Peep-hole con vessillo. Giosetta Fioroni e la Casa tricolore, 1969

16 Luglio 2015

Nuovo appuntamento con la rubrica Bolle di Sapone di Michele Dantini, dedicata all’arte italiana contemporanea (l’indice della rubrica qui). In scena Giosetta Fioroni e una singolare pittura_installazione.

 

 

 

Esiste una linea “errante, erotica e eretica” che attraversa la storia dell’arte italiana del Novecento, uno strapaese fantastico che irrompe con Licini, da cui ho appena tratto la citazione, e Scipione nel periodo tra le due guerre per giungere sino a oggi, a Cucchi e altri. Geografie centro-italiane: la Roma dei misteri, Appennini e borghi adriatici a ridosso del mare, lune e stelle leopardiane. C’è però una possibile variante, che zampilla dai “teatrini” di Arturo Martini: la geografia affettiva o fantastica si sposta allora nell’entroterra veneto. È qui che, nel 1971, Giosetta Fioroni prende casa con Goffredo Parise: a Salgareda, in provincia di Treviso. Viene così a conferire materia a una sorta di esilio interno, di introversione dello sguardo, che ha già avviato sul finire del decennio.

 

Di Casa interno famiglia, pittura-installazione del 1969, colpiscono in primo luogo la bandiera italiana issata sul tetto e l’adozione del peep-hole – una tecnica o genere figurativo minore, quest’ultimo, con un’antica tradizione alle spalle, per metà presepe, per metà panopticon miniaturizzato che induce lo spettatore a contemplare da un piccolo spioncino dotato di lente (del tipo fisheye) quanto accade in un paesaggio minutamente ricostruito [fig. 1].

 

Giosetta Fioroni, Casa interno famiglia, 1969 (esterno intero)

 

Perché la bandiera e perché il peep-hole, peraltro già adottato nel 1968 da Fioroni in occasione del Teatro delle mostre alla Galleria romana della Tartaruga? La Casa introduce a un mondo connotato in senso intimamente municipale, a tratti premoderno. La piazza che si dischiude sulla sinistra è sgombra di auto, insegne di negozi e industrie. Sembra una piazza anni Trenta, di una piccola cittadina o di una grande città dechirichianamente assopita. Forse tutto ciò ci appare come in sogno, ed è una sorta di magica tassidermia. Scorgiamo sacerdoti in preghiera davanti al Gran Cuore di Gesù posto sotto una gran campana di vetro, sagrestani e chierichetti, case cuspidate. Il tempo è sospeso o tolto, come abrogato.

 

La parte destra della composizione è riservata alla raffigurazione di un interno. Incontriamo una sorta di Natività o meglio di Adorazione metafisica, sia pure di genere particolare [fig. 2, fig. 3]: un’assemblea di animali è disposta attorno a una poltrona fin de siècle, quasi in una riedizione delle stanze o soffitte di Savinio ingombre di animali preistorici, avi e chincaglieria di viaggio [fig. 4]. Fioroni convoca qui ogni specie di animali. Non solo animali domestici (come i barboncini, i bracchi o i levrieri in primo piano) o da cortile, ma pure esotici: leoni, antilopi, gorilla, tigri, elefanti.

 

Figg. 2-3 - Giosetta Fioroni, Casa interno famiglia, 1969, part. interno

 

Siamo nella Roma di Scipione e Savinio nel periodo tra le due guerre – la città dove Fioroni è in effetti nata e cresciuta – oppure altrove, magari nella marca veneta? Casa interno famiglia mantiene una lieve ambiguità geografica, verosimilmente irrilevante. I cari fantasmi custoditi dalla casetta accennano comunque a una svolta neofolklorica di Fioroni – nel commentare l’immagine, lo storico dell’arte Giuliano Briganti si spinge a parlare di “primordio” – e introducono una cesura con le eleganze Pop degli anni immediatamente precedenti, raggelate e convenzionali.

 

La Casa di Fioroni mette in scena tutti gli attributi giocosi e sentimentali di un’infanzia piccolo- o medio-borghese entre-deux-guerres: la fede, il gioco, il quartiere, gli affetti. Il punto di vista è astorico e depoliticizzato. I riferimenti al fascismo mancano del tutto, l’evocazione della Chiesa è invece esplicita, ma giocata nel senso della devozione ingenua, della popolarità e dell’affetto, senza asprezza. Scipione, se non la Roma del Cardinale Decano, è davvero nei pressi. Casa interno famiglia mostra una rinnovata fiducia per le risorse domestiche dell’immaginazione, sotto profili antropologici, storici, storico-artistici e culturali insieme. Per questo inalbera il tricolore. L’interesse per tipicità e microstorie italiane corrisponde forse, in Fioroni e non solo, a una mutata disposizione nei riguardi del linguaggio internazionale e dei suoi centri di irradiazione. Tra 1966 e 1969, ricordiamolo, non pochi artisti italiani, da Pistoletto a Pascali a Merz, sperimentano vie regionalistiche o tout court “etnografiche” in polemica con gli stili dominanti, minimal e concettuali; e proprio Pistoletto, nel 1965, concepisce un Paesaggio che è un presepe. Le “verifiche”, è evidente, sono adesso geopolitiche e acquistano tratti vivacemente polemici [fig. 5].

 

Fig. 4 - Alberto Savinio, Atlante, 1927; Fig. 5 - Michelangelo Pistoletto, Paesaggio, 1965

 

Niente più giovani donne eleganti dai grandi occhiali neri, dettagli da rotocalco di cinema e moda. Niente più tributi al jet set né bambini colti nella malinconica fragilità dell’infanzia [fig. 7]. Il tema dello sguardo estatico, così caro alla pittrice Pop, si riformula in Casa interno famiglia sgombro da pensosi riferimenti esistenzialistici a solitudini e “alienazioni” contemporanee. Con il peep-hole usciamo dall’Italia del boom, dalle ambientazioni moderniste e dalle inquadrature ampie con molto vuoto attorno a singole figure isolate, quasi campi lunghi cinematografici, cui Fioroni ci aveva abituati per immergerci nei territori dialettali della fiaba – e se non guasta del romanzo di avventure, tra Verne e Salgari.

 

Fig. 6 - Marcel Duchamp, Dati: 1_La cascata. 2_Il gas illuminante, 1946-1966

 

Casa interno famiglia si lascia avvicinare come il primo capitolo di un romanzo di formazione ambientato in un piccolo mondo avvolgente e sicuro, redivivo perché mai del tutto trapassato. Oscilla tra nostalgia e congedo e coltiva ironicamente la svenevolezza. Pochi anni prima, nel 1966, Duchamp (che Fioroni conosce bene) aveva riportato in auge la tecnica del peep-hole nella usa ultima opera, Étant donnés, ben altrimenti sibillina [fig. 6]. Anche Casa interno famiglia è al suo modo morbido e sussurrato un’inchiesta sull’Origine. Proprio il ristretto campo visivo procurato dallo spioncino obbliga lo spettatore a scorrere l’immagine come un testo, leggendone passo passo i diversi episodi. Ci sembra di essere a teatro o meglio di assistere alle proiezioni luminose di una lanterna magica. Lo sguardo diviene indulgente e rituale e ritrova i tempi lenti del racconto orale.

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