Speciale

Adolescenti nella rete. E-ducazione?

6 Dicembre 2013

Partecipo a un convegno di una certa rilevanza per il mondo politico e scolastico locale, organizzato secondo i più moderni dettami della comunicazione e dedicato al rapporto che i nostri giovani intrattengono con il mondo dei social network e delle nuove tecnologie.

 

Sono interessata, ogni volta che ho provato a mettere il naso nel mondo social degli studenti, adolescenti di un liceo di Scienze sociali (ora di Scienze umane), mi sono ritirata, urtata dal cattivo gusto generazionale: troppo narcisismo, troppo poco filtro, troppa ingenuità, troppo design di cattivo gusto, troppo radical kitsch. In linea, ma peggio, con quello dei miei coetanei trentenni.
In un avveniristico palazzo istituzionale si affollano politici di ogni rango, in completo scuro d’ordinanza accompagnati da segretariato tablet-munito; seguono diversi addetti stampa che fotografano e filmano tutto, poi docenti di scuola in ordine sparso con alcune classi di ragazzi/e.

 

Mission e cittadini protagonisti sono le parole più ricorrenti, a ogni intervento istituzionale segue lista (interminabile) delle autorità presenti, con saluto nominale; sono presenti quasi tutte le associazioni cittadine, credo manchino giusto i Fiorai trotzkisti e le Giovani marmotte. Gli interventi sono brevi e improntati al genere quel-che-dovreste-sapere-se-finora-avete-abitato-su-marte. Il digitale è una realtà, i nostri ragazzi stanno tanto in rete, Facebook in particolare è diffusissimo, sono nativi digitali e sono proprio diversi, non sappiamo niente di loro, il mondo è pieno di malintenzionati e i reati web-correlati sono tantissimi, il web non è un’associazione filantropica, siamo proprio sicuri che fornire tutti i dati a potenti multinazionali sia una buona idea, comunque è un’opportunità che non possiamo mancare perché tutti siamo in rete e non possiamo non essere iper-connessi e moderni.

 

Cattiverie sparse, ma bisognerà dovrà pur dirglielo: qualcuno zeppa le slide di power point di informazioni in corpo 8 o non attiva la modalità ‘presentazione’. La battuta migliore è del relatore che ci informa del fatto di essere ‘stato giovane e ribelle’; l’unico studente che interviene viene presentato con il solo nome di battesimo, Marco, di professione giovane.

 

 

Il momento più interessante è quando l’ospite principale presenta il suo libro: Facebook: genitori alla riscossa. Vademecum per non smarrire i propri figli online. Molto comunicativo e istruito nel public-speaking, si conquista l’attenzione dichiarando che mentre noi parliamo dei ragazzi che stanno su Facebook, i ragazzi presenti in sala sono su Facebook, proprio in questo momento. Il brusìo, che un tempo sarebbe stato reale, è stato sostituito da quello informatico. In effetti da quando siamo entrati non c’è umano (a dire il vero di ogni età) che non stia smanettando con il suo dispositivo digitale, a fare la differenza sono la nonchalance e la compostezza.

 

La rassegna di situazioni critiche dal cyberbullismo al sexting, dalla circonvenzione di incapace all’istigazione al suicidio all’adescamento di minori, colpisce il pubblico. Altri punti rilevanti e condivisibili: l’idea che il numero di ‘amicizie’ in rete venga intesa in senso numerico e confuso con l’idea di popolarità e celebrità. La mancanza di ragionevolezza che spinge a lasciare tracce incancellabili che marchieranno il proprio profilo a vita. Si conclude che i giovani sono molto competenti in rete da un punto di vista tecnico, ma sono comunque poco critici.

 

Che fare dunque? È ovvio che famiglie ed educatori dovrebbero essere più presenti e accorti nell’evitare di abbandonare i minori alla navigazione libera e spericolata con tutto quello che comporta. Il messaggio è rivolto ai genitori alla riscossa, in modo tale che l’educazione dei ragazzi all’uso dei media, non assente nelle intenzioni dell’autore, risulti subordinata a questi destinatari. Non sottovaluto il problema, in più il libro è documentato e molto tecnico e per molti genitori può essere una buona iniezione di principio di realtà.

 

Ma, a essere rigorosi come si conviene a chi fa il nostro lavoro, il quadro implicito che viene disegnato è il seguente: lo stato delle cose è un dato di fatto generato spontaneamente dalla natura e non un prodotto storico di un determinato modello di sviluppo, la cui genealogia è da ricercarsi nelle società post-industriali globalizzate.

 

La web-analysis è molto limitata, la sociologia della cultura del mondo adolescenziale/giovanile sostanzialmente assente; l’impianto degli interventi è istituzionale, legalistico, giuridico, vagamente paternalistico con qualche ovvietà sulla distanza tra adulti e giovani. Nessun ragionamento sulle cause e sulla società dis/educante in generale e sull’induzione della cultura giovanile dentro la società del consumo e del narcisismo, ad esempio. E non sto parlando di critica francofortese, ma di un’attenzione alla realtà sempre più necessaria (un esempio a caso, utile per insegnanti) in particolare nel momento in cui la questione dei Bisogni educativi speciali (BES) richiede competenze in termini di sensibilità, psicologia, pedagogia.

 

Nell’incontro di oggi non vedo progetti di educazione ai media, a fronte di una retorica dell’accesso libero e degli open data comunque e ovunque. Le risposte allora diventano i software per il parental-control, gli strumenti per tutelare i livelli di privacy, le perorazione a sconsigliare gli studenti dal lavare i propri panni in rete (ad esempio). In salsa 2.0 il discorso su cittadinanza e costituzione mi sembra, ancora una volta, appiattito su legge e ordine.

 

L’approccio visto in azione pretende di risolvere per via legale e dall’alto qualcosa che è culturale e complesso da afferrare. In più, il rischio è di imputare a un mezzo e a un ambiente cognitivo, come un social network, qualcosa che a che fare con logiche, agiti, contenuti, in questo caso aggressivi, insulsi e offensivi, che caratterizzano le società umane probabilmente dalle tavolette cuneiformi in poi.

 

Mi domando dove fossero i policy maker durante la colonizzazione dell’immaginario degli adolescenti, di cui si stigmatizzano i prevedibili effetti. Cosa abbiano fatto negli ultimi vent’anni le forze politiche per arginare l’analfabetismo relazionale che trasforma i social network in spazi virtuali pieni di immondizia. Cosa i genitori per insegnare ai figli piccoli a non stare alzati fino a tardi con i visi illuminati dagli schermi.

 

Riconosco che non sia facile cartografare gli oceani e che chiunque tenti di superare steccati generazionali così forti sarà sempre in ritardo: per parafrasare i saggi, non vediamo mai realmente ciò che gli studenti vedono; li vediamo vedere e nel migliore dei casi ci inoltriamo in una mediazione culturale che prevede un incontro, da qualche parte a metà strada. Ma non possiamo considerare i ragazzi alla stregua di contenitori vuoti che vengono invasati da qualcosa di esterno, da cui un agente altrettanto esterno li potrà salvare. Le logiche del web 2.0 implicano proprio l’attività soggettivante di chi crea realtà sociale, venendone ulteriormente modificato.

 

Ancora una volta in ritardo, ma l’educazione alle Tecnologie dell’informazione e della comunicazione è più che mai necessaria e deve vedere i ragazzi e le ragazze come soggetti attivi del processo di bonifica del proprio ambiente.

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