Manea: la verità? È al circo

1 Gennaio 2024

Nietzsche scriveva nella Gaia Scienza che faceva parte della sua fortuna non possedere una casa. Lo cita Theodor Adorno, in Minima moralia, che aggiunge: "Fa parte della morale non sentirsi mai a casa propria". Viene in mente questo passaggio del filosofo francofortese, intitolato "Asilo per senzatetto", alla fine della lettura di L'ombra in esilio, di Norman Manea (traduzione di Roberto Merlo e Barbara Pavetto, Il Saggiatore, 2023), perché la storia di un sopravvissuto ai campi di concentramento in Transnistria, la sua successiva esistenza in Romania sotto la dittatura comunista di Ceausescu, fino all'esilio in America, è la ricerca dolorosa di un'identità messa in crisi da un destino incerto, senza un approdo domestico, e dalla conseguente visione del mondo messa a fuoco da un nomade contro la sua volontà, con malinconia e umorismo, tenacemente aggrappato alla vita. "Chiamiamola conchiglia, invece di guscio. Involucro. Rifugio, protezione".

"Il nostro guscio ha sostituito la casa?". "Forse". Lunghe digressioni sulle lumache, che portano con sé le loro case protettive (con un omaggio a Jacques Prévert e alla sua Chanson des escargot qui vont à l'enterrement) alludono nel romanzo alla biografia dell'autore – deportato all'età di cinque anni in un lager con la famiglia – e al rapporto incestuoso – per quel tanto di autosufficiente che l'animale ermafrodita riassume in sé – tra la sorella del protagonista e il suo alter ego letterario, cui allude questo breve dialogo. Prima dell'Educazione siberiana di Nicolai Lilin pochi conoscevano la Transnistria ("al di là del fiume Dnestr") che Lilin descrive come un paese fantasma, senza regole e dove contrabbando, malavita e corruzione sono all'ordine del giorno e dove una minoranza etnica della Siberia, che Lilin rivendica tra le sue origini, sarebbe stata deportata laggiù, negli anni '30, quando era ancora parte della Romania, prima di venire annessa all'Unione Sovietica nel 1940.

Oggi, con l'attualità della guerra russo-ucraina, è ancora una striscia geopolitica cruciale, confinante con la Crimea, strategica per una eventuale penetrazione imperialistica della Russia verso occidente. In questo simulacro di terra incappa Norman Manea: è qui che conosce, bambino, lo sradicamento dall'ambiente domestico e la promiscuità di un campo di concentramento, tra ebrei romeni e ucraini, prima tappa del suo esilio interminabile; in Romania fino al 1986, poi in Germania, dove lo portò una borsa di studio, infine negli Stati Uniti dove si trasferì con la moglie, cercando di mettere sempre più distanza tra sé e il passato. Manea è oggi lo scrittore romeno più celebrato nel mondo, ha 87 anni ma, nonostante i riconoscimenti per la sua attività letteraria e una vita finalmente confortevole, non sembra aver dimenticato le sue oscure ossessioni. 

L'ombra in esilio esce nel 2021 e porta la dicitura "romanzo collage" poiché è composto di frammenti che mischiano finzione e autobiografia, in una celebrazione delle parole e della letteratura, perché il Nomade Misantropo, come a volte si fa chiamare il narratore (nel libro è anche il Viaggiatore, l'Esule, l'Errante) ha perso ormai l'illusione di vivere in un paese che sia il suo: l'esilio esistenziale è anche, forse prima di tutto, linguistico e l'unico rifugio consentito a chi è condannato a una esistenza nomade è la sua lingua, che diventa la casa in cui vivere. Cinquanta capitoli di differente lunghezza, titolati, che possono essere oppure no ispirati alla vita di Manea: lui e il Misantropo Nomade condividono molti particolari biografici, entrambi diventano professori in un college americano, sviluppando un interesse accademico per i clown, che il Misantropo Nomade trasforma in materia di insegnamento presso il fantasmatico Buster Keaton College, dove "i docenti sono famosi registi, attori e clown (...) e dove gli studenti vengono iniziati non soltanto all'arte della clownerie, ma anche ai significati storici e estetici del ruolo del clown, perpetuato dall'antichità fino ad oggi, nella vita dello spettacolo così come nella vita di tutti i giorni".

Per Manea, affascinato da Fellini, il circo è una metafora dell'assurdità della vita e del "comunismo caricaturale" nella Romania di Ceausescu (definito "il pagliaccio Bianco", allusione alle figure del Bianco e dell'Augusto). "On clowns: the dictator and the artist" è un saggio del 2012 dove Manea usa il circo e i clown – come il suo connazionale Eugène Ionesco aveva usato lo zoo e i rinoceronti (titolo di una sua famosa pièce) – per alludere alla scissione tragicomica cui sono condannati a vivere gli esuli veri e quelli che invece è come se lo fossero, reclusi in sé stessi e nel conformismo più atroce, per illudersi di trovarsi in un paese diverso da quello nel quale il comunismo li opprime. E, nell'Ombra in esilio, è lapidario: "La verità? È al circo. Da sempre" – scrive Manea – "dove si fanno salti mortali e si ingoiano le sciabole". L'esilio è necessario alla vita e alla creazione artistica: l'Esodo biblico è indispensabile alla storia sacra, come dice la Bibbia; l'esilio "ha inizio con l'abbandono della placenta materna" (è l'incipit di questo libro affascinante), si identifica quindi con la vita e si collega all'intuizione di Adorno, secondo il quale "ogni tratto di agio e di comfort è pagato con il tradimento della conoscenza".

Scritto usando due registri, tra realismo – con citazioni di persone e fatti veri – e invenzione onirica, il romanzo si espande in molteplici direzioni, legate dalla fragilità del personaggio-autore che in ogni pagina diventa sempre più evanescente, fino a scomparire, come l'ombra che qualcuno aveva smarrito durante un'estate: "Sul tavolo era comparso un esile volume, Libro d'ombra. L'autore, il giapponese Jun'ichiro Tanizaki, sostiene che "in questo mondo, pragmatico e mercantile, l'ombra scompaia. Resta un emblema del passato, ricercato dagli orientali. Un'altra estetica. Direi persino un'altra etica, nella fiera capitalista. Dove persino le ombre sono in vendita. L'ombra insieme a qualsiasi altra cosa: reni, cuore, sperma".

La metafora dell'ombra indissolubilmente legata all'identità, è riferita qui al classico racconto tedesco di Adelbert von Chamisso (1781-1838), La straordinaria storia di Peter Schlemihl, la vicenda di un giovane povero che vende al diavolo la sua ombra, che esprime l'ossessione del protagonista per l'alienazione che gli deriva dal suo destino di uomo senza ombra, rifiutato da tutti perché diverso e strano. In un dialogo tra il Nomade Misantropo e il suo vecchio amico Gunther, un romeno di etnia tedesca esiliato a Berlino, comunista appassionato e critico della degenerazione della dottrina marxista nella dittatura di Ceausescu, ossessionato dal senso di colpa dei tedeschi per la connivenza con il nazismo, emerge in retrospettiva la realtà del dopoguerra nell'Europa dell'Est. "L'Archivio Gunther" ricorre nel libro e registra il dissidio crescente tra i due amici: "Chi l'esule è stato risulta dalla tensione, tanto negativa quanto creativa, rispetto a chi è diventato".

Thomas Mann, Celan e Montale, Elie Wiesel, Alberto Manguel, Hannah Arendt e altri scrittori compaiono nel libro, non ultimo Musil: il narratore usa per la sorella Tamar il nome Agatha, personaggio dell'Uomo senza qualità, sorella di Ulrich, cui è legata da un rapporto incestuoso (anche Jonathan Littel, in Le benevole  che non è citato da Manea ma suggerisce alcune similitudini, per contrasto, tra l'epopea tragica dell'ufficiale delle SS Maximilian Aue e quella del nostro esiliato a vita – si ispira a Musil, delineando il profilo del protagonista Aue, prigioniero come Ulrich – e come il Nomade Misantropo – dell'adolescenziale e morbosa relazione con la sorella gemella Una): l'incesto come tentativo di regressione agli stadi primigeni dello sviluppo psichico, ultima possibilità di rigenerare un mondo interiore messo alla prova dal sentirsi senza radici del protagonista.

Nel romanzo l'esilio è, alla fine, una ferita che non guarirà mai: oggi Manea scrive in una lingua diversa da quella materna, senza smettere di essere prigioniero del suo passato ma trovando nella letteratura lo strumento per ritrovare le sue origini e mantenerle vive. Lo testimonia questo libro a strati, complesso e profondo, dove "il luogo verso cui ci si dirige è più importante di quello che si è appena lasciato" e dove "l'altrove controbilancia il 'fuori di qui'. Accettare l'irreversibilità della propria partenza conferisce all'esule la psicologia del ribelle". Grande, maestoso Norman Manea, che accetta di perdere la sua ombra ma non lo spirito ribelle con il quale mai smetterà di cercarla.

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