Ottant'anni fa moriva Lou Andreas Salomé / Amore. Il punto di vista delle amebe

5 Febbraio 2017

L’uomo di oggi sa meglio dei suoi predecessori che gli uomini non si “possiedono” l’un l’altro, che si conquistano e si perdono in ogni momento della vita, e che l’amore “c’è” solo quando il suo effetto si fa sentire in noi in modo concreto e spontaneo. Per questo motivo oggi è più difficile distinguere un vero sentimento d’amore dalla frivolezza o dal gioco, eppure i due concetti non sono più confusi di un tempo. È anzi meno indifferente che mai chi si ama e come si ama. Ma mentre un tempo perfino una relazione piuttosto insignificante e povera di sentimenti e poco fertile poteva cercare di durare una vita in forza di una sua presunta approvazione divina, adesso in determinate circostanze si può rinunciare a un legame comparabilmente ricco e profondo dopo un tempo non più lungo di quanto durasse prima un “gioco” , perché si arriva a pensare che tale legame non offre tutto quello che può concedere l’amore ed è meglio andare avanti da soli. Tale consapevolezza nasconde una certa crudeltà, ma non è diversa affatto da quella che ci fa superare mancanze assodate e nasce spesso dalla massima serietà amorosa. È consapevolezza del fatto che la nostra forza amorosa è condannata a morte senza possibilità di salvezza in tutte le situazioni in cui si dimostra sterile per la nostra vita interiore. È rendersi conto che se l’amore vuole essere più di un passatempo sensuale o uno stato di esaltazione temporanea, esso deve collaborare allo stesso grande compito della vita a cui appartengono i nostri obiettivi più elevati e le nostre speranze più sacre, deve superare i confini del proprio territorio per conquistarsi la vita pezzo per pezzo. L’amore più perfetto sarà sempre quello che riesce a portare a termine tale conquista nel maggior numero di situazioni e ambiti possibili, finché una persona vive tutto attraverso il tramite dell’altra, finché essi sono in grado di essere tutto l’uno per l’altra: amanti, consorti, fratelli, amici, genitori, compagni, bambini che giocano, giudici severi, angeli misericordiosi.

 

Rodin, L'eternelle idole

 

La concezione dell’amore si trasforma seguendo le silenziose trasformazioni del nostro sviluppo. Se diamo uno sguardo al regno degli esseri viventi inferiori, troviamo che le piccole amebe si accoppiano e riproducono premendosi l’una nell’altra, fondendosi in modo assoluto in un unico essere e dividendosi di nuovo in amebe figlie. A noi sembra naturale non poter procedere più in questo modo per quanto riguarda l’ambito fisico, ci sembra naturale che il nostro corpo, che ha raggiunto un alto grado di differenziazione, si accontenti di concedere solo una particella di sé nell’accoppiamento, di parteciparvi solo con una funzione strettamente circoscritta, e rimanere intatto per il resto. Per quanto invece riguarda l’ambito psichico, troviamo stranamente più degno di noi il punto di vista delle amebe, il quale, per così dire, considera un dovere sciogliersi completamente, scomparire l’uno nell’altro. È come se la nostra differenziazione psichica fosse rimasta indietro rispetto a quella fisica. Altrimenti dovremmo capire che dalla passione amorosa vogliamo la stessa cosa sia per la psiche sia per il corpo: non sciogliersi nell’altro, ma al contrario diventare fertili attraverso il contatto con lui, rafforzarci fino all’eccesso. Il nostro diventare fertili, infatti, non è più come per le amebe un dividersi in pezzetti, ma già in sé una funzione parziale, uno stato elevato di unicità, uno stato di eccesso. Nello stesso senso anche l’artista distacca da sé la sua opera, proprio perché è più di un’ameba, senza rimanere incorporato all’oggetto che ha fecondato la sua fantasia.

 

Questa totale analogia dei modi di espressione fisici e psichici del sentimento erotico non può mai essere messa in risalto con sufficiente forza, poiché si tratta delle due facce dello stesso processo.

 

Come l’eccitazione artistica ha la sua radice in processi della fantasia che coinvolgono l’intero essere dell’artista, così accade anche per l’eccitazione erotica nella vita sessuale. Come il processo artistico non può avere il suo centro fertile che nella fantasia, per quanto voglia accogliere in sé, per quanto voglia abbracciare il mondo intero, così anche il processo erotico non può uscire dall’ambito sessuale, per quante forze spirituali possa coinvolgere o per quanto lontano possa estendere i suoi effetti. Gli si fa torto se lo si vuole relegare a un ruolo puramente fisico, limitato e rozzo, e non riconoscergli tutto il resto, attribuendolo ad altre forze sentimentali: ma gli si fa non meno torto cercando di falsare la sua natura sessuale dandole una veste morale o estetica. L’erotismo è tutto quello che è proprio in virtù della forza elementare con la quale supera ogni apparente divisione ed estraneità tra le espressioni fisiche e spirituali del nostro essere, sapendo mettere l’accento sul momento fisico in ambito spirituale e viceversa. Il suo mondo fisico racchiude già in sé tutto il resto, compreso il tumulto spirituale, come da una nuvola gravida di tempesta, con la scossa elettrica, si scatenano intorno a noi indifferentemente fulmini, tuoni e scrosci di pioggia. Nello stato fisico dell’ebbrezza amorosa varrebbe la pena, e sarebbe possibile, rintracciare tutto il gioco del nostro spirito che vibra in esso, così come, viceversa, ricercare nelle esaltazioni più elevate dello spirito l’ardore dei sensi eccitati. Anche se entrambi gli elementi si mescolano con intensità e in modi diversi, l’essenziale resta che si tratta di un unico fenomeno totale; proprio questo permette all’erotismo di essere presente nel cieco desiderio come nel contatto di due esseri nei campi più spirituali della vita: se due persone si amano, la medesima scintilla erotica vibra dall’uno all’altro e anima la mente così come anima il corpo.

 

 

La sovrana autonomia con cui l’erotismo rappresenta il suo mondo assolutamente peculiare, in tutte le manifestazioni fisiche e psichiche, è alla base dei suoi molteplici conflitti con gli altri mondi dei sentimenti e con i modi diversi che le persone hanno di giudicare. Il conflitto si può basare, per esempio, sul fatto che – come si suole esprimere tanto spesso con sdegno velato di biasimo – le persone possono amare e disprezzare allo stesso tempo. Non considero ovviamente il caso molto frequente in cui il “disprezzo” è solo frutto dell’educazione e in realtà l’amore coincide con la nostra valutazione individuale delle cose. È infatti possibilissimo amare qualcuno, percepire attraverso di lui tutto l’influsso fertile e vitale che deriva da tale sentimento, e tuttavia rifiutarlo con tutte le forze vigili e consapevoli del nostro spirito e della nostra anima. Come esistono persone che non hanno sensazioni erotiche e persone che non ne hanno quasi, può anche succedere che qualcuno ci attragga eroticamente nel profondo e oscuro centro del nostro essere, senza che questa attrazione sia sufficiente o raggiunga un grado di elevatezza tale da far vibrare anche altri ambiti del nostro sé. Resta un’ebbrezza forte,un’ebbrezza del nostro intero essere, ma si percepisce solo in certi punti, mentre in altri lascia il posto allo scoraggiamento, al disinganno. Se questo avviene in punti molto sensibili, se la nostra personalità è consapevolmente orientata in un altro senso e le contrappone attitudini e valutazioni molto forti, allora chiamiamo il conflitto lotta tra amore e disprezzo e stranamente ci aspettiamo che ogni persona per bene superi la sua passione, anche se nessuno, nemmeno lei stessa, riesce a immaginare quali dèi in fondo stiano lottando per il suo cuore e chi subirà la perdita maggiore, la mutilazione più grave. Poiché è vero che l’uomo non vive solo dei suoi impulsi elementari, ma vive ancor meno solo della ragione.

 

Espressa in termini più generali, la domanda suonerebbe: perché l’oggetto amato è spesso molto meno adatto a noi della maggior parte delle altre persone con inclinazioni diverse dalle nostre e perché comunque per noi tutto dipende da lui? Quasi in tutte le relazioni amorose altrui ci sono aspetti che portano a chiederselo involontariamente a bassa voce, ma in alcuni casi straordinari è lo stesso interessato a stupirsene e a non riuscire a spiegarselo.

 

Da Devota e infedele, BUR 2009.

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