Mina e Tognazzi / Cremona città felice

21 Gennaio 2018

Era da un po' di tempo che non facevamo gite, zingarate per la provincia italiana. Così, quando ho saputo che a Cremona era in corso una mostra dedicata al Genovesino, pittore nato appunto a Genova, ma che conobbe la sua gloria nella prima metà del Seicento proprio a Cremona, il richiamo è stato irresistibile. Approfittando del periodo natalizio, il collaudato quartetto ha solcato la Bassa in un giorno feriale per raggiungere la mostra che ha sede (fino al 4 febbraio) nella bella pinacoteca civica Ala Ponzone. Scoperto dal Longhi, approfondito dall'allieva cremonese Mina Gregori, Luigi Miradori detto il Genovesino è un signor pittore, come risulta da questa bella mostra, la prima monografica che gli viene dedicata. Dotato di tecnica prodigiosa, di pennellata al tempo stesso accurata e velocissima, non ha un genere particolare dove rifulge: penetranti i ritratti, sorprendenti le composizioni e le scene d'insieme che potrebbero illustrare i chiaroscuri del Seicento spagnolesco dei Promessi Sposi. Suo capolavoro il “Riposo dopo la fuga in Egitto” dove ritorna il tema delle rovine e, cent'anni prima del Tiepolo, gli angeli sono scaraventati giù dal cielo.

 

Fondamentale nelle nostre gite è la scelta del ristorante. La nostra piccola Spectre ci aveva inondato di indirizzi. Difficile mangiar male da queste parti! Senza esitazioni abbiamo scelto il Bar Sport di Costa San Abramo, una frazione a dieci chilometri dal centro di Cremona. Bar certo, ma soprattutto trattoria dove, appena arrivati, ti portano qualche fetta di salame a precedere i marubini in brodo, o meglio ai tre brodi (gallina, manzo, maiale), con la nota di sapore del ripieno data dal salame cremonese. A seguire il lesso (che arriva dalla cucina), accompagnato dalla salsa verde ma soprattutto dalla celebre mostarda cremonese. Si beve un buon rosso della casa che buscia un po'. È passato troppo poco tempo dalle libagioni natalizie per proseguire col raccomandato budino, ci accontentiamo del caffè e degli ottimi biscottini che l'oste, l'affabilissimo Beppe, ci porta con generosità. L'ambiente piuttosto semplice ma lindo espone nelle fotografie in bianco e nero alle pareti alcune glorie locali. Tralascio l'Inter del primo Moratti e mi concentro sulle foto di Ugo Tognazzi (un tempo si diceva che fosse la quarta T di Cremona, dopo Turòon – il torrone – Turàs – la torre campanaria – Tettass – i generosi seni) e di una giovanissima Mina, la "tigre di Cremona". Mina e Tognazzi: il contributo cremonese all'Italia felice del boom economico.

 

 

Torniamo in città: ci aspetta la visita del Duomo, dove ci sono altri due Genovesini, mentre altri due sono nel palazzo Comunale lì di fronte. Ero già stato a Cremona e avevo già visitato il Duomo. Eppure non ne ricordavo la malìa infinita: è un proseguimento della piazza, un luogo dove si potrebbe sostare per ore, certo per ammirare le sculture, le decorazioni dei cicli pittorici opera di grandi artisti tra cui i Genovesini mali illuminati, ma è lo spazio che mi colpisce. Enorme, diviso in tre navate, raddoppiato da un soffitto altissimo, e prolungato da una cripta dove hanno sede le tombe dei santi Marcellino e Pietro. Si respira l'aria delle chiese di una volta: preti confessori, sacrestani, guardiani. Tutta una popolazione che formicola in mezzo ai pochi turisti. Penso che potremmo unirci e trascorrere un'intera giornata senza annoiarci. Invece usciamo e rinunciamo ad ascendere i 502 gradini del Torrazzo per cercare invece gli ultimi Genovesini – a questo punto ci siamo entusiasmati e vogliamo vederli tutti – nel palazzo Comunale. Li troviamo. Sono nella sala dei matrimoni, a fianco della sala consiliare coi suoi velluti rossi. Si gira liberamente con nessuno che ti controlla. Grande è la fiducia dei cremonesi nei visitatori, starei per dire nell'uomo in generale. In mattinata avevo fatto un rapido giro per il centro, con tante via ancora acciottolate e i bei palazzi antichi che proseguono con qualche esempio liberty. 

 

I ragli di Farinacci, il violento ras locale, giungono ahimè fino a noi, non tanto negli edifici, ormai assorbiti dalla storia, ma nell'urbanistica con piazze fuori misura e ambizioni sproporzionate per una città in cui la testata del suo quotidiano ne rappresenta l'identità: La Provincia di Cremona. Ci incuriosisce però un massiccio edificio in mattoni rossi dove ha sede il Museo del violino (che non visitiamo, ma promettiamo ad Antonio Stradivari in persona di riparare il torto al più presto). È opera dell'architetto napoletano Carlo Cocchia – suoi sono lo stadio San Paolo e una parte della Mostra d'Oltremare a Napoli – cominciato nel 1941-2 e terminato a guerra finita, quando Farinacci, suo massimo sponsor, era stato passato per le armi dai partigiani e che pare abbia esclamato: "Portatemi a Cremona. Lì vi diranno che ho fatto del bene". Storie ormai lontane, anche se qualcuno se le ricorda ancora. Prima di andar via non possiamo sottrarci agli acquisti gastronomici nella magnifica salumeria Zilli, lì di fianco, e poi lungo via Solferino nella storica pasticceria Lanfranchi proprio di fronte a Sperlari che ha commessi con l'aplomb di certi negozi di Londra.

E il Po? D'inverno viene buio presto. Torneremo. 

Come abbiamo fatto a star lontani da Cremona così a lungo?

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