Speciale
Tavoli | Gianluigi Ricuperati
Una giacca a vento e una cravatta, abbandonate di fretta sulla spalliera di una sedia, quasi all’improvviso. Sulla scrivania si affastellano saggi, riviste di filosofia, romanzi, cataloghi d'arte, corrispondenza, jazz, poesia.
Due elementi, su tutti: l’uomo che sfida le geometrie che lo inquadrano nella pagina della rivista lasciata aperta, e la copertina bianca di un poeta che ci fissa con gli occhi delle lettere bene aperti e nitidi, come li aveva voluti Munari. Qualcosa, invece, vorrebbe scomparire ma non può, e finisce per attirare l’attenzione: sotto la pila delle copie di un romanzo, in basso a sinistra quasi ad apporre la sua firma alla scrivania, spunta l’ombra di un incarnato che dopo qualche secondo si coagula, nel ricordo, ed ecco il braccio di un San Giovanni Battista, di quel San Giovanni Battista – così impertinente, nel suo sfumato perfetto e inimitabile, da rendersi riconoscibile anche se forse non vorrebbe, anche ridotto a sfondo dall’accumulo di oggetti.
Dal davanzale della finestra guarda e si fa guardare un progetto, schizzi di matita e di colore su carta. “A Gianluigi”. In questo reticolo di sguardi immaginati, di segrete amicizie tra le cose, di rimandi tra lingue e linguaggi, lui dov’è?
Da qui non possiamo saperlo. Qualcuno lo sa, a dire il vero, ma non vuole dircelo. C’è uno specchio, là a sinistra, che dal suo angolo di visione potrebbe ritrarre, se solo volesse, l'uomo sgusciato via dal tavolo da lavoro e contemporaneamente chi, all'altro lato della stanza, su una seconda scrivania più piccola, non meno ingombra di carte ma solo più piccola, sta davanti a una piramide di libri aperti a faccia in giù e a una tastiera.
L'uno che legge, che studia. L'altro che scrive, annota, corregge. Due, o forse uno. Lo specchio, in silenzio, riflette, e riflette ora l'uno ora l'altro – ma soltanto quando abbiamo distolto lo sguardo.