Di codici e labirinti / Nel Labirinto della Masone
Si arriva dopo chilometri e chilometri di pianura Padana, e di campi color stoppa tagliati dalle lingue grigie delle statali intorno a Fontanellato. Si arriva e ci si trova di fronte una costruzione in muratura, a piccoli blocchi regolari dal colore uniforme, scolpiti dalla luce del pomeriggio. Il tempo non ha ancora lasciato segni, sulle mura, e l’aria di nuovo che si respira all’arrivo al grande portale è quasi straniante. Come stare all’interno del sogno di qualcun altro.
Il sogno da cui si finisce per essere sognati, quasi peggio della borgesiana farfalla di Chuang Tzu, è il Labirinto della Masone di Franco Maria Ricci, che non è difficile incontrare mentre passeggia per le sale della Collezione, tra i libri del bookshop rigorosamente nero e bodoniano o per i sentieri di canne. Il segreto delle mura nuove, infatti, è proprio la piccola foresta di bambù cinesi all’interno, ben disciplinati in file alte fino a cinque metri a ostruire la vista ai molto meno disciplinati visitatori – ragazzi con gomitoli da srotolare nel tentativo di non perdersi, famiglie con pargoli urlanti, turisti con zaino e borraccia, tutti con l’adesivo al petto con il numero da chiamare in caso di emergenza – che si avventurano tra i sentieri.
E la piccola folla di strani camminatori convive senza problemi con i culatelli appesi a grappoli nel ristorante della corte e con gli ospiti che sempre più spesso accorrono per cementare la vecchia amicizia con Ricci, come Luigi Serafini. Quel pomeriggio eravamo alla Masone per i folli labirinti del Codex Seraphinianus, qualche settimana dopo gli Air avrebbero portato i loro mixer sotto alla piramide che spezza all’improvviso, verso l’alto, l’inflessibile orizzontalità di tutta quella pianura.
Per orientarsi in un labirinto, lo si sa, serve trovargli una direzione – che poi sarebbe un senso. Ci abbiamo provato piantando delle pietre miliari, da Borges a scrittura, passando per enciclopedia. Così la prossima volta che vi porterete un gomitolo rosso lungo il percorso saprete come fare per non perdervi.
Bambù
Il labirinto che si snoda nell'immaginario di ciascuno ha muri che moltiplicano stanze e impediscono la vista, consentendo a ogni angolo ancora nascosto di ospitare un mostro mitologico o una via d'uscita. Quello di Ricci è un labirinto ludico, in cui i percorsi possibili sono molteplici e così i vicoli ciechi, e in cui si può sempre intravedere qualcosa oltre il proprio sentiero - un altro sentiero, forse quello giusto, e gli altri che magari lo stanno già percorrendo, oltre i fitti muri di canne screziate di giallo e di verde.
Il bambù, flessibile e lucido, dai nodi netti e puliti, finisce per essere la declinazione botanica dell'amato Bodoni, le cui grazie campeggiano sulle cifre e sulle lettere che nominano, per chi le sappia leggere, le varie aree del labirinto. (Vedi alla voce Scrittura.)
Borges
Il Labirinto, a quanto ribadisce Ricci, è il precipitato, solido e concreto, in mattoni rossi e canne di bambù, di una promessa fatta a chi di labirinti di carta ne aveva già disegnati molti: Jorge Luis Borges. E con la vita di Borges quella del grafico ed editore si è intrecciata più volte, come nella Biblioteca di Babele, forse la più interessante tra le collane di Ricci, dalle molteplici rifrazioni: dagli amati Conrad, London e Stevenson a Wells e Bioy Casares, fino all’amato e venerato Poe, autore della storia del nascondimento più perfetto (La lettera rubata). (vedi alla voce Enciclopedia)
Dei due, oltre ai libri in comune, resta una vecchia foto – con un giovane Ricci, scarmigliato e senza la rosa all’occhiello, forse appena sceso dalla Jaguar nera, che guarda lontano, e il grande argentino, che forse già allora non avrebbe più potuto incrociare quello sguardo, che guarda ancora più lontano. (vedi alla voce Jaguar)
Codex (Seraphinianus)
Era il 1976 e Luigi Serafini aveva per le mani alcune delle prime tavole, fitte di segni sinuosi e minuti disegni a china e pastello, parimenti incomprensibili, di quello che sarebbe diventato il Codex, enciclopedia perfettamente ordinata di un mondo immaginario e incomprensibile sottoposto a leggi diverse dalle nostre, in cui coccodrilli nascono dall’unione-intersezione di uomo e donna, macchine producono arcobaleni ed esistono serpenti che fanno da lacci per le scarpe. FMR (da leggersi alla francese, ovvero éphémère) era già FMR, con la Biblioteca di Babele di Borges e la ristampa dell’Encyclopédie. Serafini decise di fare la posta a Ricci sotto il suo studio, tutti i pomeriggi, finché non fosse riuscito a incontrarlo e a squadernargli davanti, senza dire una parola, quei bozzetti sparsi. E così fu, con l’esito che possiamo sfogliare ancora oggi (grazie, tra l’altro, a una più recente edizione Rizzoli, molto più accessibile dell’originale).
A più di trent’anni dalla prima pubblicazione, Ricci e Serafini si sono incontrati di nuovo, complice l’esposizione delle tavole originali al Labirinto della Masone di Fontanellato (6 febbraio-10 aprile 2016).
Stavolta era il Codex a stare dentro a un labirinto fatto di sentieri che si biforcano (davvero troppo facile dirlo) e di possibilità che si moltiplicano. O è il Labirinto di Ricci a essere un codex, a rilegare insieme – forse nell’unico modo possibile – vita, passioni, opere di un uomo che si è voluto enciclopedico? (vedi alla voce Enciclopedia)
Enciclopedia
L’enciclopedia del labirinto è la collezione stessa come raccolta disorganica e sovrabbondante, non fosse per il gusto di Ricci che la tiene insieme e che si intravede nelle scelte delle opere e nei percorsi che portano da un autore all’altro, da uno stile all’altro: le tre copie, impercettibilmente differenti tra loro, di uno stesso soggetto del Parmigianino; la stanza del memento mori, che si compiace della ripetizione delle stesse forme in epoche diverse; la sala affollata di statuine femminili danzanti, che è anche la sala in cui serpeggiano le forme sinuose di Erté. Ed è, in un’ulteriore metamorfosi, il progetto editoriale di FMR, enciclopedia di enciclopedie (tra cui l’Enciclopedia per eccellenza, quella di Diderot e d’Alembert), di bestiari e di mondi immaginari, che ora è pronta a riprendere vita proprio all'interno della tenuta della Masone.
Ai tempi della stesura delle tavole, Serafini lavorava così intensamente, racconta, da non rendersi conto di cosa andava mettendo insieme. Fino a che, sollecitato per l’ennesima volta da un amico a uscire fuori di casa, non gli rispose: “Non posso, sto facendo un’enciclopedia”. (vedi alla voce Codex)
Jaguar
Jaguar non è una marca, qui, ma un nome proprio, quello della vettura lanciata in velocità per le strade di Milano, in quei veloci anni Ottanta in cui FMR rallentava il tempo della lettura per concedere ai suoi happy few libri sontuosi come codici. Ora la Jaguar, nera come neri sono i libri di Ricci, riposa in mezzo a quel tempio della memoria, del tutto personale e multiforme, che è la Masone. Ed è stato proprio lì che lo abbiamo incontrato, proprio poco sotto il celebre ritratto di Ugo Mulas che lo ha fissato al volante, la consueta rosa all’occhiello, con la sua Parma sullo sfondo.
Anche la Jaguar dorme lì accanto alla foto, a mandare in cortocircuito l’enciclopedia. (vedi alla voce Enciclopedia)
Scrittura
La scrittura del Labirinto è il Bodoni, l’alter ego tipografico di Ricci. Neoclassico ed elegante, il Bodoni non ha mezze misure: imponente e incisivo a grandi lettere, può farsi quasi invisibile tanto più diventa piccolo, fino a sfidare il bianco della pagina. “Sangue nereggiante sul foglio di candido avorio”, scriveva Ricci di quei segni che a suo dire richiedevano l’inchiostro migliore, un nero che andava personalmente a procurarsi in Belgio per i suoi libri. Anche nel labirinto i vuoti valgono quanto i pieni, e la segnaletica offerta al viaggiatore – i numeri che contrassegnano le zone del percorso e i cartelli con notizie botaniche sui diversi bambù, ma a pensarci bene anche le scritte sulle porte delle toilette – è tutta in Bodoni. Di quella macchina dell’immaginario che è il Labirinto, progettato da Ricci a fianco di architetti e giardinieri come un ultimo principe rinascimentale, è la scrittura l’ingrediente principale. (Vedi alla voce Bambù)
La scrittura del Codex Seraphinianus, invece, è un morbido corsivo dall’aria accogliente, che si è sempre sul punto di leggere e sempre invece sfugge. È l’“ombra di una scrittura vera”, dice Serafini, che in alcune tavole si diverte a estrarre lettere, come fossero denti, da bocche aperte e a mostrare come al microscopio ogni voluta di ogni lettera sia popolata di minuscoli esserini. (vedi alla voce Codex)