Speciale
Il confidente
1. RUOLI
Considerando come diviso il soggetto innamorato, il confidente sarebbe in lui la voce saggia, la voce di colui che vuole “uscirne”, che ragiona, ridimensiona, consiglia di “lasciare perdere”: non lasciarti convincere, sbarazzati di X. Sei impacciato, rinuncia, riconosci il tuo scacco, e passa ad altro. Poco importa la vacuità di questo consiglio (esso non è mai seguito; se il soggetto se ne esce, è per tutt’altre vie): il confidente permette al soggetto, ordinariamente murato nell’immagine, di parlare. Il suo ruolo è allocutorio (ho qualcuno a cui parlare del mio io, enfatico, grandioso), testimoniale (il confidente è testimone: ciò di cui parlo è reale perché posso raccontarlo, [a] ogni delirio diviene verosimile se qualcuno vuole almeno ascoltare), esaltante (parlando dell’essere amato, io ne accresco il volume, lo destino alla notorietà).
Al margine: [a] Djedidi.
DJEDIDi: Gygé et Candaule: «Mi occorre un testimone per provarmi / Che io non sono affatto un presuntuoso / Che mente a se stesso quando si gloria / Di abbracciare la donna più bella» (p. 37).
2. IL PROFITTO NARRATIVO
[a] Il ruolo del confidente è mitico: poiché io non posso padroneggiare realmente le contraddizioni in cui mi getta il sentimento amoroso, io racconto una storia la cui funzione è quella di dialetticizzare queste contraddizioni. Il confidente mi permette di narrare, di recitare, di produrre qualcosa di intelligibile: io sistemo l’immagine nel senso che mi conviene, sia che l’esalti (io mi rassicuro di amare un essere di cui descrivo il valore), che la sminuisca, concedendomi delle piccole aggressività, delle ironie maligne che non oserei mai fare di fronte all’oggetto amato. [b] Werther si serve così del suo amico Wilhelm (e occasionalmente di M.lle de B., con la quale passa diverse ore a evocare Charlotte) per comporre l’immagine dell’amata; l’ascolto del confidente forma allora una sorta di tela magica in cui si va dipingendo, alla maniera di una grande pittura classica, un oggetto-finzione. [c] Questo profitto narrativo è ambiguo, non essendo nient’altro che profitto di Immaginario. Dalla confidenza amorosa, non ci si può aspettare nessun effetto analitico; infatti più parlo (al confidente) più mi abbandono all’Immaginario: la mia confidenza mi conduce senza tregua allo “psicologico”.
Al margine: [a] Lévi-Strauss – [b] Werther – [c] F.W.
LÉVI-STRAUSS: Sul potere dialettico del mito, Antropologia strutturale. Werther: p. 76. F.W: Conversazione.
3. IL CORIFEO
Nella confidenza il dialogo è debole. Il confidente ascolta, rilancia (per amicizia), obietta qualche volta (senza convinzione), non contesta mai a lungo, perché (tutto in lui lo dice), egli parla a un folle. [a] Tale era il corifeo antico, essendo la sua funzione quella di far procedere il monologo. Questo monologo è quello della “sofferenza” non dell’azione: l’opera messa in scena (raccontata) dall’innamorato non è un dramma, ma una tragedia, e delle più arcaiche, tra il corifeo e l’eroe tragico, tra il confidente e l’innamorato, nessun torneo, l’uno è subordinato all’altro: soltanto un lungo lamento; il dialogo (la “scena”) è riservata (sia pure interiormente) al mio altro.
Al margine: [a] Nietzsche.
NIETZSCHE: La filosofia all’epoca dei Greci.
4. UN POSTO INSOPPORTABILE
[a] Werther a Wilhelm: «Ma che fine? Perché non tenere per me ciò che mi angoscia e mi affligge? Perché affliggerti, affliggere anche te?». La continua lamentela dell’innamorato (il soggetto non riferisce mai cose positive) è pesante per il confidente. Il suo posto è insopportabile: egli non può essere che piatto (ripetendo le rappresentazioni del buon senso, come fa Wilhelm) e folle (partecipando con grande rischio alle esaltazioni del soggetto innamorato, ai capovolgimenti delle sue situazioni, alle ingiustizie da lui sofferte). Trovare tuttavia il posto giusto, potrebbe consistere nell’entrare un poco nel delirio di un amico.
Al margine: [a] Werther.
Werther: p. 91.
Questo pezzo è tratto da Il discorso Amoroso, Mimesis 2015, (pp. 568-569), p. 670, 28,00 €