Artisti realisti / Alto là! Grigorij Šegal'. Il nuovo byt

19 Aprile 2017

Questa volta è una coppia di manifesti a essere protagonista. Entrambi dedicati alla condizione femminile in URSS e impostati sul didascalico accostamento di due realtà opposte, il bene da un lato e il male dall’altro, dunque esaminabili in parallelo. Il primo, realizzato nel 1929 dall’associazione degli artisti realisti, pone in primissimo piano una donna sovietica vista di spalle, sobriamente vestita come si comandava a una bolscevica responsabile ed esemplare.

 

 

Fazzoletto rosso rigorosamente annodato dietro la nuca per prendere le distanze dall’arcaico modello femminile contadino che lo legava sotto al mento, calze scure e pesanti, tacchi bassi, abito severo e braccio sinistro levato a indicare il monito che pare uscire dalla mano stessa della donna: Alto là! L’esortazione è rivolta all’universo negativo, ai residui della nuova politica economica e al mondo del capitalismo in generale, che nei primi anni del primo piano quinquennale staliniano ancora si facevano sentire e minacciavano l’edificazione del socialismo. Sul “marciapiede notturno”, così titolano i versi del poeta Dem’jan Bednyj che chiosano lo spazio scenico in basso a sinistra, sfilano i cattivi e i peccati. A troneggiare, in violenta opposizione con la figura femminile politicamente corretta, un’affascinante quanto volgare donna perduta: snella, elegante, truccata, con piuma sul cappello e sigaretta tra le labbra. Ai suoi piedi, ubriachi barcollanti, provocanti prostitute, laidi borghesi azzimati mentre le simboliche luci della città notturna illuminano la depravazione.

 

Una sola, ma significativa, strofa dalla poesiola dottrinale scelta per commentare e glossare le immagini:

 

Bisogna finirla con questa sozzura purulenta,

Bisogna risanare le città

Con la tempra proletaria

Del lavoro e della risolutezza femminile.

 

Di ben altro tenore poetico era stata due anni prima una composizione di Majakovskij dedicata a una fanciulla che si era avvelenata perché non possedeva scarpe di vernice come la sua amica Tanja, Marusja otravilas’ (Marusja si è avvelenata), e che per questa ragione era stata abbandonata dal fidanzato. Il titolo rimanda a una romanza appartenente al genere del cosiddetto folclore metropolitano, molto popolare prima della rivoluzione, tornata in auge con la NEP e invisa al potere sovietico, in cui si cantava il tragico destino di una fanciulla suicida per amore. La versione di Majakovskij si dichiarava ispirata da un fatto di cronaca e aveva offerto l’occasione per un violento attacco poetico alle tentazioni che il beau monde pseudo-capitalistico esercitava ancora pericolosamente soprattutto sui giovani proletari.

 

[…]

Canzonette così

Si insinuano

Nel cuore

Senza bisogno di scale.

Dove sta la patria

Di queste romanze dozzinali?

Là,

Dove i bianchi

Abbaiano come botoli?

No!

Questa canzone

È nata dalla nostra

Massa del Komsomol.

[…]

 

Il manifesto riprende questi accenti e questa problematica in chiave più divulgativa e invita la gioventù bolscevica a non lasciare spazio a rigurgiti di passato obsoleto e triviale, a rinnegare il culto del possesso, i sentimenti morbosi e decadenti, le mode basso-borghesi.

 

Il secondo manifesto, opera di Grigorij Šegal’ del 1931, riporta a sua volta una situazione di dualità comportamentale. In questo caso l’opposizione binaria è tra il vecchio e il nuovo all’interno della cultura russa.

 

 

Lo spazio scenico è diviso a metà diagonalmente. Sul confine tra i due mondi si erge la donna bolscevica che già abbiamo imparato a conoscere. Tutta in rosso con un abito in cui persino le pieghe rimandano al costruttivismo e con le stesse caratteristiche che contraddistinguevano la sua omologa nel manifesto precedente. A sinistra il vecchio byt, la quotidianità, la mentalità, il comportamento arretrato e reazionario che vedeva la figura femminile relegata in cucina a occuparsi di bucato fatto a mano, panni da stendere, piatti sporchi da lavare a fianco del famigerato primus, il fornello a benzina o kerosene che imperversava nelle residenze più povere e luride. Attraverso la porta che la rivoluzionaria spalanca, come per invitare la sua vessata compagna a compiere il salto che le cambierà la vita, si delinea il nuovo byt. Quello a cui inneggia la scritta multicolore: Abbasso la schiavitù delle cucine! Evviva il nuovo byt.

 

Questa fu una delle campagne più importanti e sentite dell’epopea bolscevica: combattere il filisteismo, i pregiudizi, le tradizioni superstiziose dure a morire, la volgarità compiaciuta, l’arretratezza. Il successo non sarebbe arrivato mai. Secoli di oscurantismo, tentazioni troppo invitanti per essere rifiutate, addirittura l’atteggiamento estetico-socio-politico dello stalinismo avrebbero contribuito a compromettere la bella utopia e la battaglia condotta fin dai primi anni Venti. In questo 1931 però ancora si combatteva e il manifesto illustra il futuro radioso che si schiudeva a portata di mano grazie agli investimenti del socialismo. Circolo operaio, nido d’infanzia, mensa collettiva, soleggiati impianti sportivi, parchi e la realtà che, più di ogni altra, avrebbe dovuto seppellire la schiavitù domestica: la fabbrica-cucina.

 

In queste strutture industriali, personale regolarmente stipendiato avrebbe prodotto migliaia di porzioni di cibo che sarebbero poi state distribuite nei posti di lavoro e nelle mense collettive che, nell’utopia architettonica del costruttivismo, si sarebbero dovute sostituire alle cucine individuali. Tutto in stile rigorosamente costruttivista e, nell’immagine che ci riguarda, seducentemente avveniristico. Basta con i tuguri. Basta con la sporcizia. Basta con la donna serva delle figure maschili. Basta con mogli schiave. Basta con le cucine simbolo di discriminazione. La storia testimonia che, purtroppo, questa ideale sperimentazione non sarebbe durata a lungo. I progetti architettonici che la dovevano sostenere sarebbero rimasti in grande maggioranza sulla carta. La coabitazione coatta avrebbe preso il posto dell’ideale di casa-comune in stile falansterio. Già a metà degli anni Trenta, Stalin avrebbe ribaltato la situazione ideologica e la guerra agli atteggiamenti borghesi e il conseguente auspicato nuovo byt sarebbero stati messi da parte in nome di nuovi principi.

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