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Tim O’Brien, America tra realtà e incubo

14 Marzo 2025

Il titolo originale dell'ultimo romanzo di Tim O'Brien America Fantastica (con una bella introduzione di Paolo Simonetti, che lo ha tradotto, Mondadori 2024) suona come in italiano: l'aggettivo "fantastica" non è un riferimento alla nostra lingua, ma un ironico rimando a qualcosa di improbabile, che esiste solo nella fantasia, relativo, nello specifico, all'assurdità di un paese (Che paese, l'America! titolava Frank McCourt nel 1999, però era un'esclamazione di ammirazione) in cui il confine tra realtà e parodia si fa sempre più labile. Fantastica, da "fantastic", più nel senso di "exorbitant", insomma, "unrealistic", "fanciful", "strange" per evocare le esagerazioni cui il lettore andrà incontro, mentre si immerge nelle pagine di questo noir, o romanzo picaresco, se vogliamo illuminare l'attore principale – nella marea di co-protagonisti e di comparse – che compie azioni riprovevoli guidato da una sorta di spleen, un ripiegamento su se stesso tra l'impotente e il semiserio, che gli fa guardare quello che accade a lui personalmente come se si trattasse di cose che succedono a un altro e lui si osservasse dal di fuori. 

Famoso per la sua abilità a shakerare realtà e finzione, O'Brien ha scelto questo titolo sarcastico per raccontare la vita tra sogni e incubi, durante la prima presidenza Trump: la versione quasi mitica di un'America estrema, sfibrata dal Covid, impallata dalle contraddizioni. La storia inizia nel 2019 e si conclude nel 2020, e si fa in tempo ad assistere all'arrivo della pandemia. Il protagonista, Boyd Halverson, è un ex giornalista fallito che, dopo una rapina in banca fatta per noia o per ripicca ("Perché rapinare una banca? Boyd ci pensò su. Non c'è una risposta valida. Per curiosità. È come se ti capitasse di vedere una vetrata, continui a guardarla, continui a pensare a come ti sentiresti se la colpissi con un martello, così, giusto per spaccarla, finché un giorno... Non lo so. Forse avevo bisogno che succedesse qualcosa. Questa cosa") si lancia in una fuga attraverso gli Stati Uniti. Insieme a lui c’è Angie Bing, la giovane cassiera che si ritrova coinvolta per caso ma che da ostaggio si trasforma subito in quella che gli ordina cosa fare. 

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Questo duo in fuga, già di per sé un classico della letteratura e del cinema pulp, viene calato da O'Brien in un’America deformata, dove Halverson fa la parte di un antieroe che incarna il fallimento del sogno americano, un uomo prigioniero dell'ambizione e del cinismo, un mentitore seriale predestinato alla sconfitta ma con un'umanità che lo rende una simpatica carogna. Un tempo era un giornalista che ambiva al Pulitzer, poi si era cambiato il nome e aveva falsificato il suo curriculum e la sua vita. Smascherato, deve ripiegare su uno squallido impiego in un negozio di abbigliamento, fino a quando la rapina lo proietterà in un altro travestimento. Angie Bing, la sua compagna di fuga, non è proprio la classica donna in pericolo, ma una figura (di cui O’Brien, al contrario del riluttante Boyd, sembra innamorato) che gli ruba la scena, lo incalza, lo sfida, un po’ come le eroine femminili tarantiniane da Jackie Brown (1997) a Kill Bill (2004). America Fantastica sembra infatti la sceneggiatura di un film di Quentin Tarantino, sicuramente scritto con un occhio a Netflix, poiché le scene si susseguono a un ritmo che ci sembra di vedere già perfettamente serializzato. 

Attaccandosi alla tradizione, O'Brien attinge a piene mani alla letteratura di genere, tra dialoghi cinematografici e battute brillanti che in alcuni casi ricordano l'umorismo freddo di Woody Allen ("A proposito: sei tu Larry?" "Se sono io Larry?" "Sei tu Larry? significa questo" "Beh no – rispose l'uomo – Io sono Mel". "E allora dov'è Larry? In sella al suo toboga?"), e la descrizione di situazioni dove i personaggi si muovono senza logica, nel caos e nel non-senso, mossi da casualità, egoismo o pura e semplice idiozia. O'Brien crea un ibrido, sulle orme di Quentin: il suo romanzo non è una crime story, non è una satira sociale, non è un western contemporaneo ma è tutte e tre le cose insieme, come Pulp Fiction (1994)o The hateful eight (2015). Alla maniera dei film del regista, la violenza in America Fantastica non è solo un elemento narrativo, ma diventa un dispositivo stilistico, un modo per inchiodare all’assurdità la società americana e esplorare, ispirandosi ai migliori squarci splatter di Brett Easton Ellis, il fascino perverso del crimine. Se autori come Elmore Leonard (1925-2013: "Scrivere deve divertirmi, altrimenti mi farà impazzire") e James Ellroy (1948) hanno già dimostrato quanto il noir letterario possa contaminarsi con il linguaggio del cinema, O’Brien spinge questa fusione a un livello ulteriore, creando un’opera che deve averlo molto divertito mentre la scriveva e che non si limita a omaggiare il genere, ma lo reinventa, inserendolo in una cornice politica e sociale più ampia. 

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The Harbor, Josef Presser.

Il risvolto di copertina nomina, insieme a Tarantino, anche David Lynch, 1946-2025 (ma l'autore cita Bonny e Clyde,1968, di Arthur Penn: "Fino a quell’istante – disse Wanda Jane a Hedda – avresti pensato di guardare Bonny e Clyde"): in effetti, come in alcuni film del grande regista scomparso recentemente, il romanzo parla del lato nascosto dell'America, dove la "normalità" quotidiana si sgretola per rivelare qualcosa di sinistro. I personaggi, sempre sopra le righe, ricordano le figure ingenue e grottesche che si muovono negli on the road lynchiani come Wild at heart o Twin Peaks. Il comico e il minaccioso, il filosofico stemperato dall'ironico: nei film di Lynch e in America Fantastica il confine tra realtà e incubo è sempre impreciso. "Non puoi fare le prediche al mondo" ha detto Tim O'Brien in una recente intervista a Esquire. 

La realtà è un mostro, o non è come dovrebbe essere. Boyd a volte crede alle cose che dice, sa che non sono vere, ma ci crede. "Anch'io sono così – dice Tim – come puoi credere che Trump, il POTUS che ha invitato con entusiasmo skinheads, nazisti, xenofobi e suprematisti bianchi ortodossi nell'accogliente sodalizio tutto americano delle bravissime persone, il presidente che aveva perso un'elezione, ne abbia poi vinta un'altra?". Il tema "nobile" che il libro affronta è quello sulla post-verità, i personaggi di America Fantastica hanno introiettato la bugia così profondamente che li ha infettati come il coronavirus. "So che mentire è uno sport più vecchio di Babilonia – ha detto ancora O'Brien – ma credere alle bugie sapendo che sono bugie, ecco, questa sembra la vera novità dei nostri tempi". E la mitomania, diventata "la pornografia preferita della nazione". Il settantottenne Tim O'Brien (è nato nel 1946) non è considerato uno dei Grandi Autori del romanzo americano, non alla stregua di Don DeLillo o Thomas Pynchon, per esempio, per non parlare di Jonathan Franzen o Bret Easton Ellis, nell'empireo della narrativa alta: ma è certo che ha un amore smisurato per la letteratura, che emerge da questo romanzo anche quando l’autore sembra occultarla, in favore della perfezione di una scena da trasporre in una serie tv o del piacere di cesellare una battuta a regola d'arte. 

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Waterfront, Joseph Kaplan.

Boyd abbandona, alla fine del romanzo, la lettura della monumentale biografia di Winston Churchill, sulla quale si era impegnato quando era ancora affetto da megalomania, per dedicarsi a quella dell'Iliade, il libro più adatto a farlo riflettere sugli inganni, le verità e le conseguenze delle proprie azioni, "con la sua coinvolgente schiera di dèi e dee smorfiosi, sbraitanti e palesemente bugiardi". Naturalmente con il suo sense of humour: un torturatore gli aveva rotto le dita dei piedi con una pesante chiave inglese, dopo averlo fatto scegliere: “Preferisci le dita delle mani o quelle dei piedi?" e lui, dopo, "sfogliava l'Iliade, trovando conforto nei problemi ai piedi di Achille".  

In copertina, Waterfront Mill, Niles Spence.

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