Il gioco di Gilles / Breve trattato sull’arte involontaria

5 Ottobre 2019

Intorno al 350 a.C. un navigatore che ci è noto come Pitea il Marsigliese partì per un viaggio che l’avrebbe portato fino alla favolosa isola di Thule e che descrisse in un libro perduto, Sull’Oceano, di cui ci sono arrivate solo citazioni da autori successivi come Strabone e Poilibio, che accusarono Pitea di essersi inventato tutto. Tra resoconti di viaggio e letteratura fantastica il confine è sempre stato molto incerto. Cosa hanno visto veramente i viaggiatori? Cosa invece hanno inventato o immaginato di vedere? Quando anche il resoconto è perso, il mistero diventa ancora più emozionante. Certo è che quelle visioni, vere o immaginate, hanno da sempre fortemente influenzato la realtà, non solo spingendo altri a partire, ma soprattutto contribuendo a dare forma al mondo descrivendo l’ignoto nei termini del meraviglioso. Si pensi solo alla Collectanea rerum memorabilium di Gaio Giulio Solino, vissuto intorno al 250 a.C. che con le sue descrizioni di meraviglie ha ispirato tutto l’immaginario del Medioevo e trovato una insuperabile visualizzazione nella mappa del mondo del Liber Chronicarum di Hartmann Schedel, stampato a Norinberga nel 1493. 

 

Hartmann Schedel, Liber Chronicarum, 1493.


È in questa grande tradizione che mescola il resoconto di viaggio e la raccolta di meraviglie che si potrebbe a buon diritto inserire il Breve trattato sull’arte involontaria di Gilles Clément, proposto da Quodlibet nel maggio 2019. È una raccolta di impressioni di paesaggio, attimi irripetibili che Clément ha colto in giro per il mondo e fermato in una descrizione, un disegno, una fotografia. L’autore chiama arte involontaria “il felice risultato di una combinazione imprevista di situazioni o di oggetti organizzati conformemente alle regole d’armonia dettate dal caso.” Sono tracce, segni involontari della presenza dell’uomo che hanno necessità, per essere svelati, della presenza di uno sguardo. “È nello sguardo che si costruisce il paesaggio, ed è nella memoria che ha la sua dimora. (…) L’arte involontaria si insinua tra le faglie del tempo. Sfugge alle classificazioni e, come tutto ciò che esita davanti a troppa luce, aggira le prevedibili radure della buona creanza, se ne sta all’ombra, selvatica.”

 

Tracce. Una pietra nel deserto, M’Hamid (Marocco). Disegno di Gilles Clément.

 

Voli. Teli di protezione, Noidan, Cote d’Or (Francia). Foto di Gilles Clément.


Clément propone una classificazione che ha il sapore del gioco. Nel suo donarci questi sguardi, sembra volerci invitare a proseguire ognuno coi propri, sviluppando quell’attenzione al presente che è tipica di un certo pensiero tradizionale orientale. L’attimo presente. Ogni visione vive per quel momento, svanendo irrimediabilmente e inesorabilmente nel flusso incessante del tempo. Ma lasciamo che sia lui stesso a descriverci le otto categorie che individua. 

Voli e Accumuli toccano i settori dell’assolutamente aleatorio, a cominciare dal più inafferrabile degli attori: il vento. Non tramite quanto esso scolpisce, bensì attraverso ciò che sposta. In questa categoria si possono anche annoverare tutte le materie amorfe, le sostanze di diversa granulometria, la cui tendenza è quella di defluire, come fanno la sabbia e l’acqua. 

Isole si pone tra il solido e il fluido, parla di emergenze isolate che drammatizzano un carattere privato della loro natura.

 

Installazioni. Erevan, strada di Masis (Armenia). Foto di Gilles Clément.

 

Apparizioni. Giardino di Pamplemoussess, Isola Mautitius (Repubblica di Mauritius). Foto di Gilles Clément.


Costruzioni e Erosioni procedono di pari passo, alludono al lavoro dell’uomo sul suo territorio, e, nell’uno come nell’altro caso, sembrano sfuggire a una decisione definitiva. L’intenzione in atto è tuttavia rilevabile, e può giungere fino a:

Installazioni, termine oggi utilizzato per designare un vero e proprio lavoro artistico nello spazio, cui quelle dell’arte involontaria si limitano a somigliare.

Tracce interseca i variegati campi del desiderio e del caso. È il terreno delle incertezze. Vi si possono annoverare tutte le opere che non trovano posto altrove.

Apparizioni si riferisce all’effimero incontro di forme e colori che, nel tempo di una foto, trasforma i componenti dello spazio in un quadro possibile. Si tratta sempre di esseri animati.”

 

Voli. Piana di Marrakech (Marocco). Foto di Gilles Clément.

 

Voli. Stazione di Bari (Italia). Foto di Gilles Clément.


Come ogni classificazione a posteriori, è aleatoria e serve unicamente a soddisfare il nostro bisogno di classificare per allontanare la sensazione di non riuscire a controllare il mondo, ma mi piace pensare che Clément, che per chi non lo conoscesse è una delle voci più autorevoli del pensiero sul paesaggio contemporaneo, abbia voluto proporci un gioco. Si tratta di andare in giro, ovunque voi siate, ma con gli occhi bene aperti, prestando attenzione a ciò che si vede, facendo di ogni attimo un momento irripetibile e unico e di coglierlo lasciandolo dov’è, fissandolo in una foto, un disegno, una descrizione. In un secondo momento, ogni giocatore potrà comporre il proprio personale album di arte involontaria, magari aggiungendo categorie a quelle proposte dall’inventore del gioco o stravolgendole completamente. D’altra parte è di un altro francese il motto che potrebbe riassumere il senso del gioco di Gilles e che in italiano suona “Il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell’avere nuovi occhi.”

 

Voli. Mahambo (Madacascar). Disegno di Gilles Clément.


Il libro è pieno di immagini e di disegni e sono proprio questi a colpire maggiormente. Il tratto di Clément è spezzettato, tratteggiato, indefinito e quindi l’unico possibile per rendere immediatamente il senso di transitorietà del momento che si cerca di fermare, in questo senso è preciso ed evocativo nello stesso tempo. Le fotografie non possono prescindere dal retroterra culturale che forma la sensibilità di ogni europeo colto, da Magritte al Quattrocento italiano, dall’arte astratta fino all’immagine che documenta una performance. Leggendo le brevi e a volte lapidarie descrizioni salgono alla mente le visioni di paesaggio di Basho, pietre, piante, vento e animali prendono completamente la scena e si adagiano indisturbate nell’animo dell’osservatore, che, pur partendo da contesti culturali lontani nel tempo e nello spazio, ha raggiunto il medesimo stato di vuoto, condizione necessaria per potersi lasciare colmare dalla bellezza inaspettata.  

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