aspetto. Quello emotivo, della paura dello sporco e della voglia di cacciare l’invisibile, è uno tra questi.

Si pensi alle già citate clean station: si tratta di stazioni autopulenti per aspirapolvere che svuotano automaticamente il proprio contenuto, ritardando il momento del contatto umano con lo sporco, che viene spostato in avanti (ne è dotata ad esempio Samsung, diretta competitor di Dyson in Italia). C’è sempre qualcuno in casa che ha l’ingrato compito di occuparsi della manutenzione dell’aspirapolvere, cambiando sacchetti o svuotando contenitori, con la produzione di altra polvere, di nubi grigiastre che salgono su dal bidone, e di qualche colpo di tosse. Le macchine di oggi risolvono così l’annoso problema dello sporco delle pulizie. Forse il sacchetto dell’aspirapolvere è il contrario di quella poubelle agréé che Calvino, in un altro testo, svuotava con soddisfazione di bravo cittadino contribuendo alle sane regole della convivenza collettiva?  

Viene dunque prima il Dyson – e i suoi simili – o l’igienismo estremo? Vengono insieme, ancora una volta, come spazzole e pavimenti. Da parecchio, del resto, la polvere non è più al singolare, massa informe o pulviscolo indifferenziato. Piuttosto, è dai tempi dell’invenzione dei microscopi che le parti più piccole del mondo vengono osservate, analizzate e scomposte. Come dice Joseph Amato nel recente Polvere. Storia del piccolo e dell’invisibile (Bollati Boringhieri,2012), la caccia alla polvere è fortemente legata allo sviluppo, in epoca moderna e contemporanea, di una precisa cultura della visione che, insieme a telescopi e raggi X, va a caccia del buio e dell’invisibile. Senza luce, la polvere e lo sporco non ci sarebbero. Rendere visibile però non è un’azione senza conseguenze: è trasformativa, cambia le cose, soprattutto la prospettiva. È quando la vediamo, infatti, che la polvere si fa nemica e iniziamo a cacciarla. Gli aspirapolvere odierni dotati di luci e sensori dunque non sono una novità in senso stretto, ma un modo per così dire normalizzato di entrare in rapporto con lo sporco. Tant’è che già negli anni 60 Hoover vendeva aspirapolvere con lucette incorporante (chiamato “Dirt Searcher”), e la pubblicità ha sempre usato il rapporto opacità/luminosità per mostrare negli spot e negli annunci il passaggio dallo sporco al pulito. 

A proposito di visibilità e invisibilità, e delle conseguenze delle loro reciproche trasformazioni, quando Bruno Latour in Microbi. Trattato scientifico-politico (Editori riuniti, 199°, ma da tempo invisibile ai lettori) parla della cosiddetta rivoluzione pasteuriana, ovvero della ottocentesca scoperta dei microbi, ricorda che Pasteur non aveva scoperto proprio niente. Aveva semplicemente, per così dire, reso visibile l’invisibile, cioè proprio i microbi, e così aveva rivoluzionato la scienza, il modo di pensare la società, i rapporti umani, il contatto tra le persone, i corpi e i loro residui. Da quel momento, scrive Latour, è stato necessario prendere in considerazione un nuovo attore sociale, i microbi. Per agire effettivamente da umani, vivere nei luoghi pubblici, pregare nelle chiese, avere reggimenti virili, partorire bambini sani, bisognava far posto ai microbi. Non c’erano più rapporti tra umani da soli, ma un nuovo complesso modo di pensarsi in comunità. Dentro polveri e sporcizie umane si potevano trovare anche i bacilli delle malattie. Ed era il microscopio a dirlo, non più il cattivo odore, che fino a quel momento era stato il segno dello sporco, del putrido e del tossico. Alain Corbin in Storia sociale degli odori (Arnoldo Mondadori, 2005)parla di una sorveglianza olfattiva che era il meccanismo di sicurezza delle società umane rispetto alla malattia. Una dimensione dell’odore che oggi ha ceduto il passo a una dimensione visiva. 

Il senso moderno per la polvere è dunque la conseguenza di un eterogeneo e articolato sistema di oggetti, apparecchi e prodotti a cavallo tra scienza, tecnica, medicina, igiene, estetica e che comprende macchine pulenti, strumenti di visione ma anche saponi, detergenti, detersivi, sbiancanti e altri prodotti per la pulizia domestica e del corpo. Unilever, Johnson & Johnson, Procter & Gamble sono nati tra Ottocento e Novecento, quando lavarsi le mani diventa un’azione necessaria e poi, pian piano, lavarsi, spazzolarsi i denti, farsi lo shampoo una abitudine più o meno quotidiana. Nascevano, contemporaneamente, come segno l’una dell’altra, una nuova cultura dell’igiene e una nuova estetica del nitore. Da cui quella passione per il lucido che portò per un periodo nelle case la macchina lucidatrice.

Piuttosto che il lucido oggi però ci interessa il puro. Mary Douglas docet. Ecco perché gli aspirapolvere risucchiano anche i virus, i filtri trattengono le micropolveri, e motori sempre più potenti catturano gli acari, le luci laser sterminano la polvere; e si moltiplicano apparecchi purificatori dell’aria per gli ambienti domestici. Funzionerà forse come quel che dice Deleuze della prigione di Foucault? La prigione, sostenevano i due filosofi, non è una cosa che rappresenta una idea di illegalità o di sorveglianza, ma un segno che articola una precisa cultura dell’illegalità e della sorveglianza. Tecnicamente, una forma dell’espressione (segreta vs panopticon) che rinvia per presupposizione reciproca a una forma del contenuto (punire vs controllare). Allo stesso modo, più modestamente ma non meno efficacemente, accade con gli strumenti contro la polvere. Non possiamo pensare la polvere, il nostro nemico, senza le armi per stanarla. Sorvegliare e pulire? 

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