Autismo: oltre le statistiche

13 Maggio 2014

Il 2 aprile scorso si è celebrata la giornata mondiale dell'autismo e per tutto il mese si sono svolte manifestazioni sull'argomento in tutta Italia. Il 16, presso il Dipartimento di Scienze Umane e Sociali, dell'Università di Bergamo, si è svolto il Primo Congresso Internazionale “Le frontiere dell'Autismo oggi”, che ha visto la partecipazione di oltre 250 persone.

Negli ultimi anni abbiamo condotto ricerche storico-antropologiche sull'autismo. Ci interessava conoscere il viaggio svolto da questa parola, autismo, fin da prima della sua esistenza. Eravamo un gruppo composto di psicologi, filosofi, antropologi e medici e abbiamo creato a una pubblicazione curata da Conny Russo, Michele Capararo ed Enrico Valtellina: A sé e agli altri. Storia della manicomializzazione dell'autismo e delle altre disabilità relazionali nelle cartelle cliniche di San Servolo (Mimesis, 2013).

 

A sé e agli altri


Cominciammo chiedendo all'Archivio Psichiatrico di San Servolo (Venezia) di osservare le cartelle cliniche tra il 1880 e il 1940, con l'idea di trovare osservazioni di bambini e adulti che oggi chiameremmo autistici. Il primo interesse della ricerca era individuare quale fosse la diagnosi prima che la parola “autismo” venisse usata come diagnosi.

In questi anni l'interesse per l'autismo è cresciuto a dismisura: inflazione diagnostica. Fino al penultimo manuale psichiatrico la sindrome riceveva due nomi differenti a seconda che fosse grave – nel qual caso si riteneva accompagnata da ritardo mentale – oppure lieve. La sindrome di Asperger, o autismo lieve, prevede “intelligenza normale”, a volta “superiore” alla norma.


Con il nuovo manuale, il DSM-5, l'autismo si trasforma in uno spettro. Agli occhi un po' ingenui degli estensori lo spettro indica un continuo lungo il quale si delineano gradienti di gravità maggiori o minori. La parola “spettro” è però paradigmatica di una certa inquietudine. La usarono anche Marx ed Engels come apertura del loro Manifesto: “Uno spettro si aggira per l'Europa, questo spettro è il comunismo”, ricordate?


L'autismo inquieta più per il modo in cui è stato trattato negli anni dalla società moderna che per la propria carica rivoluzionaria. Si sono inventate descrizioni tanto affascinanti quanto discriminanti, fantasie fiabesche. Tutto molto pittoresco. Tuttavia mai condizione esistenziale, malattia, disordine – chiamatelo come volete – ha ricevuto tale accanimento terapeutico senza che fosse necessario. Ricapitolerò brevemente questa storia, che fin dalle origini vede due opinioni diagnostiche così lontane l'una dall'altra.

Due psichiatri infantili usano contemporaneamente nel 1943 il termine autismo come sostantivo diagnostico: Leo Kanner (1894-1981) e Hans Asperger (1906-1980). Entrambi mutuano il termine da Eugen Bleuler (1857-1939) che l’aveva già usato come aggettivo. Per Bleuler l'autismo è il sintomo di una forma di schizofrenia. Mentre Kanner considera l'autismo una sindrome di estrema gravità, Asperger lo considera una condizione non grave, una difficoltà nello sviluppo infantile. Kanner e Asperger, entrambi austriaci di origine, non si conoscono, e sembrano ignorare i reciproci studi e le reciproche esperienze cliniche. Asperger scrive in tedesco, Kanner, che lavora a Baltimora, in inglese. La ricerca di Asperger viene ignorata fino a quando è tradotta in inglese, quasi cinquant'anni più tardi.


Kanner considera il disturbo una grave forma di psicosi in cui, oltre a un ritardo mentale, si presentano movimenti ripetitivi simili a ecoprassie, che sono movimenti ripetuti come a simulare un gesto. Questi bambini si muovono per ore, come stessero pregando, dondolandosi avanti e indietro. Questo dondolio rituale, secondo Kanner, è elemento differenziale tra ritardo mentale e autismo. L'autismo mostra segni “inquietanti” di disturbo della relazione. Kanner pensa a una forma infantile di schizofrenia.


La posizione di Asperger è molto differente. Il suo saggio Psicopatia autistica nell'infanzia esprime in modo chiaro una valutazione positiva. Se Bleuler usa il termine autismo per designare un sintomo della schizofrenia, Asperger sostiene: “A differenza dei pazienti schizofrenici i nostri bambini non mostrano disintegrazione della personalità. Quindi non sono psicotici”.


Asperger presenta alcuni casi clinici. Il primo di questi è Fritz V., inviato alla Clinica psichiatrica Universitaria di Vienna dalla scuola all'età di sei anni, considerato ineducabile. Asperger si sofferma a lungo a descrivere la famiglia di Fritz. Racconta di una derivazione familiare di poeti e intellettuali da parte materna, poi descrive le difficoltà di relazione madre/bambino quando la madre lo accompagna alla clinica:

Per esempio: molto caratteristiche erano le circostanze in cui madre e bambino si recavano insieme all'ospedale scolastico, ognuno per sé. La madre ciondolava con le mani dietro la schiena, apparentemente fuori dal mondo. Inoltre il ragazzo correva qua e là combinandone di ogni. Davano l'impressione di non avere affatto a che fare l'uno con l'altro. Difficile non pensare che la madre avesse difficoltà non solo con il figlio, ma con le cose pratiche della vita quotidiana.

I casi descritti da Asperger mostrano gli stessi dondolamenti avanti e indietro che rileva Kanner; anche gli autistici di Asperger entrano in relazione con difficoltà, però Asperger definisce questi bambini piccoli professori. Non vediamo madri frigorifero, vediamo una madre sola, isolata dal mondo, in difficoltà. Asperger si limita a osservare un tipo d'interazione fatalista.

Le osservazioni di Asperger rilevano che il bambino autistico presenta sensibilità elevata, benché differente dalla norma. Se in alcuni casi l'autismo trova riscontro in una difficoltà nel legame con i genitori, secondo Asperger bisogna farsi carico di questi legami. I casi seguiti da Asperger hanno evoluzioni sorprendenti sul piano scolastico e anche relazionale, pur rimanendo sempre incerti; quelli di Kanner, al contrario, sono casi senza miglioramento.
 
A seguito delle teorie di Kanner, Bruno Bettelheim (1903-1990) inventa un trattamento basato sull'idea che i genitori, sopratutto le madri, siano colpevoli di essere fredde e distaccate, di avere vocazioni intellettuali narcisiste, che non permettono loro di dare sufficiente affetto ai figli.
Le teorie di Kanner e Bettelheim hanno, per un periodo, un vasto seguito. Poi la rivolta dei genitori che si sentono accusati; si parla di accanimento terapeutico.

La maggioranza delle famiglie con bambini autistici si rivolge a terapie comportamentiste. Con il comportamentismo si assiste a un ipercoinvolgimento espiatorio e messianico della famiglia, che crea forme di attaccamento patologico e la promessa di rendere il bambino quanto più simile a un modello di normalità rassicurante. L'accanimento terapeutico verso l'autismo rimane dominante.

Di recente però, dal momento in cui molte persone autistiche hanno cominciato a descrivere ai neurotipici – questa è la diagnosi cui i “normali” vengono identificati – la loro condizione, si è creato un movimento identitario tramite il cyberspazio. Il più importante di questi movimenti, fondato dalla sociologa australiana Judy Singer, sostiene che la società moderna, a immagine di una maggioranza di neurotipici, non è in grado di ascoltare, comprendere, saper aspettare le prese di turno nella conversazione tipiche della neurodiversità, inoltre sostiene che la neurodiversità umana è una manifestazione di biodiversità.

Si tratta di diagnosticare una società febbrile, scandita da ritmi e incontri troppo ravvicinati, incapace d'intervalli, che pretende omogeneità e opprime la differenza. Da alcuni anni i convegni sull'autismo diventano interessanti soltanto se ci sono persone autistiche che spiegano come siano fatti i neurotipici e come mai non siano in grado di ascoltarli. Nel frattempo la diagnosi di autismo si diffonde e i dati statistici internazionali mostrano quadri preoccupanti.

Sarà vero? Le opinioni sono varie, l'unica cosa certa è che l'autismo è riuscito a mettere in crisi la bufala delle scienze sociali occidentali, il modo migliore per apparire “scienziati” senza neppure un briciolo di pensiero: la statistica. Non quella vera, che merita grande rispetto, bensì quella specie di riduzione al chi quadrato che va di moda tra psicologi e sociologi.

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