Un mare di oggetti 1. Il pedalò

8 Luglio 2023

Inizia oggi una rubrica estiva sugli oggetti dell'estate italiana.

C’è chi lo chiama moscone e chi lo chiama pattino (senza trascurare la variante di pedalò). Le due diciture convivono, anche se pattino è in uso soprattutto sul litorale ligure e tirrenico, mentre invece moscone è impiegato sull'Adriatico.

Secondo il Battisti - Alessio, uno dei più insigni dizionari etimologici della lingua italiana, il nome moscone deriva da moscolo, una voce di origine latina impiegata anche da Cicerone e da Seneca per indicare un piccolo naviglio, una imbarcazione leggera destinata al piccolo cabotaggio. Il termine moscone riferito al natante da diporto quale noi oggi lo conosciamo si è diffuso in area adriatica a partire dal XX secolo 

Di origine decisamente più recente, sempre secondo lo stesso dizionario, è invece la voce pattino che risale alla fine del XIX secolo e deriva da un sostantivo cinquecentesco, impiegato anche da Luigi Pulci con il significato di ciabatta. Fu attribuita al natante probabilmente per la sua forma curiosa, simile ad una ciabatta, appunto. Il primo a usare il termine pattino riferito al nostro barchino fu Policarpo Petrocchi nel suo Novo Dizionario della lingua italiana (Treves, Milano, 1891), ma la diffusione della voce è legata a Giuseppe Rigutini e al suo I neologismi buoni e cattivi, più frequenti nell'uso moderno (Barbera, Firenze, 1926).

Questo agile barchino a remi ha fatto la sua comparsa sulle spiagge europee alla fine dell'ottocento, in coincidenza con il capillare diffondersi del turismo balneare (nato nel vecchio continente tra sette e ottocento, come ci ha spiegato Alain Corbin in L'invenzione del mare: l'Occidente e il fascino della spiaggia, 1750-1840) al quale è destinato. Tuttavia, la sua esistenza è documentata in Spagna già nel 1871, quando a Barcelloneta, in Catalogna, si svolge “una regata de patines a remo (doble pala)”.

Il moscone/pattino è un natante (inizialmente costruito in legno, oggi in vetroresina), a remi, formato da due galleggianti detti siluri (oppure gondole, barchette, o gavoni) collocati in modo tra loro parallelo e collegati da traverse su cui si impostano due sedili che si fronteggiano, uno per il rematore, l’altro destinato ai passeggeri (quest’ultimo può anche essere un prendisole). Esistono anche versioni a quattro remi e persino esemplari a vela.

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In alto: 1930, Cattolica, Vassili Kandinsky in vacanza con sua moglie Nina Andreeslvkaja.
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1933, Castiglioncello, Massimo Bontempelli con Luigi Pirandello (il primo da destra con paglietta), Paola Masino, Silvio D’Amico (seduto) e l’attrice Maria Abba.
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1954, India, lago Sukhna, Pierre Jeanneret e Le Corbusier a spasso sul lago con il pedalò. 

Nel novecento era talmente diffuso sulla riviera romagnola che nell’estate del 1923 a Rimini uscì addirittura un settimanale ‘balneare’ intitolato Il moscone, con le caricature di Ardo (pseudonimo di Giulio Cumo). Nello stesso anno, il termine moscone comparve nella Guida di Rimini di Mario Becca: “[...] gli agili mosconi scivolano sotto i vigorosi colpi di remo dei vogatori dilettanti entusiasti.”

Ci sono alcune foto del 1930 che ci mostrano Vassili Kandinsky in vacanza a Cattolica con la moglie Nina Andreeslvkaja, mentre si diletta nell’arte della voga al moscone.

Persino Pirandello si fa ritrarre da un fotografo a bordo di un pattino. È il 1933 ed è sulla spiaggia di Castiglioncello in compagnia degli amici Massimo Bontempelli e Silvio D’Amico, Paola Masino e Maria Abba.

Se seguiamo invece i due cugini Jeanneret, li troviamo in India, nel 1954, quando, impegnati nel progetto di Chandigar, si concedono un momento di svago sul lago Sukhna, a bordo di un pedalò progettato per l’occasione da Pierre.

Ma è nelle calde estati italiane degli anni sessanta che il mito del moscone/pattino furoreggia, anche al suono di spensierate canzonette, come Stessa spiaggia stesso mare di Piero Focaccia del 1963:

Per quest'anno non cambiare
Stessa spiaggia, stesso mare
Per poterti rivedere
Per tornare, per restare insieme a te

E come l'anno scorso
Sul mare col pattino
Vedremo gli ombrelloni lontano, lontano
Nessuno ci vedrà, vedrà, vedrà.

Nel 1963, persino Natalia Ginzburg cita il pattino in Lessico familiare:

Era gelosa della Paola, che se ne andava via in pattino, in alto mare e non tornava mai.”

Né si può dimenticare la scena di Amarcord di Fellini (1973), in cui Gradisca, le scarpe in mano per camminare meglio sulla sabbia, dribblando ombrelloni e mosconi, fra le ovazioni dei maschi adolescenti, si avvicina al mare per ammirare meglio il passaggio notturno del transatlantico Rex, e infine si conquista una tribuna, sulla panchina di un moscone, da cui godersi lo spettacolo, aiutata a salirvi da un galante bellimbusto.

Purtroppo, a partire dagli anni novanta, il moscone/pattino viene sostituito da natanti da diporto più agili, più aerodinamici e più leggeri anche se assai meno romantici e la sua epopea finisce.

Le ultime foto che riguardano questo mito delle estati italiane risalgono al 2000 e immortalano l’allora Presidente della Repubblica Italiana, Carlo Azeglio Ciampi, prima vicino e quindi a bordo di un moscone donatogli dalla città di Rimini.

I mosconi/pattini superstiti, non più adibiti al diporto, sopravvivono ormai sulle spiagge esclusivamente come emblemi/strumenti di salvataggio.

Devo confessare che, negli anni sessanta, il mio futuro si è giocato su un pattino. Era l’estate della mia terza media e, come tutti gli anni, ero in vacanza con la mamma e mia sorella minore sul mare della Liguria. Un sabato, come tutti i sabati, papà ci ha raggiunte e siamo usciti in pattino a fare il bagno al largo come piaceva a noi. Quella volta, ancor più delle altre, lo avevo atteso con trepidazione perché mi avrebbe comunicata la mia iscrizione alla scuola superiore cui ambivo: il liceo artistico di Brera.

Ho ancora nelle orecchie il suono della sua voce, mentre mi dice: “Ti ho iscritta al liceo classico.”

Poi si è tuffato e si è allontanato a nuoto, agile come un delfino, mentre io, attonita sul beccheggiante pattino, lo guardavo andar via.

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