Sono impazziti i prezzi o siamo impazziti noi?

Incontriamo due amici, Cesira Menegazzi e Mario Angeloni. Ci bloccano e ci dicono. “I prezzi stanno a cresce de brutto. Stamattina se semo fatti cappuccino e cornetto e cianno chiesto quasi quattro euro a capoccia. Compriamo sempre le stesse cose al supermercato ma ora spendiamo un botto più de prima. Ma che stà a succede?”

Ci siamo sentiti in dovere di offrire un aperitivo ai due. Ecco una sintesi della chiacchierata. In grassetto le domande di Angeloni e Menegazzi, in chiaro le nostre parole.

I prezzi stanno a cresce o siamo noi che se semo rimbambiti

I prezzi stanno crescendo. A novembre in Italia l’inflazione – secondo la definizione armonizzata europea, che consente il confronto tra paesi – è stata pari al 12,5 per cento: in altre parole, i prezzi sono in media più alti del 12,5 per cento rispetto a un anno fa. C’è stato un piccolo miglioramento, perché in ottobre l’inflazione era stata pari al 12,6 per cento. Sono valori che non si osservavano dagli anni Ottanta del Novecento. È un fenomeno mondiale. Sempre in novembre nell’area dell’euro l’inflazione è stata pari al 10,1 per cento, dal 10,6 per cento in ottobre.

Perché i prezzi sono impazziti? 

Le cause delle inflazioni nazionali sono diverse. Negli Stati Uniti la dinamica dei prezzi riflette soprattutto il surriscaldamento della domanda di beni di consumo, indotto da una politica fiscale molto espansiva. Invece in Europa l’inflazione è legata principalmente al rincaro dei prodotti energetici. Fino al 2020 l’inflazione era bassa: dal 2013 al 2020 nell’area dell’euro l’inflazione è stata sempre sotto il 2 per cento, valore che corrisponde all’obiettivo della Banca centrale europea; in alcuni mesi abbiamo addirittura avuto una deflazione, cioè una riduzione generalizzata dei prezzi. L’inflazione ha iniziato a manifestarsi nella seconda metà del 2021.

Tutti i prezzi stanno a cresce uguali? 

No. L’inflazione è misurata considerando le variazioni nel tempo dei prezzi di un insieme di prodotti, il cosiddetto paniere dei prezzi al consumo, aggiornato ogni anno dall’Istituto Nazionale di Statistica (Istat). Il paniere contiene i beni e i servizi maggiormente utilizzati dalle persone in un paese e include voci molto diverse tra di loro: beni energetici (ad esempio, benzina e gas), alimentari freschi (tipo insalata o pesche), alimentari trasformati (ad esempio marmellata), beni industriali non-energetici e non-alimentari (ad esempio auto, tessuti, scarpe) e servizi (come le tariffe dei liberi professionisti o pranzi e cene al ristorante). 

I prezzi dell’energia e dei beni alimentari sono più volatili di quelli degli altri beni, perché sono più influenzati dagli andamenti climatici o da eventi a livello globale o eccezionali come le guerre. Per questo motivo è stato sviluppato il concetto di inflazione di fondo, che misura la variazione dei prezzi al netto degli andamenti dei prezzi dei prodotti energetici e degli alimentari, che a novembre era pari in Italia al 4,7 per cento, da 4,6 in ottobre.

L’inflazione che stiamo osservando nell’ultimo anno nasconde andamenti diversi dei prezzi delle singole voci. L’aumento dei prezzi energetici è stato eccezionale, quasi del 68 per cento a novembre rispetto a un anno prima, in conseguenza dell’aggressione dell’Ucraina da parte della Russia. Si può stimare che circa i due terzi dell’aumento complessivo dei prezzi al consumo sia riconducibile ai rincari dell’energia, sia direttamente sia indirettamente attraverso gli effetti sui costi di produzione degli altri beni e servizi (si veda l’intervento di Ignazio Visco su “Inflazione e politica monetaria”).  

Soffrimo tutti allo stesso modo a causa dell’inflazione?

No. Uno dei problemi dell’inflazione è che colpisce di più i poveri rispetto ai ricchi. In primo luogo i poveri hanno una propensione al consumo più alta di quella delle persone ricche: consumando in proporzione più dei ricchi, i poveri sono più colpiti dall’inflazione. 

In secondo luogo le persone ricche consumano molti o tutti i beni e servizi del paniere, sia quelli i cui prezzi sono aumentati molto, sia quelli i cui prezzi non sono aumentati. Le persone meno abbienti, al contrario, si trovano costrette a concentrare in misura maggiore le loro spese su prodotti energetici e alimentari, proprio quelli i cui prezzi sono cresciuti di più: non si può, infatti, rinunciare a riscaldare la casa e a mangiare. 

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Si può misurare di quanto l’inflazione colpisca di più i poveri rispetto ai ricchi. Ordinando le famiglie italiane in base alla loro spesa – tenendo conto della numerosità di ciascun nucleo familiare – è possibile suddividerle in cinque classi (quinti) di pari numero, in modo che nel primo quinto (o gruppo) siano presenti le famiglie con la spesa mensile più bassa (generalmente le meno abbienti) e nell’ultimo quinto quelle con la spesa mensile più alta. Un recente approfondimento condotto dall’Istat ha stimato che l’inflazione subita dal quinto di famiglie più povere è stato superiore di 4 punti percentuali di quella del quinto di famiglie più ricche (si veda il comunicato stampa dell’Istat del settembre 2022).

In sintesi, gli aumenti dei prezzi incidono sulle famiglie in misura diseguale, a seconda della diversa propensione al consumo e della diversa composizione del paniere di spesa. È una conferma che l’inflazione ha, come sempre avvenuto in passato, effetti redistributivi: c’è chi ci perde e c’è chi ci guadagna, e così le diseguaglianze aumentano. 

Che ci sia chi ci perde e chi ci guadagna non lo capiamo tanto: ce pare che ce stamo a perde tutti, chi più chi meno...

A dire la verità qualcuno che ci guadagna dall’inflazione ci sarebbe: in periodi di alta inflazione, i debitori tendono a guadagnarci. Pensate a chi ha contratto un mutuo a tasso fisso fino a poco tempo fa. Ora, e per il tempo residuo del mutuo, si troverà a pagare una rata che rimane fissa in valore nominale ma che varrà sempre meno in termini di potere d’acquisto, diventerà quindi meno oneroso rimborsare il debito...

Comunque non è giusto che i poveri ci rimettano di più per colpa dell’inflazione! Non si può fare niente?

In molti paesi, i governi sono intervenuti per mitigare gli effetti dell’inflazione, in particolare in favore dei più poveri.

Anche in Italia nel 2021 e nel 2022 sono state introdotte diverse misure. Alcune erano mirate a contenere l’aumento dei prezzi per tutti i consumatori, come il taglio delle tasse sui carburanti, la riduzione delle tariffe di elettricità e gas e dell’aliquota dell’IVA sul gas. Altre misure hanno sostenuto il reddito disponibile di una quota molto ampia di famiglie, non solo dei più poveri, come i contributi una tantum di 200 e 150 euro, la riduzione degli oneri sociali a carico dei lavoratori e l’anticipo parziale della rivalutazione delle pensioni.

In aggiunta a queste misure ce n’è stata un’altra, andata a beneficio solo dei più poveri: è il bonus sociale per le utenze elettriche e del gas, attribuito sulla base della situazione economica familiare. Tra le misure adottate è stata la più efficace per contenere le disuguaglianze; le misure che riducono i prezzi per tutti i cittadini – come gli sconti ai prezzi della benzina – invece, sono meno efficaci, perché aiutano anche le persone ricche (si veda “The redistributive effects of inflation: a microsimulation analysis for Italy”, di Nicola Curci, Marco Savegnago, Giordano Zevi e Roberta Zizza). 

Che cosa accadrà all’inflazione nei prossimi mesi?

Come abbiamo detto, a novembre l’inflazione si è leggermente attenuata; speriamo che la rondine annunci la primavera. È molto difficile fare previsioni in una situazione economica contraddistinta da grande incertezza. Le banche centrali stanno utilizzando gli strumenti a loro disposizione, essenzialmente i tassi di interesse, per combattere l’inflazione. Secondo le proiezioni elaborate dalla Banca d’Italia nell’ambito di un esercizio europeo e pubblicate il 16 dicembre, nel 2023 l’inflazione potrebbe scendere in media intorno al 7 per cento. Bisogna quindi stare attenti ai nostri risparmi, dato che i tassi interesse – ad esempio sui nostri depositi e titoli pubblici – rimarranno per un po’ di tempo più bassi del tasso d’inflazione. 

A dott.ssa, a dottò, grazie. Certo ce se confonne cor paniere, coi prezzi, con le medie … tocca informasse, tocca da studià. 

Questo pezzo rielabora dei post pubblicati sul Portale di educazione finanziaria della Banca d’Italia.

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