Voci dall’Italian Thought / “Effetto Italian Thought”

7 Luglio 2018

Con la fondazione di una collana editoriale (Materiali IT) presso un editore che già si era dimostrato in precedenza particolarmente attento agli sviluppi e alle (auto-)riflessioni della e sulla filosofia italiana, vale a dire Quodlibet di Macerata, il movimento che negli ultimi anni si è consolidato sotto l’etichetta doppia Italian Theory/Italian Thought (quest’ultima denominazione accettata per lo più in Italia da chi riconosce in Roberto Esposito il ‘padre fondatore’ del movimento, la prima, invece, più amata all’estero, in virtù del diretto effetto di risonanza e continuità con la French Theory) trova anche un organo di espressione, per così dire, ‘ufficiale’. Di quanto quest’ufficialità sia all’insegna della plurivocità lo testimonia il fatto che i primi tre volumi della collana sono dedicati a temi estremamente diversi (Machiavelli, i rapporti tra decostruzione e biopolitica, e – appunto – l’‘effetto’ Italian Thought), pur non essendo, tra loro, divergenti. Il tentativo di ‘aprire le porte’ dell’Italian Thought a una serie di contributi che ne pongano in questione l’essenza, potremmo dire, senza però metterne in dubbio l’esistenza, appare essere il compito (e il merito) principale che si pone fin dall’inizio Effetto Italian Thought, a cura di Enrica Lisciani-Petrini e di Giusi Strummiello.

Il volume collettivo, infatti, raccoglie in tre sezioni contributi tra loro molto diversi, e spesso anche critici nei confronti dell’‘oggetto-IT’ (sigla utilizzata per oltrepassare la dicotomia ItalianTheory/Italian Thought di cui sopra), ma che comunque colgono la sfida a ragionare su questa entità, e a partire da essa e con essa.

 

Nella prima sezione sono raccolte le voci eminenti di Roberto Esposito, Toni Negri, Mario Tronti e Remo Bodei. I primi due contributi (Esposito e Negri) sono esplicitamente in dialogo, il che rende appassionante la lettura di quella che può considerarsi come una sorta di intervista reciproca. Il fulcro del dialogo ruota attorno ai temi dell’affermazione e della negazione, su cui si riflette sia come entità filosofiche, che come figure del politico.

La questione affermazione/negazione innerva, come un filo rosso nascosto, molte delle pagine del libro (essa viene esplicitamente tematizzata nella terza sezione, grazie a un lucido intervento di Massimo Villani, che prende le mosse proprio da Negri ed Esposito) e fin dall’inizio si pone come una questione di urgenza filosofica. Se per Esposito, infatti, lapidariamente, “il negativo esiste” (p. 30), questo significa che non si può pensare la politica (e la filosofia) solo dal punto di vista dell’affermazione (come farebbe, secondo Esposito, Negri), ma anche dal punto di vista della negatività. Questa negatività, di cui Esposito constata il “ritorno in grande” (p. 25), non sarebbe altro che (tra le altre cose, ma nel momento attuale, in maniera principale) la questione della sovranità. Questione centrale, perché essa mette in questione, per la prima volta ‘da destra’, le dinamiche di globalizzazione economica, ponendosi come risposta eminentemente politica – pur ‘in negativo’ – a un problema economico. Negri, dal canto suo, non risponde direttamente alla provocazione di Esposito, quanto la rovescia: non sarebbe – la sua – una filosofia priva del negativo, quanto, quella di Esposito, una priva del ‘positivo’, che nelle parole di Negri prende il nome di “ontologia del comune” (p. 39). Negri sposta e – per così dire – ‘sminuzza’ la questione del negativo, che per lui, di volta in volta, è sia “la proprietà privata” (p. 40) che “il nulla, quello che non è costruito dall’uomo” (p. 39).

 

 

Che Negri resti ‘troppo affermativo’ (nel senso qui, di ‘troppo fiducioso nelle concrete potenzialità rivoluzionarie della moltitudine delle forme di vita dei lavoratori’) è opinione anche di Mario Tronti: “Toni […] pensa sempre che ci sia la rivoluzione in marcia” (p. 45), e per questo Tronti se ne distanzia, facendosi portavoce di una visione ‘negativistica’ della storia, che però assume tonalità diverse dalle analisi sul negativo di Esposito. Per Tronti è la storia stessa ad essere fatta di interruzioni, passi indietro, cadute, ri-(e)voluzioni e controrivoluzioni: “Io, invece, penso che la storia non sia questa linea diretta evolutiva, ma sia qualcosa di più complicato, fatto di fermate, rotture, di ritorni indietro e che ogni passaggio implichi anche che accada anche qualcosa di non positivo. Quello che rimprovero, non solo a persone come Negri, ma a tutto il pensiero ufficiale della sinistra contemporanea, è proprio questa mancanza di conoscenza, di consapevolezza del tragico della storia umana – che, invece, è presente in tutto il grande pensiero conservatore” (p. 45). Tronti, per così dire, tra affermazione e negazione, si pone sul crinale: da un lato comprende il negativo della storia, dall’altro cerca di ‘fare’ il positivo della politica: “L’abilità politica, allora, non consiste nel prevedere, ma nel reagire al fatto imprevisto nel modo giusto. […] La crisi della politica è questo: un difetto di autorità, più che di rappresentanza” (p. 51). A livello filosofico il punto delle analisi di Tronti (vale a dire vale a dire il tentativo di pensare l’autorità non come ‘negativo’, ma come il ‘positivo’, come ciò che è propriamente ‘politico’) non viene ripreso nel libro, cosa che invece meriterebbe, e che forse rappresenta un possibile spunto per approfondimenti futuri. Anche la quarta voce ‘eminente’ della filosofia italiana chiamata in causa nella prima parte del libro, Remo Bodei, insiste sulla necessità di fare “attenzione al concreto” (p. 59), e rivendica questa concretezza strutturale, questa attenzione alla praxis, come cardine della filosofia italiana, che parte dal Rinascimento per arrivare a Croce e Gramsci. Con Bodei il libro passa da un registro (riassumendo: quello delle riflessioni autonome di importanti filosofi italiani sul tema del politico, messo in relazione alle categorie di ‘affermazione’ e ‘negazione’) a uno diverso: la riflessione su aspetti specifici e peculiari della filosofia italiana. 

 

Questi vengono tematizzati principalmente dai saggi che compongono la seconda e terza sezione del volume, che rappresentano un momento, per così dire, ‘metariflessivo’: gli autori riflettono sia sull’esistenza/consistenza dell’IT, cercando, al contempo, di applicarne le categorie a oggetti di studio specifici.

L’IT – se si dovesse riassumere – è quella particolare linea di fuga del pensiero filosofico-teorico italiano, che, partendo da Machiavelli, unisce in una costante dialettica i temi della vita e della politica (intesa primariamente come conflitto). Questa tematizzazione, operata da Roberto Esposito in maniera seminale nel suo Pensiero Vivente (Einaudi, 2010) ha creato un grande, duplice, dibattito. Da un lato ci sono state (molte) voci che si sono chieste se la caratterizzazione (teoretica e cronologica) del ‘canone italiano’ di Esposito corrisponda a realtà: ossia se da questo canone siano state estromesse figure inaggirabili, se le sue direttive teoriche individuate siano effettivamente le principali del pensiero italiano, se – infine – la localizzazione geografica (“l’italianità”) possa essere in qualche modo filosoficamente fondata: fanno parte dell’IT solo i filosofi nati in Italia? Vissuti in Italia? 

A queste domande, a parere di chi scrive, non solo è difficile dare una risposta, ma anche poco utile: l’operazione teorica di Esposito, come ogni determinatio, implica anche una negatio: ossia la chiusura di molti altri orizzonti.

 

Questo ci porta al secondo segmento del dibattito: vale a dire a quello sviluppato da coloro che – pur non accettando in toto l’IT come un’entità teoreticamente omogenea o completamente convincente nella sua prima formulazione espositiana – ne hanno compreso l’attualità e le possibilità di sviluppo. È l’IT come “strumentario di lavoro” (p. 256), come possibile “propulsore di un modo di pensare” (p. 259), secondo le efficaci espressioni di Enrica Lisciani-Petrini, che hanno recepito coloro che sono entrati a far parte del dibattito sull’IT non da una prospettiva principialmente critica, ma internamente discorsiva.

Il carattere positivo e propositivo di questa interna discorsività si vede in quei contributi (Susanne Stewart-Steinberg e Claudio Minca) che affrontano direttamente il problema della consistenza teorica dell’IT. La prima, con una mossa ermeneutica legittima e teoreticamente fondata, critica all’IT di aver fatto di uno dei propri cardini teorici un concetto di ‘vita’ che non prevede l’inconscio (p. 76). 

Il secondo si pone su un livello pragmatico, ‘lavorando’ con lo strumento IT al di là della sua completa consistenza teorica. Minca porta ad espressione il punto di vista di uno scienziato sociale – un geografo – sull’IT, rilevandone il potenziale applicativo in altre branche del sapere che non siano immediatamente filosofiche. È il senso di quella “cassetta degli attrezzi” a cui facevamo riferimento in precedenza, vale a dire della possibilità di utilizzare la gamma di autori e temi individuati come IT per comprendere e analizzare oggetti di ricerca specifici: Minca riporta come – ad esempio – il concetto di ‘campo’ usato da Giorgio Agamben abbia dato una svolta importante al campo di ricerca della geografia (p. 118).

Su un punto di vista ‘applicativo’ si attestano anche il saggio di Federico Luisetti e quello di Greg Bird. Il primo, dedicato al tema dell’Antropocene (pp. 149-160), affronta una questione che potrebbe a prima vista sembrare estremamente estranea all’IT.

 

Luisetti, invece, riesce a coniugare Antropocene e IT in maniera convincente: dopo aver contestualizzato le sue coordinate teoriche di riferimento nella prima parte del contributo, egli si dedica all’analisi di alcune figure di pensiero di Pier Paolo Pasolini in Petrolio. Qui, secondo l’autore, è possibile inserire le forze vitali-mitologiche (il “geontopotere” [p. 157]) evocate da Pasolini in alcuni appunti programmatici sulla conclusione di Petrolio, nell’orizzonte di quella necessità di creare una nuova – secondo le parole di Bruno Latour citate a p. 152 – “teologia politica della natura” che l’Antropocene ci chiederebbe, vale a dire un nuovo orizzonte narrativo entro cui inserire l’epoca in cui l’uomo è diventato un fattore decisivo nel mutamento geo-climatico del pianeta.

Il secondo contributo ‘applicativo’, quello di Bird, invece, ‘provoca’ il binomio immunitas/communitas di Esposito tramite le teorie ‘relazionali’ della comunità di Donna Haraway (pp. 208-210), per chiedersi in conclusione, quale possa essere lo statuto ‘pratico’ di una biopolitica che si voglia affermativa: “Quanta negatività può sostenere una biopolitica affermativa, prima di diventare tanatopolitica?” (p. 216).

Più ‘classici’ rispetto a questi ultimi due contributi appaiono quelli di Felice Cimatti e Federica Giardini: essi, più che ‘applicare’ o ‘questionare’ l’IT cercano di ricostruire dei percorsi filosofici propriamente italiani a partire dalle questioni avanzate nei testi di Esposito: Cimatti ricostruisce una genealogia del pensiero della vita nella filosofia italiana del linguaggio, che si pone sull’asse tracciato da Aristotele-Vico (p. 98) e che fa dell’attenzione alla lingua ‘vissuta’ nella sua corporeità il suo cardine. Giardini, invece, ricostruisce i rapporti tra femminismo italiano e pratiche politiche, mettendo anch’essa al centro la questione della vita. Questa categoria viene posta ‘in questione’ dal punto di vista (di critica) della psicoanalisi e di contestualizzazione storica: Giardini sottolinea, infatti, come sia pensabile (e da pensare) “un’alternativa alla questione delle relazioni di potere” (p. 165), quindi una configurazione storica diversa, a partire dal ripensamento della relazione pre-edipica madre-figlia.

 

Un’attenzione critica al concetto di vita nell’IT viene posta anche nel bel saggio di Sabino Paparella (pp. 231-252). Qui l’autore – cercando di porre l’IT in dialogo con le teorie di Slavoj Žižek – pone anch’egli la questione dell’inconscio come necessario pendant di un concetto di vita che, senza di esso, apparirebbe monologico e monocratico, in una parola: senza negativo. D’altra parte, se l’inconscio può essere pensato come un negativo ‘interno’ alla vita, il negativo ‘esterno’ ad essa non possono che esserne le condizioni di insorgenza: vale a dire – ancora una volta – la storia e la politica che fanno da sfondo alla vita. Essa non può mai essere una vita completamente ‘nuda’, astratta, ma è sempre concreta, cioè incarnata in un preciso contesto storico-relazionale. Su questo tema della vita, intesa sempre nella sua concretezza storica, politica e relazionale, si concentra anche l’interessante tavola rotonda tra Adalgiso Amendola, Paolo Napoli, Dario Gentili ed Elettra Stimilli (pp. 175-206), per allargarsi poi ad altri temi centrali dell’IT: come quelli del diritto, della biopolitica, dell’uso e dell’economia. 

 

Questi ultimi sono quelli che pone al centro delle proprie riflessioni anche Laura Bazzicalupo, situandosi col suo intervento all’incrocio tra i temi della teologia politica e della teologia economica, due dei molti altri assi possibili per interpretare l’IT e per leggere anche il volume in questione. Bazzicalupo, infatti, analizza il tema del ‘credito’ e dei suoi rapporti con l’orizzonte teologico (ossia del credo come “credenza”), da un lato ponendosi come voce alternativa rispetto alle teorie teologico-politiche di Agamben espresse in Il regno e la gloria (Bollati Boringhieri 2007), dall’altra come ramo parallelo agli studi sul debito di Elettra Stimilli (Il debito del vivente. Ascesi e capitalismo, Quodlibet 2011).

Il volume si chiude con una postfazione in cui Enrica Lisciani-Petrini rivendica per l’IT il ruolo, come già anticipato, di “cassetta degli attrezzi”: uno strumento per analizzare il presente, e per poter ragionare anche in altri campi del sapere – da un lato –, ma anche uno strumento utile alla riflessione su se stessa da parte della filosofia italiana – dall’altro. 

Se riuscirà a mantenere fede a questo suo ruolo concreto, di strumento mediatore di istanze eterogenee, l’IT non può che avere si fronte a sé un ruolo importante nei futuri dibattiti teorici, sia in Italia che all’estero.

 

“Effetto Italian Thought”, a cura di E. Lisciani-Petrini e G. Strummiello (Quodlibet 2017).

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