Mircea Cărtărescu, il libro dei pazzi

6 Ottobre 2024

La copertina dell'edizione italiana di Theodoros di Mircea Cartarescu (traduzione di Bruno Mazzoni, Il Saggiatore 2024), curata dall'art director Alice Beniero (con Ludovica Taddeo) riassume la complessità di questo libro, con la scelta di una riproduzione della Battaglia di Alessandro e Dario a Isso, un quadro del 1529 di Albrecht Altdorfer, conservato nell'Alte Pinakothek di Monaco; battaglia che Cartarescu evoca in un paio di pagine ("...i tuoi ventisei anni, quanti ne avevi allora, l'età in cui Alessandro aveva già il dominio del mondo" e: "da quando sono al mondo l'immagine di Alessandro è stata come quella di un Dio, a cui mi sono sempre inchinato: ...o imperatore o nulla"). Con la tecnica di un miniaturista, Altdorfer dipinge la mischia tra i greci di Alessandro Magno e i persiani di re Dario come un brulicare di corpi, di bandiere, di armi, in un orizzonte che si curva per alludere alla sfericità del pianeta e dove la prospettiva contiene la terra e il cielo, l'alba e la notte con, sullo sfondo, i tetti e le guglie di una città sul punto di essere trascinata nel gorgo delle nuvole, come succedeva a Bucarest in Solenoide, l'altro capolavoro di Cartarescu; anche in Theodoros "una ruota di luce, immensa, con raggi di fuoco vivo (...) si sollevava lentamente (...) alzandosi sempre di più (...), assomigliava a una grande città, illuminata a festa (...), finché non si vide più, inghiottita dall'oscurità e dall'infinito". Nella copertina di Solenoide si apre al centro un tondo, che isola un particolare della cartografia di Bucarest; in Theodoros il buco circoscrive uno scorcio della battaglia. Non sono soltanto le copertine a suggerire un legame tra questi due romanzi che sembrano così diversi: Cartarescu ha una predilezione per la narrativa fantastica che descrive mondi anacronistici.

Lo dice lui stesso nella nota finale: la storia di Theodoros "non ha una base storica reale, ma apre l'affascinante prospettiva di una storia controfattuale, mitica, finzionale e archetipica, giusto adatta per diventare materia di un romanzo". Per scriverla, lo scrittore romeno dice di aver consultato alcune fonti come il Kebra Nagast, il testo sacro etiope sulla "gloria dei re", la Bibbia e "un testo anonimo sulla vita dell'imperatore Tewodros II trovato in Internet". I richiami letterari per chi scrive in questa prima metà del XXI secolo non possono privarsi delle seduzioni del digitale, in questo romanzo da leggere con un occhio a Wikipedia, per ritrovare gli infiniti rimandi e allusioni alla storia e alla contemporaneità. Nel film su Maria Antonietta di Sofia Coppola la macchina da presa indugia per pochi secondi su un paio di Converse All Star, posizionate con finta distrazione tra le decine di scarpini di raso alla moda di fine Settecento. Con lo stesso gusto, gioiosamente anarchico, Cartarescu contamina l'immaginario ottocentesco, che va prodigiosamente creando, inserendo nella narrazione suggestioni pop: la Coca Cola, una stazione spaziale e John Lennon perché Theodoros, come un uomo proveniente "dal futuro remoto", è "l'imperatore dei secoli passati e di quelli futuri" che sapeva, dentro di sé, di non essere altro che "un mortale che sogna di essere Dio".

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Maggie Mae, la canzone popolare di Liverpool rifatta dai Beatles (1969) che Lennon inserì nell'album Let it be, ci parla della "sorella a distanza" Nellie Ray (XXVII secolo): Cartarescu le usa per rimarcare le assonanze tra le due ballate perché il mondo va come è sempre andato, e ciò che è stato sarà, "verso le cose che accadranno, alle quali voi siete ciechi e sordi, ma che noi vediamo chiaramente come nel palmo della mano". La storia di Theodoros si svolge nel XIX secolo e racconta la vertiginosa ascesa e poi la tragica caduta del figlio di semplici servi di un piccolo aristocratico romeno. Theodoros, fin da giovanissimo, sognava di diventare imperatore e di eguagliare Alessandro di cui sua madre, di origini greche, gli narrava le imprese. Posseduto dalla fantasia, il ragazzo lavorerà per distinguersi e, diventato adulto, non si fermerà davanti a nulla, peccando e deviando dalla morale e dalle regole, per raggiungere il potere. Le lettere che scrive a sua madre lo mostrano impegnato ad attraversare l'arcipelago greco e l'Oriente, dove vaga con una banda di pirati, uomini e donne. Descrive – o forse sogna – la sua vita avventurosa e le azioni crudeli che compie nella ricerca della ricchezza, fino a quando diventerà l'improbabile imperatore d'Etiopia Tewodros. 

Theodoros è suddiviso in tre parti, ognuna di undici capitoli, ciascuno dei quali si compone della simmetrica misura di una ventina di pagine: il numero totale dei capitoli, trentatré, corrisponde a quello dei canti di una cantica di Dante, prediletto da Cartarescu nel suo stile allegorico e nei richiami teologici che affollano il romanzo. La disciplina che si deve essere dato Cartarescu per comporre questo affresco fastoso, dove la percezione della realtà da parte del lettore viene continuamente manipolata dall'autore, che smonta con tecniche sofisticate la trama e la ricompone in un moto circolare e avvolgente, deve essere stata inflessibile. Ma il piacere della lettura delle innumerevoli storie che si avvicendano, come in Le mille e una notte, premia lo sforzo dello scrittore e dona al lettore la straordinaria epopea di quest'uomo, nato come Tudor, garzone adolescente in Valacchia, diventato Theodoros, brigante e terrore dei mari e infine Tewodros che si incoronerà imperatore di Etiopia, intrecciando la sua storia con quella del vero imperatore Menelik. Theodoros è il libro dei pazzi che si proclamano imperatori: Dejazmach Wube Haile Maryam che, "in maniera sfrontata e folle si autodefiniva Ye Abesha Nigus, cioè re d'Etiopia"; Nae Pasvantoglou, che sottomise i becchini di Bucarest nominando sé stesso "Pasvantoglou I, Re dei Necrofori" e Joshua Abraham Norton, un imprenditore inglese autoproclamatosi imperatore degli Stati Uniti d'America e protettore del Messico con il nome di Norton I, le cui storie si incrociano con quella di Theodoros, "destini appaiati che non sono destini comuni", scrive Theodoros alla madre, ma che esemplificano "dove può arrivare la persona che vuole elevarsi, ponendo anche il senno a tale scopo".

Come in Solenoide, anche qui è centrale il problema del male: là erano i "manifestanti", che picchettano i cimiteri, gli obitori e gli ospedali di Bucarest, a protestare contro il male, la paura e la morte; in Theodoros sono gli appestati: "ogni cadavere tornava in vita, si alzava in piedi e si radunava dietro i vessilli neri degli appestati. Si alzavano a centinaia e a migliaia sul terreno ghiacciato, un esercito nuovo, riposato e invincibile, giurando fedeltà al re (...) e muovendo con un nuovo slancio e alte grida contro gli oppressori". Lo sgomento e la malinconia che infettano la condizione umana possono essere riscattati dal desiderio di ascesa, ma la corsa al potere non risparmia atrocità e dissemina la narrazione di cadaveri di uomini, di donne e di bambini. Una sete di potere che non è l'unica spinta contraddittoria alle azioni del protagonista, in contrasto con il suo desiderio di migliorarsi: la ricerca dell'amore romantico e totalizzante lo guida, l'amore, unica forma di salvezza per i mortali (torna qui la citazione del verso dantesco che compariva già in Solenoide: "L'amore che muove il sole e l'altre stelle"; là era il personaggio narrante che lo diceva all'amata Irina; qui è la scintilla dello Spirito che viene evocata perché il fiume della vita non può essere interrotto e l'uomo deve sollevarsi "verso ingegno e luce").

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Cartarescu scrive pagine mirabili di erotismo – Theodoros è anche un grande romanzo erotico – dove il non detto fa correre l'immaginazione del lettore: una coppia che rinvia la prima volta in cui si congiungeranno, per non sciupare la perfezione del desiderio, raccontata con la stessa tensione che si ritrova nell'efferatezza di certe scene: una orribile mattanza di bambini è solo evocata, senza che niente venga esplicitato. Alcune scene di Theodoros sembrano le sequenze di un videogioco, come nel pezzo da antologia della descrizione di un proiettile, di cui lo scrittore immagina si possa dirottare la traiettoria, una volta sparato, per salvare la vita di Theodoros cui era destinato (il tema del colpo che non va a segno era già il fulcro del racconto "L'uomo della roulette" contenuto in Nostalgia, 2012): "E la pallottola ruotò più volte nelle scanalature, tormentata nel suo intimo come un bimbo che si rigira nel grembo materno per uscire dapprima con la testa, finché all'improvviso uscì fuori alla luce, girando su sé stessa come una trottola, migliaia di volte in ogni istante, brillando e oscurandosi nel sole delle isole e nello sfolgorio del mare (...). Si dirigeva dritta verso il tuo cuore. (...) Alla fine esplose la gioia: deviata dalla linea retta, la pallottola passò tra il tuo petto e il tuo braccio sinistro e si perse in lontananza, uscendo dal nostro racconto".

La metaletteratura emerge da questo libro come uno dei temi: la gioia di narrare storie ispira l'autore che, in una digressione, entra in scena. Theodoros sta raccontando, in una delle sue lettere alla madre, di essere sfuggito alla morte per la miracolosa deviazione della pallottola che doveva colpirlo. E Cartarescu apre una lunga parentesi metanarrativa: "(Hai anche di che ringraziarci, Theodoros. Sei infatti al centro di questa narrazione e non potevi certo morire adesso, anche se avresti meritato di non essere mai nato. (...) E tu, sano e salvo, hai dimenticato, nella foga della lotta, di formulare i ringraziamenti che solo qui, nella lettera scritta a tua madre, ti sono venuti a fior di labbra)". Ci sono miriadi di libri sulla vita – scrive Cartarescu verso la fine – "uno per ogni mente nata in un cranio di un essere umano, perché ogni mente si avviluppa, simile al baco da seta, nel suo mondo, vissuto e sognato da essa, mentre noi scriviamo tutti i libri allo stesso tempo per mostrarli, con deferenza, al Grande Lettore che è il Tutto".

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