Valerio Nardoni. Capelli blu

13 Agosto 2013

Capelli blu, primo romanzo del critico e traduttore letterario Valerio Nardoni, si configura come il cortometraggio allucinato di un'avaria, la ricostruzione accidentata di quel momento in cui il meccanismo della vita gira a vuoto e si capisce che di lì a poco finirà per guastarsi.
Il libro è anche un giallo, sfumato di noir e di oniriche e traballanti indagini psicologiche.

 

Jilium – dal cognome Virgili, storpiato e rilatinizzato ai tempi della scuola – lavora come cassiere in un discount; è un giovane laureato di “quell’età in cui i calciatori iniziano a sembrarti dei ragazzini o allo sportello delle poste, anziché il contabile avanzato dall’Ottocento russo, c’è uno con l’orecchino anche lui”.

 

Mutilato da un'infanzia difficile e dall'abbandono dei genitori, Jilium si muove come un funambolo malfermo in accidentate zone di confine tra fantasia e routine; lì rimane incagliata la narrazione, oscillante tra la realtà enigmatica di un omicidio misterioso e quella mendace della mente del protagonista.

 

Il romanzo è strutturato secondo un fraseggio cinematografico e la telecamera si accende su una periferia indefinita: notturno con pioggia e luci natalizie a intermittenza. Suona la base di Trenta donne del West di Celentano.

 

 

 

Jilium sta tornando a casa quando trova davanti al portone una donna stesa per terra, qualche sussulto, vestiti bianchi e capelli blu. Disorientato la porta in casa, apre la sua borsa, crede di riconoscerla, ne sbircia i documenti, la osserva e la crede morta.

 

Quel che segue è incastrato in una spirale di inazione e annebbiamento che trascina gli eventi: Jilium esce di casa per chiarirsi le idee, guida fino all'indirizzo della ragazza, rientra in casa come un estraneo, risponde al cellulare della donna, si addormenta.
Il mattino seguente la ragazza non c'è più e gli eventi della notte prima sono un impasto di angoscia e allucinazione.
Il protagonista recita senza copione, inciampa sugli errori, si confessa e si confonde.
Contemporaneamente il tessuto narrativo si fa più sottile, permeabile a incertezze ed equivoci sino a sfilacciarsi, tanto da dover ricorrere a frequenti cambi di scena e a una voce narrante in terza persona che si fa carico dei pezzi mancanti.

 

L'intreccio si costruisce così sulla sovrapposizione di piani temporali, con frequenti flashback ed ellissi narrative che l'autore dice ispirati al Tarantino di Pulp fiction.
In una sorta di cut-up contenutistico, il corredo di richiami musicali (Celentano, Afterhours, Lolli...) e didascalie di matrice cinematografica guida il lettore lungo la trama destrutturata.
Si tratta di indizi sempre solidali e coerenti con la diffusa sensazione di instabilità e disorientamento, i quali però accumulano informazioni e temi che nel breve spazio della narrazione rischiano di apparire ridondanti o, al contrario, non sufficientemente sviluppati.
Così accade per qualche accattivante esca narrativa (tra cui gli stessi capelli blu del titolo),    penalizzata del veloce svolgimento del romanzo, quasi sbrigativo sul finale.

 

Seppur nell'innegabile abilità di gestire una scrittura confidenziale sempre aderente al contesto e una storia venata di surrealismo, introspettiva e latamente generazionale, giunti alle ultime pagine del romanzo sembra riuscito solo in parte il “tentativo di dire quella verità che mi minacciava sordamente, come nel mare uno scoglio a fior d’acqua”.

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