Speciale

Arte contemporanea nello Zimbabwe

8 Gennaio 2016

Proseguiamo la collaborazione con Another Africa con il quarto articolo tratto da Tracing Emerging Artistic Practice e dedicato alla scena artistica dello Zimbabwe.  Buona lettura.

 

English Version

 

 

 

 

Houghton Kinsman

 

 

Dopo la lunga crisi economica che ha colpito lo Zimbabwe per buona parte degli anni Duemila, la scena artistica del Paese ha dovuto far fronte a una serie di importanti sfide infrastrutturali e finanziarie. L’instabilità del quadro economico, attenuatasi soltanto a partire dal 2009, ha portato alla chiusura di numerose gallerie, costringendo gli artisti a emigrare all’estero in cerca di nuove opportunità e maggiore stabilità.

 

Questo decennio di incertezza economica ha tuttavia agito da catalizzatore per la ricostruzione del panorama artistico del Paese. La necessità di una ristrutturazione ha infatti acceso i riflettori sulla scena artistica locale, dando vita a nuove iniziative come Village Uhnu, Voices in Colour e Njelele Station.

 

Gerald Machona, If You Travel East Far Enough You End up in the West and If You Go Far Enough West You End up in the East, 2012. Per gentile concessione dell’artista e della Goodman Gallery, Città del Capo e Johannesburg.

 

Vista la mancanza di percorsi formativi artistici a livello universitario, progetti indipendenti come questi sono particolarmente significativi. In assenza di istituzioni riconosciute e di un maggiore impegno a favore della formazione artistica, è a queste fondamentali iniziative che si rivolgono gli artisti. Come afferma il curatore Mtabisi Phili, di stanza a Bulawayo, “al momento possiamo solo ricorrere ai workshop per formare e ispirare gli artisti in erba”.

 

 

Il pensiero di Phili è condiviso anche dagli artisti che hanno dato vita alla First Floor Gallery di Harare. Nell’intervista pubblicata su Another Africa, essi hanno infatti espresso pareri analoghi, illustrando l’attuale stato delle pratiche artistiche emergenti nello Zimbabwe e le nuove sfide poste dal mutevole quadro economico del Paese.

 

Sul fronte internazionale, la partecipazione dello Zimbabwe alla 54ª Biennale di Venezia nel 2011 e l’allestimento del Padiglione nazionale nel 2013 hanno lasciato il segno, contribuendo a fare uscire il Paese da dieci anni di isolamento dal mondo artistico contemporaneo e a dare visibilità globale alle iniziative promosse a livello locale.

 

Questa maggiore consapevolezza globale ha acceso i riflettori su un gruppo di giovani creativi, tra cui Phili e gli artisti Kudzanai Chiurai, Misheck Masamvu, Virginia Chihota e Portia Zvavahera, quest’ultima premiata di recente a Johannesburg con il FNB Art Prize 2014.

 

Sebbene molti di loro abbiano iniziato o proseguito il loro percorso artistico in Sudafrica, essi rappresentano una nuova generazione di artisti emergenti, accomunati dal desiderio di “scrivere la propria storia”, afferma Raphael Chikukwa, curatore della National Gallery of Zimbabwe. Nel riconoscere l’importanza di questi artisti, Chikukwa osserva che essi sono “consapevoli di ciò che avviene a livello globale e ne traggono ispirazione”, ma soprattutto sono animati da ciò che egli chiama “il contesto locale”, ovvero i luoghi, i suoni e le atmosfere del loro Paese.

 

Al fine di tracciare una mappa delle pratiche artistiche emergenti nello Zimbabwe, illustreremo il profilo di altri tre artisti che si sono imposti all’attenzione della critica per l’importanza e l’impatto delle loro opere. Attraverso il loro linguaggio è possibile delineare alcune nuove prospettive e i contorni del contesto artistico locale.

 

 

Il ruolo dei giovani artisti zimbabwiani e il loro contributo a un discorso in continua evoluzione

 

Questi tre artisti rivestono un’importanza fondamentale nella scena artistica emergente dello Zimbabwe. Sia che operino a livello locale o in Sudafrica, Gerald Machona, Gresham Tapiwa Nyaude e Michele Mathison stanno ricevendo l’attenzione che la loro opera merita, continuando a interrogarsi su importanti temi culturali contemporanei come democrazia, intolleranza, conflitti sociali e degrado urbano, legati al crescente sviluppo dell’Africa meridionale e dello Zimbabwe in particolare. Nonostante la giovane età, questi artisti producono opere fortemente impegnate sia a livello sociale che politico, segno di una maturità che va ben oltre la loro età e che fa di loro dei protagonisti fondamentali della scena emergente zimbabwiana.

 

 

Gerald Machona

L’arte come forma di resistenza all’intolleranza e ai conflitti sociali

 

Gerald Machona, Ita Kuti Kunaye II (Make It Rain II), 2010. Per gentile concessione dell’artista e della Goodman Gallery, Città del Capo e Johannesburg

 

Rappresentato dalla Goodman Gallery in Sudafrica, Machona è noto per l’uso del denaro – soprattutto dollari zimbabwiani fuori corso – come materiale estetico, mettendo al centro della propria opera la recente migrazione della popolazione zimbabwiana a seguito del crollo economico e politico del paese. Utilizzando un approccio multidisciplinare, che spazia dalla performance alla scultura e al cinema, la sua opera affronta, tra le altre cose, questioni come migrazione, interazioni sociali e i recenti attacchi xenofobi in Sudafrica.

 

Gerald Machona. Ndiri barman II, 2010. Per gentile concessione dell’artista

 

Esplorando i concetti di “estraneità” e straniamento, Machona riflette su alcune delle più rilevanti questioni sociali dello Zimbabwe del XXI secolo.

 

Laureatosi in Belle Arti alla Rhodes University di Grahamstown in Sudafrica, Machona è stato annoverato dal Mail e dal Guardian tra i 200 migliori giovani sudafricani, visto che risiede e lavora in quel Paese. Nel 2011 è stato nominato dalla Johannesburg Art Fair e dalla rivista Business Day tra i migliori dieci artisti che operano in Sudafrica.

 

Gerald Machona. Fick Fufa, 2010. Per gentile concessione dell’artista e della Goodman Gallery, Città del Capo e Johannesburg

 

I suoi lavori sono stati esposti in numerose mostre, tra cui: The Beautyful Ones, Nolan Judin, Berlino; Making Way, Standard Bank Gallery, Johannesburg; US II, South African National Gallery, Città del Capo; e The Night Show, Goodman Gallery, Città del Capo.

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Gresham Tapiwa Nyaude

Riflessioni sul degrado urbano di Mbare

 

Gresham Tapiwa Nyaude, Victims of Propaganda, 2014. Per gentile concessione dell’artista e della First Floor Gallery, Harare

 

Cresciuto nel quartiere periferico di Mbare ad Harare, uno dei ghetti più famigerati dello Zimbabwe, Nyaude esprime attraverso la propria opera la sua esuberanza giovanile e l’influenza dell’ambiente urbano sulla sua pratica artistica. Utilizzando come mezzo principale la pittura, l’artista ricorre alla rappresentazione allegorica, all’astrazione e all’allucinazione per raccontare il suo legame con la realtà di Mbare, caratterizzata da un incessante fermento umano e degrado urbano.

 

La sua partecipazione nel 2013 alla 1:54 African Art Fair di Londra con la galleria First Floor testimonia la stretta relazione, sia formativa che commerciale, tra l’artista e la galleria. Il suo percorso artistico all’interno di questo spazio è un esempio dell’importanza di iniziative avviate da artisti zimbabwiani per far fronte alle sfide formative e istituzionali che investono gli artisti locali.

 

Gresham Tapiwa Nyaude, Victims of Propaganda, 2014. Per gentile concessione dell’artista e della First Floor Gallery, Harare

 

L’artista ha al suo attivo importanti mostre, tra cui: Dumela Word, Georgia, USA; Young Artist Exhibition, National Gallery of Zimbabwe, Harare; e Young and Awakening, Gorgan Museum, Iran. Rappresentato dalla First Floor Gallery di Harare, Nyaude ha inoltre partecipato alla Johannesburg Art Fair, Sudafrica; alla Liste Art Fair, Berlino; e alla 1:54 Contemporary African Art Fair, Regno Unito.

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Michele Mathison

La democrazia in Africa, una nuova condizione sociale

 

Michele Mathison. Dig Down, 2014, acciaio e smalto. Per gentile concessione dell’artista

 

Negli ultimi dieci anni Mathison ha lavorato come scultore sia nello Zimbabwe che in Sudafrica. Le sue opere indagano il valore degli oggetti quotidiani come simbolo e immagine dei recenti tumulti in Sudafrica, invitando lo spettatore a interrogarsi sulla relazione tra il singolo elemento e il tutto. La sua opera è inestricabilmente legata alla “nuova condizione sociale” dell’Africa meridionale, “i cui confini sociali e politici definiscono varie declinazioni politiche del concetto di democrazia in Africa [1]”.

 

Oltre ad aver rappresentato lo Zimbabwe alla Biennale di Venezia nel 2013, Mathison ha collaborato con Black Coffee per la realizzazione dell’installazione premiata con il Mercedes Benz Art Award nel 2009 e ha realizzato una serie di opere commissionate da Carvela a Johannesburg nel 2012. Ha fatto inoltre parte della Southern Guild della Everard Read Gallery di Johannesburg ed è stato segnalato dalla rivista Wanted per la sua partecipazione alla mostra Ext/Exile presso il Nirox Project Space di Johannesburg.

 

Michele Mathison. Revolution, 2014, legno carbonizzato. Per gentile concessione dell’artista

 

Michele Mathison. Breaking Ground, 2014, acciaio e smalto. Per gentile concessione dell’artista

 

Rappresentato attualmente dalla galleria Whatiftheworld di Città del Capo, ha al suo attivo numerose mostre, tra cui: HIFA, National Gallery of Zimbabwe, Harare; Black Coffee, Johannesburg Art Gallery, Johannesburg; e Visions of Zimbabwe, Manchester Art Gallery, Manchester.

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NOTE

 

[1] Michele Mathison, WHATIFTHEWORLD (http://www.whatiftheworld.com/artist/michele-mathison/).

 

 

 

Questo articolo fa parte della serie Next Chapter: Inquiries into emerging artistic practice di Houghton Kinsman.

Qui l'articolo su Another Africa

 

 

 

Traduzione a cura di Laura Giacalone

 

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