Speciale
Arte contemporanea in Ghana
Dal Ghana a Venezia e ritorno
All the World’s Futures, l’importante progetto curato da Okwui Enwezor per la Biennale di Venezia 2015, ha certamente offerto molteplici spunti di riflessione sociale e politica, dipingendo – o meglio, documentando – nello stile tipico di Enwezor, le innumerevoli complessità che il nostro pianeta, nel suo rapido processo di globalizzazione, è chiamato ad affrontare. Essendo Enwezor il primo curatore della Biennale proveniente dall’Africa, non sorprende che gran parte del dibattito sulla rassegna abbia coinvolto l’intero continente africano.
Ci è sembrata inoltre appropriata l’assegnazione del Leone d’Oro alla carriera all’artista ghanese El Anatsui: un degno riconoscimento per uno degli artisti più grandi del nostro tempo. Il premio ad Anatsui è stato inoltre un’occasione per volgere ancora una volta la mia attenzione alla scena culturale e artistica del Ghana.
Durante i lavori della Biennale, mi è tornato più volte alla mente un pensiero espresso da Sionne Neely, dell’organizzazione ACCRA[dot]Alt, in un’intervista di qualche mese fa: “Si fa strada tra gli artisti [ghanesi] un nuovo modo di concepire la promozione delle loro opere […] attraverso forme di collaborazione creativa […] e relazioni di scambio messe in atto per far fronte alle esigenze degli artisti”.
Il motivo per cui queste parole hanno continuato a riecheggiare nella mia mente è che rappresentano perfettamente il metodo e la qualità delle opere di Anatsui. Uscendo dall’Arsenale attraverso l’inquietante serie di sacchi di juta che compongono l’installazione di Ibrahim Mahama, mi è apparsa del tutto chiara la connessione tra passato e presente. Una connessione che emerge in sintonia con l’esperienza, espressa attraverso i concetti di ripetizione, serialità, riutilizzo dei materiali e la condivisione di un medesimo patrimonio culturale ghanese. Ma soprattutto, è stato lo spirito collaborativo di questi artisti a fornirmi le lenti attraverso cui guardare al futuro.
Questo intreccio tra passato, presente e futuro mi ha riportato alla mente le riflessioni di Walter Benjamin sull’Angelus Novus di Paul Klee. E mi ha fatto riflettere sul senso di collaborazione che emerge in molte delle conversazioni pubblicate all’interno della serie Next Chapter, soprattutto per ciò che riguarda il Ghana.
Dall’esterno, questa dinamica collaborativa sembra mossa da un senso di urgenza ancor più evidente. È proprio questo spirito a guidare ciò che sta accadendo attualmente in Ghana, come testimoniano eventi come il festival Chale Wote, organizzato da ACCRA[dot]ALT.
Evento artistico apertamente multidisciplinare, il festival unisce musica e moda, arte e performance, includendo perfino le corse in BMX. Ma l’elemento più significativo del suo successo riguarda la sua capacità di riflettere la vitalità della realtà contemporanea ghanese, testimoniando uno straordinario processo di contaminazione tra organizzazioni come Nubuke Foundation, Foundation for Contemporary Art – Ghana, Accra Theatre Workshop, il centro di ricerca culturale ANO, ACCRA[dot]ALT e il Museo della Kwame Nkrumah University of Science and Technology (KNUST).
Nella nostra intervista, la storica d’arte, regista e scrittrice Nana Oforiatta-Ayim, fondatrice di ANO, ha descritto la situazione con queste parole: “Non basta creare, occorre fornire il contesto e i paradigmi in cui inserire questa produzione creativa”.
Riconoscere questo senso di responsabilità collettiva è fondamentale per far fronte a carenze burocratiche, supportare pratiche artistiche emergenti e contribuire all’affermazione della scena ghanese come luogo di interessanti sperimentazioni.
Con questa consapevolezza, tracceremo il profilo di tre artisti ghanesi emergenti che si distinguono per vitalità, spirito di collaborazione e multidisciplinarità.
Il contributo degli artisti emergenti a un discorso in continua evoluzione
Pur operando attraverso pratiche del tutto personali e tra loro differenti, Kwame Asante Agyare, Larry Achiampong e Kwasi Ohene-Ayeh manifestano, in molti aspetti delle loro opere, una comune idea di collaborazione e multidisciplinarità. Sia che si tratti di Asante Agyare e delle sue sculture realizzate con lattine di latte, o di Achiampong e del suo lavoro di ricerca sugli archivi musicali, o di Ohene-Ayeh e della sua negoziazione tra il ruolo di artista e quello di curatore, ciascuna delle loro pratiche artistiche è dotata di una vibrante energia. La scelta consapevole di esplorare temi come pregiudizio, tradizione, lavoro e narrazioni condivise conferisce alla loro opera una maturità e un’urgenza che rendono questi artisti tra le voci più vitali della scena emergente in Ghana.
Opere di Kwame Asante Agayre.
Kwame Asante Agyare
Una riflessione critica sul rapporto tra realtà, originalità e autenticità
Kwame Asante Agyare utilizza lattine di latte riciclate per creare installazioni fatte di “tende e piccole automobili di latta”, riflettendo sui concetti di ripetizione e serialità. Ispirata all’opera del filosofo Jean Baudrillard, soprattutto alla sua teoria dei simulacri, la pratica di Agyare si interroga sul rapporto tra realtà, originalità e autenticità. È qui che si manifesta un’interessante dinamica tra gli interessi teorici di Agyare e l’uso dei materiali. La scelta di utilizzare materiali del tutto comuni, come le lattine di latte, costituisce una rappresentazione, e al tempo stesso una critica, della realtà quotidiana vissuta da molti ghanesi.
Come racconta l’artista in un articolo di Nana Osei Kwadwo, le tende e le automobili di latta “sono realizzate attraverso modelli di simulazione digitale. Il processo di realizzazione segue le logiche dell’ingegneria meccanica. Si tratta di una rivisitazione delle tende di bambù dei bar che si trovano lungo le strade del Paese, mentre le automobili di latta si ispirano ai giocattoli ‘fai da te’ comunemente utilizzati dai bambini ghanesi”. È all’interno di questo processo che prende forma un complesso dialogo tra realtà e artificio. I confini si confondono nel momento in cui – per costruire una piccola automobile di latta, resa viva attraverso l’immaginazione – si ricorre a un materiale utilizzato per contenere una forma vitale di nutrimento. Un materiale che fa parte “del rituale quotidiano della colazione”, afferma Asante. “Un processo ripetitivo e seriale tipico della nostra società”.
Kwame Asante Agyare si è diplomato in Belle Arti presso la KNUST e sta conseguendo la specializzazione presso la stessa università ghanese. Vive e lavora in Ghana, tra Tema e Kumasi. Tra le sue mostre più significative, tutte allestite in Ghana, si annoverano: l’installazione per la quinta edizione del Festival di Street Art Chale Wote (dedicato all’elettronica africana) nel 2015; The Gown must go to Town, presso il Museum of Science and Technology di Accra; e la mostra di fine anno della KNUST, presso la Nubuke Foundation, nel 2014. Le opere di Agyare sono inoltre apparse su ACCRA[dot]ALT, all’interno del progetto Imago Mundi e nel concorso Barclays l’Atelier in Sudafrica.
Opere di Larry Achiampong.
Larry Achiampong
Tradizione e identità nell’era post-digitale
Utilizzando performance, installazione, collage e musica, l’artista anglo-ghanese Larry Achiampong – scrive Derica Shields – “reinterpreta il patrimonio di stimoli visivi e sonori che ha ereditato”. Lo stesso Achiampong descrive la sua pratica artistica come un percorso esplorativo volto ad indagare “le “rappresentazioni identitarie nell’era post-digitale e le dicotomie di un mondo dominato dalla cultura di Facebook, Tumblr e YouTube”.
Achiampong vive e lavora a Londra. Tra le sue opere più note vi è Cloudface, ispirata al tema dell’identità razziale. Protagonista di una performance alla Tate di Londra, l’opera segue un precedente collage fotografico intitolato Glyth e testimonia l’interesse di Achiampong per la rappresentazione identitaria. Rievocando il Golly della Robertson’s, il personaggio di V e la maschera di Guy Fawkes in V per Vendetta e il Laughing Man della serie Ghost in The Shell, Cloudface offre lo spunto per riflettere sul tema del pregiudizio nelle sue molteplici forme. L’elaborazione concettuale di Cloudface conferma inoltre la rilevanza dell’eredità culturale, evidenziata da Shields, nella pratica artistica di Achiampong.
L’interesse per la ricerca archivistica ha origine nell’infanzia dell’artista, segnata dallo spazio fisico della biblioteca, intesa come luogo di produzione e diffusione del sapere. “Essendo cresciuto in una realtà in cui la rilevanza di quel luogo era ancora sostanzialmente integra”, racconta Achiampong nell’intervista condotta da Shields, “l’interesse per gli archivi, la storia e il racconto mi è stato trasmesso in maniera naturale”. Oltre che in Cloudface, questo interesse si manifesta anche in Meh Mogya e in More Mogya, un progetto sonoro che punta a ricostruire la tradizione musicale ghanese attraverso i dischi dei genitori dell’artista. Un progetto nato anche per indagare “come sia possibile riprodurre le sonorità classiche della musica highlife” in un’epoca dominata dalla tecnologia.
Nato nel 1984, Larry Achiampong si è specializzato in scultura presso la Slade School of Fine Art di Londra. Alla sua opera si sono interessati, tra gli altri, Hyperallergic, BBC Radio, OkayAfrica e ThisisAfrica. Oltre alla performance presso la Tate, altre mostre di rilievo includono: Wir Sind Alle Berliner – ICI/SAVVY Contemporary, Berlino (2015); Diaspora – Victoria and Albert Museum, Londra (2015); More Mogya – BAPMAF, Accra (2013); Late at Tate Britain: Afrodizzia – Tate Britain, Londra (2010); e dOCUMENTA 13 – Hauptbahnhof, Kassel (2012).
Opere di Kwasi Ohene-Ayeh.
Kwasi Ohene-Ayeh
Identità e ambiente costruito
Artista e curatore, Kwasi Ohene-Ayeh si caratterizza per una pratica artistica eclettica, che include installazione, performance e progetti site specific dal forte impegno sociale. Vive in Ghana e il suo interesse principale è l’esplorazione delle “ambiguità dei sistemi di segni e dell’identità sociale contemporanea di Accra”. Le sue opere sono da lui stesso descritte come espressione di una costante negoziazione per acquisire rilevanza “in un mondo di immagini e idee”.
Dal momento che Ohene-Ayeh lavora sia come artista che curatore, la sua opera presenta un interessante dilemma. Non solo vi è una complessa sovrapposizione tra usi curatoriali e artistici dello spazio, ma vi è anche una precisa negoziazione dell’autorità. Egli concepisce la relazione tra curatore e artista come una forma di “collaborazione”, sottolineando come essa “spesso evochi una narrazione di potere tra artista e curatore”; di conseguenza, aggiunge Ohene-Ayeh, “non tutte le forme di collaborazione sono produttive”. All’interno della sua pratica, questa dinamica produce una fruttuosa relazione con lo spazio fisico. Nel processo di negoziazione tra questi due ruoli, Ohene-Ayeh esamina l’ambiente costruito per riflettere sulle “identità effimere che assumiamo quando ci muoviamo attraverso lo spazio fisico, interno ed esterno”.
Nel progetto Untitled 3… [Letter to the Sky] – che fa parte della serie Prison Anxieties ed è stato realizzato durante un programma di residenza presso il centro Lugar a dudas di Santiago de Cali in Colombia – egli prende in esame “toccanti storie di violenza, morte, fuga, transizione e desiderio di libertà che fanno parte del passato coloniale del Ghana”, creando una connessione tra il quartiere di San Antonio, dove si trova il centro, e quello ghanese di Ga-Mashie, attraverso storie di invasioni, traffici e violenze comuni ai due Paesi.
Nato nel 1986, Kwasi Ohene-Ayeh si è diplomato in pittura presso la KNUST nel 2009 e si sta specializzando in Belle Arti presso la stessa università ghanese. Oltre che presso il centro Lugar a dudas, Ohene-Ayeh ha partecipato ad altri programmi di residenza presso il centro d’arte contemporanea (CCA) di Lagos e ha frequentato il corso di formazione Curatorial Intensive organizzato dall’Independent Curators International (ICI) a Marrakech. Tra le mostre curate: Voyage of [Re]Discovery – Ussher Fort Prison e Nubuke Foundation Gallery, Accra, 2015; Silence Between The Lines: Anagrams of Emancipated Futures, organizzata da Ɛyε Contemporary Art e dalla Facoltà di arte della KNUST in Ghana. Tra le personali più importanti, Dear Dakar, realizzata in occasione dell’11ª Biennale Dak’Art.