Makers and the city

12 Settembre 2014

Nei primi anni ’80 un gruppo di ricercatori dell’University of California Los Angeles e dell’University of Southern California, indagano sui processi di ristrutturazione urbana. A partire dalle osservazioni empiriche sulla città di L.A. questi studiosi (noti come Scuola di Los Angeles) costruiscono una serie di importanti asserzioni teoriche su come le città si sviluppano nella società del tardo capitalismo.

 

La Scuola di L.A. integra una visione post-moderna della società con alcuni concetti dell’analisi marxista centrati sullo sviluppo diseguale: la città viene interpretata come radicalmente diversa, conflittuale e aperta, come uno spazio che produce regolarmente rotture, crisi e cambiamenti. Come nota Walter Nicholls, ricercatore in sociologia presso l’Università di Amsterdam, la città diventa quindi un “open field” in cui operano diverse forze sociali ed economiche che possono intrappolare il tessuto urbano in spirali di sviluppo diseguale, o innalzarlo in periodi di forte crescita.

 

Così le teorie marxiste e post-strutturaliste si combinano nei lavori degli studiosi della scuola di L.A. per cercare spiegazioni della frammentazione sociale, spaziale e simbolica nelle città del tardo capitalismo.

All’interno della scuola si distingue Michael Storper che, insieme ad altri ricercatori, studia le dinamiche economiche della città, le economie di agglomerazione e la flessibilità.

 

Uno dei principali contributi di Storper allo sviluppo della sociologia della scuola di L.A. sta proprio nell’analisi di come le economie si organizzano spazialmente nelle città, vale a dire quali economie si concentrano in alcuni luoghi cruciali del mondo, e quali possono invece disperdersi; la concentrazione di attività sul territorio migliora la capacità delle imprese a gestire situazioni di incertezza, favorisce lo scambio di informazioni e di conoscenza, massimizza la capacità innovativa locale e riduce i costi del lavoro. Naturalmente le economie di agglomerazione sono distribuite in maniera diseguale sul territorio globale.

 

 

Nel suo ultimo libro, Keys to the city. How Economics, Institutions, Social Interaction and Politics Shape Development, M. Storper si pone l’obiettivo di individuare le chiavi di lettura dello sviluppo urbano e di capire “perchè alcune città crescono, mentre altre sono in declino”. Il concetto di base è che le città funzionino non solo come agglomerato spaziale di sistemi economici, ma anche come arena di interazione sociale, di reti locali di istituzioni formali e informali, e come luoghi di azione politica e di intervento. Sono queste le quattro chiavi (l’economia, le istituzioni, le interazioni sociali e infine la politica) che aiutano a comprendere il contesto locale e la traiettoria di sviluppo.

 

Uno degli elementi su cui si concentra l’autore è l’importanza delle relazioni faccia-a-faccia che legano tra loro le attività economiche nelle città e che deriva dalla forte concentrazione di attività in alcuni territori. Sempre più le ricerche sulla città e sull’economia dimostrano l’importanza dei contatti interpersonali diretti e delle interazioni faccia-a-faccia, che sono cruciali anche in un’economia fortemente globalizzata in cui molte attività produttive sono state delocalizzate. La globalizzazione e le interazioni locali sono due lati complementari dello sviluppo locale: l’ambiente urbano sostiene e nutre lo sviluppo di reti di relazione faccia-a-faccia consentite dalla concentrazione di attività, eventi, persone.

 

Recentemente M. Storper sta lavorando intorno al tema delle smart city, che l’autore preferisce leggere metaforicamente come la “pelle digitale” delle città. Lo studioso americano traccia i principiali elementi di novità della città digitale per poi interrogarsi su come gli studi urbani possano essere utili a comprenderli, tenendo in conto da un lato il potenziale della pelle digitale nel migliorare il benessere collettivo, dall’altro inserendolo in un quadro teorico capace di leggere le criticità di uno sviluppo estremamente diseguale, sia tra ambienti diversi, sia tra gruppi sociali nei vari contesti.

 

Lo sviluppo di un’economia basata sulla fabbricazione digitale e sulla condivisione costituisce senza dubbio un aspetto cruciale della pelle digitale della città e le persone che operano all’interno di questa economia (spesso chiamati makers) presentano schemi di interazione e di azione estremamente interessanti. Dal punto di vista che propone Storper, essi rappresentano una risposta alternativa allo sviluppo diseguale delle città poiché gran parte delle loro attività sono basate su processi orizzontali di condivisione e di inclusione sociale. I processi produttivi avvengono in contesti fuori dal controllo di grandi compagnie e l’innovazione e la conoscenza che ne deriva viene condivisa e diffusa.

 

 

I makers, inoltre, sviluppano modelli di relazione in cui si intrecciano dinamiche locali e globali: essi sono fortemente inseriti in comunità che si addensano intorno ai fab lab e maker space (luoghi fisici nei quali sono concentrati i macchinari necessari alla fabbricazione digitale, ma anche in cui si addensa il sapere necessario a usare tali macchine e si sviluppa l’innovazione); allo stesso modo essi sono connessi con delle comunità digitali in tutto il mondo con le quali, grazie alle nuove tecnologie per la comunicazione, possono condividere la loro conoscenza, la loro esperienza, i loro progetti e sviluppare nuove forme collaborative.

 

L’ambiente urbano rappresenta inoltre il luogo privilegiato dove questo tipo di economia può emergere perché capace di concentrare soggetti, saperi e pratiche di condivisione: hacker, co-workers, makers, soggetti impegnati in progetti di economia sociale e innovativa, sono tutti attori cruciali di questo mutamento essendo portatori non solo di pratiche inedite, ma anche di istanze e di un’etica innovativa e votata al cambiamento sociale.

 

Per capire come si trasforma la città e interpretare questo cambiamento, il quadro teorico elaborato da Storper aiuta a far emergere una serie di interrogativi che originano in particolare dall’intreccio di comunità locali e connessioni digitali tra makers. In che modo questi due tipi di interazione si combinano? Come il contesto locale si lega a quello digitale? Come influisce nella produzione dei makers? E, viceversa, in che misura le connessioni extra-locali incidono sui loro prodotti e la loro comunità? In che modo e a che scala territoriale si può esprimere il potenziale critico e trasformativo della comunità di makers?

 

 

Michael Storper discuterà di questi temi all’interno di Laboratorio Expo, un progetto di Fondazione Giangiacomo Feltrinelli e Expo Milano 2015 in un seminario dal titolo “Makers and the city: comunità locali e connessioni digitali” che si tiene lunedì 15 settembre alle 17:30 presso il maker space We Make, via Stefanardo da Vimercate 27/5 – Milano (MM Gorla).

 

Michael Storper inoltre presenta il suo libro Keys to the city. How Economics, Institutions, Social Interaction and Politics Shape Development lunedì 15 settembre alle 10:00 presso la Fondazione Giangiacomo Feltrinelli, Via Romagnosi 3 – Milano (MM Duomo)

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