Cerco un centro di verità permanente
Talvolta le notizie arrivano con un peso specifico particolare, differente dal consueto: sono quelle in cui insieme alle informazioni vengono veicolati messaggi che tendono a rimuovere le certezze alle quali la nostra vita si era radicata. In questo caso la risposta alle notizie può essere quella di resistergli, di negarle per non perdere le proprie certezze, le proprie abitudini. Ci si abitua del resto alla vita... (Moravia diceva che "con un po’ di attenzione si può anche non morire") così come le comunità e le società tendono ad adagiarsi all'interno dei propri valori, convinzioni, regole, consumi.
La notizia che lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro, emanazione dell'Organizzazione mondiale della Sanità) aveva inserito le carni rosse lavorate in classe 1 tra i fattori cancerogeni è arrivata lunedì 26 Ottobre insieme al caffè e come uno schiaffo per i distratti lettori delle home page dei giornali on line e dei portali. Alla sera e nei giorni successivi la notizia era su tutti i telegiornali e sulle prime pagine dei quotidiani. Decine di trasmissioni ed esperti hanno allargato il tema, specificato, rincarato la dose, fornito spiegazioni e distinguo, attenuato... Due sostanzialmente gli elementi della dialettica: la spiegazione della notizia ma subito dopo e insieme la "difesa" dalla stessa notizia; in mezzo il lettore e lo spettatore alla disperata ricerca di un centro di gravità permanente. Già... troppe volte del resto la scienza ci ha abituato a certezze che non sono poi tali, a una loro evoluzione, così come ci ha abituato a verità relative... dunque a centri di gravità fragili e mutevoli. Quali strumenti dunque per capire davvero? Quali anticorpi per resistere alla notizia? Quali rimedi, eventualmente?
Innanzitutto l'inserimento in classe 1 – sostanze sicuramente cancerogene – significa essere in compagnia dell'amianto, degli idrocarburi policiclici aromatici, dell'alcool etilico, delle aflatossine, delle radiazioni ultraviolette, o passando dai singoli agenti al "prodotto", la classe 1 è quella del fumo della sigaretta, dell'eternit, dei superalcolici, dei prodotti di combustione di benzina e gasolio... No, senza dubbio quella arrivata nei giorni scorsi dall'OMS non è stata una buona notizia.
Resterebbero comunque due aspetti da considerare. Quello delle dosi in cui le "carni lavorate" diventerebbero cancerogene e come questi studi vengono condotti, come queste ricerche vengono avvalorate. E qui in realtà il gioco si fa duro... perché non esistono facili certezze o tanto meno semplificazioni. Proviamo...
L'Organizzazione mondiale della sanità ha considerato un grande numero di studi (oltre 800) in cui veniva monitorato il consumo di salumi e carni lavorate e il loro impatto sulla salute dell'uomo, in particolare sul loro possibile ruolo cancerogeno. Le risultanze emerse sono che al maggiore consumo di tali prodotti corrisponde una maggiore incidenza di tumori al colon retto e altri tipi di tumore. Una maggiore incidenza, vale a dire una maggiore probabilità di ammalarsi. Ma probabilità non vuol dire certezza ed è in genere questa la prima difesa che si ha la tentazione di opporre alle presunte verità statistiche proposte dalla scienza. In realtà quella della verità statistica, probabilistica, è una verità di cui tenere sempre un grande conto perché spesso è l'unica che possiamo attribuire al mondo vivente, sia questo un essere umano, un’ameba o un fiore. In biologia non esistono verità assolute traducibili in misure esatte "ora e per sempre" e per tutti. La biologia non è la fisica e il mondo vivente è quello che nella filosofia antica veniva definito "divenire", ben distinto dall’"essere", ovvero il mondo delle realtà incorruttibili. La variabilità biologica ci rende tutti diversi, nei capelli, nella forma del naso come nella sensibilità a quella o quell'altra malattia. Per questo, quando un numero elevato di osservazioni distribuite statisticamente su campioni molto grandi dice che un determinato alimento favorisce il cancro al colon retto... beh questa notizia è di quel tipo che non può essere negata perché acquisita attraverso l'unica verità (misurabile) che possiamo attribuire al mondo vivente, una verità che per quanto sia probabile, statistica, rimane tale per via dei grandi numeri che azzerano le differenze individuali.
Nessuna negazione difensiva dunque, piuttosto l'attenzione può e deve spostarsi verso la qualità delle carni lavorate (per OMS le carni lavorate sono quelle "trasformate attraverso processi di salatura, polimerizzazione fermentazione, affumicatura o sottoposte ad altri processi per migliorarne il sapore o aumentarne la conservazione"). Troppo generica questa categoria per distinguervi un prosciutto di Parma da un würstel industriale, un lardo di Colonnata da una salsiccia anonima e ancor di più una carne in scatola: tecnicamente tutte carni lavorate, che restano tuttavia tra loro distanti anni luce nelle materie prime, nelle tecniche di produzione, nelle tradizioni...
Già, le tradizioni... sono loro l'altro elemento in gioco seppure non si voglia introdurre nessun concetto salvifico artificiosamente risolutore della discussione. Come peraltro è stato fatto forse in questi giorni per la "dieta mediterranea" che difensori dei salumi e delle carni lavorate si sono affrettati a inserire nel dibattito mediatico. Nessun concetto salvifico dunque, ma se le origini della nostra alimentazione e il suo equilibrio – si chiami dieta mediterranea o altro – nascono nel passato e attraverso la selezione compiuta attraverso le generazioni, è anche alle tradizioni che bisogna guardare...
Del maiale è tutto mangiare è motto che si perde nella memoria dei secoli. Indica l'animale che più di ogni altro è stata "dispensa e tesoro", spesso unica fonte proteica di origine animale distribuita in tutto il corso dell'anno, senza dimenticare che di maiali se ne allevava al massimo uno in famiglia. Era il principale, cronicamente scarso e regolato "companatico" (insieme ai formaggi all'interno e al pesce sulle coste) in un’alimentazione ricca soprattutto di vegetali, di ortaggi, di legumi, di cereali minori. Perché il vero segreto dell'alimentazione mediterranea era la varietà e nessun ingrediente, tanto meno di origine animale, era prevalente sugli altri. Nessun cristiano nella lunga epoca della società contadina e preindustriale rischiava di andare cronicamente in "overdose da salumi"; companatico occasionale insieme ad altri, erano pochi grammi di salumi al giorno quelli che la disponibilità media attribuiva ad ognuno. Lontanissimo dai "50 gr di carne lavorata (pari a due fette di beacon ) quotidiani che secondo le indicazioni OMS oggi alzerebbero del 18% l'incidenza del tumore al colon retto. Le dosi, le quantità, la regola, l'assenza o la presenza di altri alimenti protettivi... ecco altri elementi di verità. Ma sono giorni industriali e post industriali i nostri... in cui nonostante una varietà alimentare mai così ricca, la maggior parte dei consumatori si intrattiene con un’alimentazione monotona, perché eccedente di grassi e proteine animali, di zuccheri semplici, povera di fibra e alimenti vegetali, vale a dire esattamente il contrario del modello alimentare mediterraneo. In definitiva, non si può prescindere dalle dosi, dalle quantità, dall'assenza o la dalla presenza di altri alimenti protettivi, dall'insieme di regole che da sempre hanno costruito le virtù dell'alimentazione mediterranea ben prima di ogni riconoscimento (dal 2010 per l'Unesco è Patrimonio immateriale dell'umanità). Ecco dunque che come lo erano nei giorni della tradizione, così ai nostri giorni i salumi dovrebbero essere solo un alimento tra i tanti, odierni "tesori " per il piacere come un tempo lo erano per la nutrizione.
Infine, ulteriore elemento di verità, di estraniamento o di consolazione – a seconda del nostro punto di vista e dell'inclinazione – bisogna ricordare che mangiare per noi onnivori è sempre stato un rischio... scegliere il cibo è del resto un "marker di specie" come le ventitré coppie di cromosomi; nelle nostre vite scegliere il cibo è sempre una decisione tra desideri, impulsi ed esigenze diverse, talvolta divergenti. Soprattutto scegliere il cibo è mediare sempre tra "rischi e virtù" degli alimenti, perché non esiste nessun alimento che a qualunque dose sia solo benefico o solo dannoso. Sono circa quaranta le sostanze nutritive essenziali (indispensabili) per il nostro organismo. Quaranta "buchi" nel metabolismo e quaranta sostanze essenziali per colmarli. Quaranta nutrienti che non potremo mai trovare in un solo alimento ma neanche in due, tre, quattro... bensì attraverso un’alimentazione il più possibile variata perché solo nella massima varietà abbiamo la massima probabilità (sì, ancora la "maledetta" dimensione statistica) di assumere ciò che ci serve. Scegliere dunque nella maggiore varietà possibile, consapevoli che anche in alimentazione è vero che alla fine "di doman non c'è certezza"...
Così, da sempre "setacciamo il creato" alla ricerca del buono, cercando di evitare il male: è il destino di noi umani... e la cultura tutta (anche le tradizioni, anche quella di scomodi "lontani" studi scientifici) è lo strumento più importante per non sbagliare, per orientarci nella natura e nel creato, per cercare il nostro "centro di verità permanente".