Treviglio / Paesi e città
La Madonna, dicono, la Bella Signora.
“Quàte bàle, ostia!… Ognuno c’ha la sua madonna, tutte bugiarde. Anche Treviglio c’ha la ‘madonna delle lacrime’, no?… Quale lacrime? Piange sempre, i dìs… Ma quale lacrime?”.
Te non credi ai miracoli? “Ma va’!… Non esistono i miracoli. Nessuno ha fatto miracoli… Quali miracoli? Vai là dritto, torni a casa gobbo… Miracoli un cazzo”.
1522, siamo al tempo delle “guerre d’Italia”, la disputa tra Francesco I e Carlo V: fin qui, giù, nella Bassa. Il 28 febbraio l’esercito del re di Francia e quello veneziano si portano, il primo dalla Gera d’Adda e dal Cremonese, il secondo dal Bergamasco, a Lodi. In quello stesso giorno, un venerdì, il generale Odet de Foix conte di Lautrec, negli anni precedenti vittorioso e sanguinario a Milano, decide di muovere verso Treviglio. Carlo V imperatore alleato con il pontefice contro Venezia e i Francesi, questi gli schieramenti in campo. Lautrec è adirato con il vicepodestà Landriani, eccessivamente filoimperiale: le sue guardie sistemate alle porte del borgo hanno ricacciato prima un reparto francese che di passaggio chiedeva di entrare a Treviglio per ristorarsi, poi un secondo gruppo di soldati è stato addirittura preso a colpi di archibugio.
“Venne pur troppo presto ch’era il giovedì grasso” – racconta la tradizione – “l’infelice novella della furibonda venuta dei francesi. D’ogni parte in Trevino s’udivano stridi, lamenti e rosari et in somma ognuno s’ingegnò di fuggire la furia francese”.
I consoli trevigliesi raccomandano che donne e bambini trovino rifugio nei conventi. Il monastero di Sant’Agostino subito si riempie. Presto vengono inviati messaggi a Bernabò Visconti, amico dei Francesi, nella sua residenza di Brignano e al prevosto di Pontirolo, il vicario generale Serbelloni. Entro la notte entrambi raggiungono Treviglio. Ma è tardi. Già nelle prime ore del mattino l’esercito francese è alle porte.
I consoli escono da Porta Filagno. Scalzi, corda al collo, portano le chiavi di Treviglio. Un ultimo tentativo: chiedono di risparmiare il borgo, pregano Lautrec di evitare l’eccidio, ma inutilmente. Il generale è pronto a consumare violenza e vendetta. Neppure Visconti e Serbelloni riescono a trattenerlo. Il vicario torna senza speranze nella basilica di San Martino, dove si raccoglie altra folla in attesa.
“Dovevano distruggere Treviglio, ammazzarli tutti, i dìs. Mah…”.
“Quand’ecco che stando il cielo sereno alcune donne credettero di sentire abbondanti gocciole d’acqua” – continua a tramandarci la leggenda. “Miracolo! Miracolo!” si sente provenire dal convento di Sant’Agostino. “La madòna la piàns”. Lautrec va veloce verso il convento e, testimone del muro che trasuda, delle lacrime che scaturiscono proprio dagli occhi della vergine, depone elmo e spada ai piedi dell’affresco.
“Nor qui non posso à sofficienza spiegare l’infelice sorte di quegli che all’hora vivevano e insieme anco la nostra. Perché essi non potessero pubblicare sì segnalato miracolo per i troppo duri e lunghi affanni che dopo gli afflissero. Mà hora di siccuro hà grand’obbligo questa nostra età che hà visto lupi diventar agnelli di ringraziare il cielo”.
“La Madonna presente nella Storia” – proclama con tono ieratico in apertura di omelia un sacerdote dei nostri giorni – “che soffre ma che intercede. E siamo qui proprio in questo santuario, testimonianza delle lacrime della madonna… È la mamma che sempre è vicino ai suoi figli, in tutti i momenti, specialmente i più tragici. E queste lacrime della madonna hanno risolto il problema, han salvato Treviglio”.
Ma si sa, c’è chi sta dentro e chi resta fuori dalla chiesa e si muove fra i negozi.
“Chi crede … Chi vede, chi provvede? Non si vede una madonna! E giù lacrime, è sempre così. Vuoi essere felice e non ce la fai, un miracolo non ce l’hai mai… Lacrime della madonna. Lacrime amare”.
L’elmo e la spada del generale Odet de Foix conte di Lautrec sono ancora conservati ed esposti nel santuario dedicato, nel cuore di questo borgo giusto in mezzo alla Lombardia. Questa benedetta città, oggi: snodo del traffico ferroviario, all’incrocio di più province; pendolarismo estenuante con Milano; ristagno dell’aria inquinata e dei suoi miasmi; due anelli di circonvallazione; cortili del centro ristrutturati ad arte a fronte di alcune fabbriche distrutte; industria dei trattori che resiste; strano impasto dialettale dalle inflessioni originali; negozi alla moda per shopping assolutamente superbi.
E così continua in questa cittadina di Tre Villæ la storia di ognuno, tra il ricordare a metà e il non sapere, ciascuno stretto tra il credere e il non credere, secondo il codice sfuggente di un destino individuale. Con gli amici perduti, alcuni per sempre, altri che si sono allontanati da qui in cerca di destini diversi. Intanto, il sentimento cattolico – che in Italia promette sempre bene dettando legge – continua a racchiudersi nell’Istituto Salesiano, mentre la cultura francese resta, imprigionata com’è nell’enogastronomia di lusso del rinomato ristorante San Martino. Entrambi con sguardo puntato sulla circonvallazione interna.