I parassiti di Masneri

20 Settembre 2024

In Rimini (1985) di Pier Vittorio Tondelli, Marco Bauer, giovane giornalista in un quotidiano milanese riceve dal suo direttore l’incarico di recarsi nella riviera romagnola per il suo primo reportage importante. In Paradiso di Michele Masneri (Adelphi 2024) Federico Desideri, giovane giornalista di Milano, riceve dal direttore della rivista di nicchia per la quale lavora l’incarico di recarsi a Roma, dove è stato soltanto una volta in gita scolastica, per intervistare un famoso regista. Rimini è uno dei libri che Federico vede una sera nella libreria della casa che lo ospita: “Tra i pochi libri italiani qualche Arbasino, Rimini di Tondelli e poi, eccolo, Lo stato delle idee di Barry Volpicelli”. La seconda moglie del personaggio principale nel romanzo di Masneri si chiama Mavie, come Mavie di Monterassi, uno dei ruoli di Dinner Party, l’unica commedia scritta da Tondelli: tutti indizi che fanno supporre che Masneri abbia evocato, mentre scriveva, il fantasma di un autore che verosimilmente ha contato qualcosa per lui, non foss’altro la venerazione che li unisce per Alberto Arbasino, sorta di padre putativo medium di tutti e due. Evocato anche lui - Arbasino - da Masneri in vari riconoscibili particolari e quando descrive la copertina "dell'unico libro" di Barry Volpicelli, "un vecchio Einaudi ormai fuori commercio, su cui l'autore compare con baffoni anni Sessanta su fondo blu" ed è la descrizione esatta della copertina della seconda edizione di Certi romanzi, con una foto in bianco e nero dello scrittore di Voghera baffuto, proprio su un fondo blu.

Non sfugge la simmetria delle due discese dei giornalisti milanesi in un’Italia in miniatura – circoscritta, per ingrandire meglio i dettagli – dove Rimini faceva il verso a Sodoma e Gomorra e dove il compound del litorale laziale, in cui approda il protagonista di Masneri, ricorda quei film a episodi degli anni del boom, firmati da Visconti, Bolognini, Pasolini, De Sica, Risi: nella Romagna di Tondelli la fauna che popola i locali, le strade e i lungomare, le mogli in vacanza, le ragazze drogate, i ragazzi violenti, le turiste e i bagnini; nella Roma di Masneri le streghe e i mostri; in tutti e due un’umanità sgarrupata polifonica e polimorfa, disinteressata a cercare un senso qualsiasi in vite gettate nei riti del popolo in canottiera e ciabatte o, in perfetta simmetria, nelle “villette disperatamente signorili” dove sembra sempre che qualcosa di terribile stia per succedere. “Professore? Se volete magnà è pronto”: ai Parioli i camerieri filippini sono fluenti in vernacolo e, d’estate, al mare, “vanno avanti e indietro fra la casa e un lungo tavolo sotto i pini, che liberano dai bicchieri e dai resti di una grande cena e riapparecchiano in quattro e quattr’otto per il nuovo turno”. Non esiste generone romano senza filippini, lo si può sperimentare sulle spiagge di Capalbio e Porto Ercole, e in Paradiso questi ricchi senza essere produttori di ricchezza, queste élite con l’attico al diciottesimo piano di un condominio di periferia ma tutto grigio perla con i pavimenti in resina e, nel bagno, “una distesa di puffi ovunque”, questa borghesia di affittacamere, accudita dal filippino di prammatica sempre a un passo dal diventare un Parasite, Masneri la impallina mentre si esibisce nello sport preferito del vorrei ma non posso: “Che faremo di noi nel pomeriggio? dice (Gaia). E, guardando in aria verso il ventilatore cromato: e domani?”. “E tra dieci anni?” ribatté lui (Federico), un po’ istupidito dall’alcol, “cercando di dare alla conversazione un tono da commedia sofisticata”.

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Michele Masneri.

Sono i Vanzina che hanno visto Antonioni, una classe media che fa finta di essere borghese: ex ambasciatori, principi in rovina, allevatori di galline ornamentali, due lesbiche ricalcate su una coppia vera della nobiltà romano-nibelungica, precipitati nella quasi indigenza – Mavie serve ormai champagne di una marca che trova in un discount sull’Aurelia – in via di proletarizzazione e quindi alla ricerca di una soluzione per sfangare la crisi che opprime il Paradiso, con i suoi bungalow sulla spiaggia bisognosi di restauri, che saranno comunque sempre meglio, dice Federico al suo fidanzato Martino “delle baracche e dei finti dammusi di Stromboli che a te e ai tuoi amichetti piacciono solo perché stanno bene su Instagram”. Un vero e proprio cast di un Firbank apocrifo, un nome implicitamente evocato nella scena al cimitero, con la storia della tomba "occupata", che ricorda quella in Fratelli d’Italia in cui il protagonista e i suoi amici vanno alla ricerca del sepolcro dell’autore del Cardinal Pirelli

Nella sitcom farcita di riferimenti letterari e cinematografici di Masneri sarà anche bellissimo essere invidiati, far parte di quegli esseri umani “ammessi nella parte di mondo transennata” mentre gli altri sono “costretti ad accalcarsi dall’altra”, ma a Federico resta un barlume di senno quando esce dal deserto rosso dove lo vuole portare Gaia e si chiede se quegli altri, fuori dalla transenna, provino davvero invidia “o non li guardino piuttosto come animali di uno strano zoo”. Viene alla memoria la rete sulla spiaggia di Cabeza de Lobo in Suddenly, Last summer di Tennessee Williams, sceneggiato per il cinema da Gore Vidal, contro la quale si ammassano i ragazzi del popolo per spiare gli abitanti della villa. “C’è qualcosa di terribile nella realtà e io non so cos’è. Nessuno me lo dice” pensava Monica Vitti in Deserto rosso di Antonioni e il rombo sordo di qualcosa di ineluttabile che sta per accadere accompagna le pagine di Paradiso via via che accelerano verso la fine. Anche qui, come in Amarcord di Fellini, c’è un Rex che arriva: è lo yacht tutto luci che si palesa la notte di San Lorenzo e, come nella Dolce Vita e nella Grande Bellezza, c’è una Madonna che cala dal cielo o una santa, ma qui ha il fisico instagrammabile di Tania Finazzer, una influencer, annunciata da decine di fari sottomarini “che proiettano sott’acqua fasci bianchi, azzurri, verdi, rossi, come durante il concerto di una rockstar”. L’entropia è annunciata da un insolito silenzio, nemmeno le grida dei bambini, niente, dopo il clamore provocato dalla Finazzer, che ha scandalizzato gli stanziali, i “vecchi, amabili freak strampalati” del Paradiso.

Il disordine che sconvolge Mavie alla fine è rappresentato da una calma piatta, nell’assenza dei filippini perché qualcosa di grave è accaduto, mentre lei raggiunge a grandi passi il molo per accogliere la Finazzer, e resta lì per ore, “impavida, come calcificata”, finché non arriva, per farle fare un giro tra le ville, giocando a fare la vera principessa e in cuor suo sperando che l’influencer sia la soluzione per il rilancio del compound. Chi conosce Michele Masneri per i suoi straordinari ritratti delle dinastie italiane, dagli aristocratici che affittano i palazzi per i matrimoni a Roma, ai Ferragnez che rappresentavano la vera ricchezza nella Milano digitale fino a qualche mese fa, le sue incursioni nella California delle start up nel bellissimo Steve Jobs non abita più qui (la rivista che invia Federico a intervistare il regista si chiama Comic Sans, come il nome di un carattere tipografico prodotto da Microsoft negli anni ’90) ritroverà qui il suo stile – il giornalista accumula materiali per lo scrittore – le sue descrizioni di Roma e di Milano, con le differenze mutuate da Arbasino ma, come ha detto in un’intervista: il giornalista “deve smontare il quadro e farlo vedere”, lo scrittore “deve ricostruirlo e mettere un elemento dopo l’altro, invogliando il lettore ad andare avanti”. Paradiso è un To Rome with Love pieno di affetto per questa città in putrefazione da secoli ma che alla fine resiste e se “Milano è un’infinita Tuscolana tenuta bene”, “Roma è il posto ideale per vedere se tutto finisce, o no”, come fa dire Masneri a Gore Vidal in esergo, riprendendo l’affermazione dello scrittore americano nell’inarrivabile Roma di Fellini. 

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