Speciale

Curiosità. Affacciarsi sulla soglia

25 Giugno 2023

Apro la porta. Un uomo sulla soglia mi guarda senza dire nulla, pochi minuti sospesi in attesa che lo faccia entrare. È solo l’avvio di un incontro possibile, quella presenza davanti a me investe il mio sentire. La voce che mi aveva consultata al telefono si è materializzata nella persona davanti a me. 

Sembra inutile presentarsi, è scontato che siamo noi, i due che hanno già una piccola storia di approssimazione, consumata in assaggi interattivi che hanno portato a definire il tempo per una prima seduta. Da quel momento sono in presenza di elementi di conoscenza viva, che possono illuminare e oscurare il portato effettivo della domanda di aiuto che ricevo. L’attrazione per quello che ancora non so e il desiderio di rendermi conto della situazione mi fa prestare attenzione al ritrarsi dal mio sguardo di quell’uomo, all’impaccio nella frontalità, all’inibizione della parola e ai primi passi a scatti nell’entrare. Mi muovo in risonanza emotiva e gli parlo prima ancora che quei primi segnali emergenti dall’interazione divengano oggetto di riflessione e ricerca propria di un lavoro analitico. Quella sintonizzazione mi orienta ad agire in tempo reale, a definire con lui il primo contatto e il setting di lavoro più appropriato per l’inizio della terapia. 

La scena che ho proposto esemplifica il potenziale conoscitivo di una forma naturale di esplorazione dell’ignoto attraverso una prima non sempre consapevole organizzazione dei dati percepiti che si attivano nella risonanza intersoggettiva e ambientale. La curiosità mobilita, spinge e guida nell’interazione. Il bisogno di conoscere e di dare senso a quanto accade in noi, fuori di noi e intorno a noi sta alla base dello stesso processo costitutivo ed evolutivo di noi stessi in relazione all’altro. La curiosità riguarda un movimento bio-psichico e mentale, che precede qualsiasi ipotesi di ricerca, che si attiva in modo tacito, teso al rendersi conto di quanto si vive e si può esplorare oltre. Il campo di applicazione, l’uso che se ne fa, può avere una connotazione non sempre positiva ma perseguire scopi dispersivi e intrusivi. Nello specifico del lavoro psicoterapeutico è importante distinguere una concezione positiva della curiosità da quella negativa, altamente disturbante e impropria. 

La curiosità positiva è quella del bambino, una curiosità pura senza secondi fini, alimentata dal desiderio di scoprire e conoscere, guidata dalla sensorialità e dall’affettività di base. Riappropriarsene da adulti richiede un interesse autentico per la scoperta e una radicalità del sentire che va conquistata, eludendo schemi taciti e strutture precostituite del nostro conoscere. 

L’esperienza clinica conferma gli esiti produttivi e creativi del procedere “affacciandosi sulla soglia” di ciò che si può intravedere, sentire, ascoltare e osservare al fine di aprire altre vie di esplorazione e ampliare o smentire le pre-concezioni. La curiosità, inoltre, come funzione psichica di movimento utile a mobilitare nuove consapevolezze di sé e altro da sé, viene appresa dal paziente stesso con effetti di arricchimento, di scambio ed elaborazione di materiali utili alla cura. 

La curiosità, nella cura, fa sorgere domande inedite nella ricerca condivisa di ciò che ancora non si conosce e che risulta inafferrabile verbalmente o non spiegabile in rapporto a ciò che si vive e si sente. Ascolto e osservazione sono strumenti del mestiere per uno psicoterapeuta, la curiosità li mobilita in una direzione che precede un’ipotesi di lavoro. Così una domanda che arriva spontanea in noi a volte produce un effetto sorprendente, apre scenari nuovi e sprigiona la forza di portare a interrompere e ricodificare un processo che non stava dando l’esito atteso. La curiosità ci guida in scenari complessi alla ricerca della sintonizzazione con i sogni narrati dai pazienti, con gli incubi ad occhi aperti ed esperienze dissociative. Naturalmente non mi riferisco alla curiosità come esercizio intrusivo del terapeuta ma come modalità esplorativa che può essere condivisa ed accrescere la capacità stessa del paziente di porsi delle domande semplici, spontanee, apparentemente incongrue o inopportune, utili a saperne di più, a portare l’indicibile alla parola. Ecco che esplorare insieme parole, fatti, sogni proposti dallo stesso paziente come “curiosi”, cioè strani e fuori contesto rispetto alla rappresentazione che ha della propria organizzazione psichica, può far cogliere qualche connessione nuova e generare discontinuità nelle relazioni interne ed esterne del sé, con altri e con l’ambiente.

La ricerca di Jaak Panksepp sul rapporto fra i sistemi emotivi primari, radicati nelle strutture sottocorticali mediali del cervello dell’uomo e degli altri mammiferi, e le funzioni cognitive «superiori» localizzate nelle aree della neocorteccia, ci permette di collocare la curiosità come combinazione tra le due organizzazioni emozionali di base di seeking e playing

La psicologia ha tratto da quella ricerca scientifica un impulso importante considerando altri spazi d’azione nel comprendere gli aspetti biologici delle connessioni tra corpo, cervello e mente nei trattamenti dei disturbi psichici. Ciò ha portato ad arretrare nell’analisi al pre-simbolico e all’inconscio tacito che non ha subito alcuna rimozione e continua ad essere presente nella memoria corporea e non di rappresentazione. Nella psicoterapia il metodo ha affinato le vie per accedere alle esperienze affettive primarie e attivare nell’intersoggettività della relazione terapeutica la possibilità di vivere esperienze emotive correttive. 

La spinta vitale che vediamo nel bambino alla conquista del mondo si esprime in una curiosità precognitiva con cui esplora ogni cosa e la sperimenta giocandovi. Proprio in quella curiosità precognitiva alberga la possibilità della psicoterapia di accedere all’intuizione sul portato implicito del disturbo e sul da farsi che precede l’ipotesi di ricerca e azione che poi si potrà concepire e concordare a livello cognitivo. Quando la depressione non mobilita più niente, il gioco può riattivare il contatto con qualche elemento vitale e generare stupore, agganciare un desiderio di scoperta. Così quando si è bloccati da un procedere solo cognitivo con eccesso di intellettualizzazione a difesa della paranoia che quanto accade fuori da sé produce, abbiamo bisogno della leggerezza di altre vie di conoscenza con un codice affettivo diverso. 

Posso testimoniare che nel mio mestiere la curiosità va vagliata e si sta spesso sulla soglia per essere certi che quella curiosità sia davvero a sostegno dell’altro, volta cioè ad aumentare la capacità dell’altro di esplorare la propria condizione e non prenda la forma di una curiosità che potrebbe invece uccidere la domanda dell’altro, come effetto di una violazione. 

L’affidamento dell’altro impone di prestare attenzione a quella soglia che si fa subito netta nel momento in cui si esprime nell’azione, nel gesto e nella parola. Il livello di sintonizzazione raggiunto dalla relazione psicoterapeutica va a regolare la curiosità di entrambi, terapeuta e paziente, marcando ciò che è possibile o no in quel momento del processo di cura.

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